sabato, ottobre 13, 2007
di P. Marco Malagola, OFM

Sono lieto di rivolgere a ciascuno di voi un cordiale e fraterno saluto di pace e bene. E’ il saluto sempre nuovo e sempre ricco di significato che ci fa pensare al Padre San Francesco che lo ha adottato e inaugurato per la prima volta. Quando pronunciamo la parola pace, diceva, cerchiamo prima di tutto di averla nel cuore. Vi ringrazio di avermi invitato per questa chiacchierata in fraternità. Nella mia lunga vita di frate minore non ho mai avuto l’occasione e il compito di seguire da vicino quello che oggi è chiamato Ordine Francescano Secolare. Mia mamma era terziaria francescana e viveva in bellezza lo spirito francescano incarnandolo nella sua vita; dopo che a Dio, sia io che mio fratello, frate minore pure lui, dobbiamo a nostra Madre la grazia della vocazione francescana.

Avevo letto anni fa la vostra Regola, rinnovata e approvata da Paolo VI con la Lettera Apostolica “Seraphicus Patriarca” del 24 giugno 1978. Una Regola nuova e rinnovata per un Ordine antico. L’ho sfogliata e riletta nei giorni scorsi. Si tratta di una regola breve, semplice, essenziale, di sostanza e di chiara comprensione, come l’avrebbe scritta San Francesco. Ho letto pure le vostre Costituzioni Generali relativamente recenti in quanto approvate l’8 dicembre 2000 dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e promulgate il 6 febbraio 2001, data in cui si commemorano i 17 santi terziari francescani crocifissi a Nagasaki. Sono entrambi, testi che tracciano le basi per un progetto di vita nella specificità del messaggio evangelico di Francesco.

Il tema che mi avete proposto è vasto come vasto è il campo di GPSC. Ho cercato di scrivere qualcosa nella speranza che possa essere utile per la vostra e mia riflessione. Dico anche mia perché non si finisce mai di apprendere e soprattutto mettere in pratica quanto abbiamo appreso. Oggi si parla e si scrive molto, forse troppo, anche nella Chiesa e da noi, ma si pensa poco, si approfondisce meno e non si passa all’azione come si dovrebbe. Rimangono le idee, anche molto belle, ma se le idee non le facciamo nostre e concretizzate nella realtà del quotidiano, nulla si costruisce. C’è un significativo proverbio cinese che dice: “Se lo dici me lo dimentico. Se me lo mostri lo ricordo. Se mi coinvolgi lo capisco”. Noi dobbiamo coinvolgerci e, nel medesimo tempo, dobbiamo sentirci in permanente apprendistato.

Sono arrivato alla ferma convinzione che la chiesa e la società hanno oggi nuovamente bisogno della teologia francescana. Qualcosa di simile si è fatto per diversi secoli nel passato. Solo le tendenze restauratrici della teologia, che hanno condotto dopo Leone XIII alla fioritura della “neoscolastica”, hanno messo sempre più in ombra, se non in dimenticanza, la teologia francescana. Se non m’inganno, però, la “scuola francescana” con i suoi più illuminati maestri - Bonaventura e Duns Scoto - sta ritornando in auge rivestendo un ruolo particolare nella teologia dei nostri giorni.

La teologia francescana, soprattutto in San Bonaventura, ha, fin dall’inizio, una preferenza appassionata per Cristo, l’Amore non amato di cui andava ripetendo Francesco nei momenti più intensi della sua vita di innamorato del Verbo incarnato. Francesco avvertiva, come conseguenza, un’irresistibile attrazione di Dio, per cui nel totalmente Altro trovava completamente se stesso. C’è una teologia francescana che parte e si concentra sulla biografia di Francesco. Ogni francescano, seguace dello spirito di Francesco, ama riflettere e curvarsi sulla vita concreta di Francesco e interpreta l’intera sua biografia, o nei singoli aspetti di essa, alla luce di Dio e di Cristo. In questo caso la storia diventa premessa del pensiero teologico e la teologia interpreta i fatti. C è poi un’altra possibilità di riflettere su Francesco e di giungere a una teologia francescana ed è quella di fare propri gli atteggiamenti fondamentali e le intuizioni del santo. La cosa più importante è che si tenga viva la memoria di Francesco, come figura storica e come modello di Vangelo vissuto e lo si inserisca nella problematica dei nostri giorni.
Detto questo possiamo entrare nel tema:

Fondamenti laico-religiosi di GPSC

Il Concilio Vaticano II si appella ai laici:

Ecco quanto si legge nel decreto conciliare Apostolicam actuositatem: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio, tutto ciò che è di Lui (Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica. E’ ancora Lui che li manda in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc 10, 1)» affinché gli si offrano come cooperatori nelle varie forme e modi nell’unico apostolato della Chiesa che deve continuamente adattarsi alle nuove necessità dei tempi, sapendo bene che, faticando nel Signore non faticano invano”.(1Cor 15,18).

“Il sacro Concilio, volendo rendere più intensa l'attività apostolica del popolo di Dio, con viva premura si rivolge ai fedeli laici, dei quali già altrove ha ricordato il ruolo proprio e assolutamente necessario che essi svolgono nella missione della Chiesa. L'apostolato dei laici, infatti, derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa. La stessa sacra Scrittura mostra abbondantemente quanto spontanea e fruttuosa fosse tale attività ai primordi della Chiesa (cfr. At 11,19-21; 18,26; Rm 16,1-16; Fil 4,3).

“I nostri tempi poi non richiedono minore zelo da parte dei laici; anzi le circostanze odierne richiedono assolutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso. Infatti l'aumento costante della popolazione, il progresso scientifico e tecnico, le relazioni umane che si fanno sempre più strette, non solo hanno allargato straordinariamente il campo dell'apostolato dei laici, in gran parte accessibile solo ad essi, ma hanno anche suscitato nuovi problemi, che richiedono il loro sollecito impegno e zelo. I laici dunque abbiano in grande stima e sostengano, nella misura delle proprie forze, le opere caritative e le iniziative di « assistenza sociale », private e pubbliche, anche internazionali, con cui si porta aiuto efficace agli individui e ai popoli che si trovano nel bisogno, e in ciò collaborino con tutti gli uomini di buona volontà”.

Vecchio Testamento

Il tema della giustizia nel mondo per un cristiano, laico o ecclesiastico che sia, trova il suo fondamento primario ed essenziale nella Scrittura. E’chiaro che tale principio fondamentale ha bisogno di essere profondamente radicato nella Parola di Dio e costantemente nutrito dalla riflessione teologica. Diversamente si rischierebbe di cadere in un “orizzontalismo“ superficiale e in un”attivismo” di poca consistenza. Il tema della giustizia assume dunque un’importanza capitale nell’Antico e nel Nuovo Testamento e questo ci dovrebbe appassionare e stimolare ad entrare in contatto con la Parola di Dio per cui ci si rende conto della necessità di un cambiamento di mentalità e di prassi se vogliamo vivere un vero e autentico cristianesimo.
Tutta la rivelazione veterotestamentaria si svolge attorno ad un avvenimento decisivo: la liberazione dall’oppressione in Egitto e l’Alleanza. Nell’esperienza dell’Esodo nacque la fede d’Israele; e nacque anche Israele come popolo. La storia della liberazione contro l’oppressore costituisce il tema del credo israelita. Il linguaggio moderno dell’«oppressione, dell’«ingiustizia» e del Dio «liberatore» che «rende giustizia agli oppressi» e ad ogni forma di oppressione lo troviamo già con tutta la sua forza e tutto il suo realismo nella Bibbia. La liberazione dall’oppressione appare così come atto rivelatore di Dio; più ancora, come l’atto con il quale Dio inaugura la storia della Storia della salvezza: « Il Signore rivolendosi a Mosè gli disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido... Sono sceso per liberarlo... Or dunque, le grida degli israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano... » (Es 3,7-9)
Lo stesso tema si ripete con frequenza nei Salmi: “Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli oppressi» (Sal 103,6).« Il Signore sarà un riparo per l’oppresso... e non dimentica il grido degli afflitti» (Sal 9,10.13).

Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento guarda avanti. “Dio non è mai indietro. Lo vediamo sempre avanti a noi che ci chiama, ci aspetta, ci viene incontro” scrive il card. Henry De Lubak. Non si può tacere il fatto importante che la prospettiva, nella quale il Nuovo Testamento presenta la salvezza dell’uomo, è diversa da quella dell’Antico Testamento. Gli scritti veterotestamentari quasi nella loro totalità inquadrano la salvezza dell’uomo entro l’orizzonte della sua esistenza nel mondo. Invece, tutta la rivelazione neotestamentaria si svolge entro una visione chiara della salvezza definitiva dell’uomo oltre la morte: la risurrezione futura ha un rilievo primordiale nella dottrina stessa di Gesù, nella fede della Chiesa primitiva e in tutta la teologia del Nuovo Testamento.

Questo potrebbe indurre a pensare che nella rivelazione cristiana non ha valore l’esistenza dell’uomo nel mondo e che l’unica cosa importante è garantire all’uomo il suo futuro nell’al di là. Non avrebbe allora alcun senso l’impegno cristiano per la giustizia nel mondo. La storia, purtroppo, mostra alle volte che in effetti, in un modo più o meno cosciente, il messaggio cristiano è stato interpretato ed anche vissuto come una «fuga dal mondo», cioè come se non valesse la pena di dedicare l’esistenza a ciò che è puramente caduco e perituro. Su ciò si fonda l’accusa marxista di «alienazione» della fede cristiana. E’ il famoso slogan: “la religione è l’oppio dei popoli”. Ma fu realmente tale il messaggio di Cristo e la fede della Chiesa?

Un bel niente. Quando Gesù, nella sinagoga di Nazareth, cita la profezia di Isaia che si riferiva esclusivamente a sé, e legge: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi ecc. (Lc 4,14-21) sottolinea con forza l’avverbio “oggi”, che esprime attualità, contemporaneità della salvezza. La salvezza non è del passato e neppure del futuro. La salvezza è oggi, in questa situazione concreta di vita in cui viviamo. La salvezza ci accompagna. L’oggi, è la novità di Gesù. L’oggi indica che gli ultimi tempi sono iniziati, che la storia degli uomini e delle donne sta attraversando un momento eccezionale di grazia. L’oggi non è soltanto una nota cronologica riguardante Gesù: è un oggi che si prolunga nel tempo della Chiesa quindi anche nel movimento francescano. Il tempo messianico è dunque in movimento e il nostro tempo è l’oggi di Dio, ma anche l’oggi di ciascuno di noi, è il nostro momento presente, non il domani, ma l’oggi, che è già domani. Gli ebrei attendevano nel futuro il tempo adatto alla restaurazione di Israele; per il cristiano il Messia, che rende possibile il mondo nuovo, è già arrivato.

Gesù ha condensato le prescrizioni dell’Antico Testamento concernenti la giustizia in una formula nuova e radicale: “Tutto quanto volete che li uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge e i profeti”. (Mt 7,12). Le parole più radicali di Gesù sull’importanza dell’amore del prossimo si trovano nel discorso sul giudizio finale di Mt 25,31-46); nell’atteggiamento di ciascun uomo verso i poveri e gli abbandonati, realizzato nelle opere, si decide definitivamente la sua salvezza o la sua perdizione. Non è difficile scoprire in questo brano di Matteo una eco fedele delle Beatitudini. La grande novità consiste nel fatto che Gesù fa di questi uomini disprezzati ed emarginati “i suoi fratelli”; si rende solidale personalmente con tutti quelli che soffrono la fame, la miseria e sono vittime dell’ingiustizia. Ogni uomo che si trova in una simile situazione è fratello di Gesù, è la persona stessa di Cristo che ci viene incontro. Non si può essere amici di Dio se non si è amici dell’uomo. Non si è cristiani se non si è umani. Essere cristiani senza essere umani è come essere niente. Sono frasi che continuo a ripetere con convinzione e cerco, per quanto possibile, di fargli onore.

Passiamo a un altro punto che vorrei sottoporre alla vostra attenzione.

Sappiamo che Francesco è stato un cristiano fino in fondo, un uomo totalmente e radicalmente evangelico, pienamente inserito nella società del suo tempo. Lo fu nel suo tempo e lo deve essere, attraverso noi, suoi figli e seguaci, anche oggi. In Francesco l’esperienza di Dio e del mondo sono convergenti. E’ la sua incarnazione. Siccome nel campo dei diritti umani tutto parte dalla considerazione che si dà alla persona, vorrei intrattenervi sul concetto di persona umana in San Francesco. Un francescano che opera nel campo di GPSC non può fare a meno di appassionarsi a questo concetto tutto francescano di persona e farne un punto fondamentale e permanente di riflessione personale. E’di una valenza straordinaria. E’ un’idea madre, cara a Giovanni Duns Scoto, filosofo e teologo francescano, il quale approfondendo il mistero dell’Incarnazione, sosteneva che, non solo Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato, ma che Dio si sarebbe ugualmente incarnato per la redenzione e la salvezza di una sola persona. La persona! Il suo valore! E’ un concetto che mi ha accompagnato lungo tutto l’arco della mia vita soprattutto durante miei anni di missione in Papua Nuova Guinea - e non finisce mai di appassionarmi - e poi ancora in seguito col passare degli anni. E ne ho ottanta!

Giovanni XXIII, nostro amato confratello - terziario francescano dalla sua prima giovinezza - nella sua storica e profetica enciclica Pacem in terris così si esprime: “nell’edificazione della pace è importante partire dalla verità, e non si tratta tanto della verità dottrinale, che anzi è stata pretesto per guerre e violenze. Si deve invece partire dalla verità dell’essere umano, dal valore fondamentale e irrepetibile che ha ogni persona umana, di qualunque colore o razza, di qualunque cultura o religione, dal primo istante dell’esistenza fino all’ultimo soffio del suo vivere. Ed è importate richiamarlo in un tempo in cui l’immediatezza delle conoscenze e delle relazioni rende ancor più evidenti le contrapposizioni, le emarginazioni, le esclusioni, ma anche le oppressioni, le torture, le violenze che vengono ricercate e inflitte a chi è diverso o viene comunque giudicato inferiore a noi. Prima delle qualità caratterizzanti la persona: il cristiano, l’ebreo, l’islamico ecc. c’è la persona.

La verità sulla persona è l’idea-madre e l’idea-forza che fa, di papa Wojtyla, l’intrepido difensore dei diritti umani. Così scriveva: “E’ Cristo stesso la via per scoprire la dignità della persona umana e per salvarla. Bisogna far silenzio sul tema della persona”. Attenzione, tuonava Karol Wojtyla: “Persona”! Non c’è più spazio per altre parole! Persona umana!


Persona umana in San Francesco

A partire da Francesco, passando per Bonaventura fino agli sviluppi posteriori della tradizione filosofica e teologica francescana in Scoto e oltre, la persona umana assume un ruolo centrale. Questa è una possibile base di partenza per una riflessione sui diritti umani e la nostra tradizione francescana. Per Francesco, ogni cosa buona è un “dono”, elargito liberamente e generosamente da Dio per amore. Non c’è niente di buono che non venga da Dio, e niente di buono che a lui non appartenga. Nell’uso moderno del linguaggio, un “diritto” appartiene a un individuo o a un gruppo di persone. Essi “possiedono” quel diritto, del quale non possono essere giustamente privati. Quello che oggi chiamiamo “diritti umani” non appare, in tale forma, nella primitiva tradizione francescana.

Ed ecco cosa pensa Francesco

Nelle sue Ammonizioni Francesco detta il fondamento per la visione francescana della persona umana. Scrive: Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, perché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di Lui secondo lo spirito (V,1). Forse non esiste una Carta più importante per la dignità della persona umana. E notate, siamo agli inizi del tredicesimo secolo! Basandosi sul capitolo iniziale della Genesi (1,26), l’Ammonizione pone ogni persona in relazione con Dio attraverso il Figlio incarnato. Questa maniera di guardare alla persona non affronta direttamente la questione dei diritti umani, ma ne indica il fondamento: gli uomini hanno grande dignità, «sublime condizione», per il fatto stesso di essere tali. Questa dignità è un dono che viene dalla fonte di ogni bene, non un regalo fatto ad alcuni e non ad altri, secondo il valore, il merito o la santità. Questa «sublime condizione» deriva dalla loro stessa creazione. Il modello o il disegno della persona umana è divino: l’intera persona, corpo e spirito, è formata a immagine del Figlio.

Un simile approccio alla dignità della persona è diverso da altri approcci moderni, che possono enfatizzare la dignità inerente o intrinseca della persona dovuta alla facoltà della ragione (o ad altre qualità) senza alcun riferimento al Figlio di Dio. Per Francesco, invece, tale dignità è plasmata nella persona fin dall’inizio della creazione, ma la sua fonte è al di là della persona stessa, è in Dio. Dobbiamo comunque ammettere che i due approcci possono assomigliarsi molto nella pratica; le loro differenze stanno nel diverso modo di intendere la fonte ultima o la ragione della dignità umana, fondamento di ogni diritto.

Consideriamo ora il pensiero di Francesco in alcuni dei suoi effetti concreti, cioè come una «teologia francescana della persona» si deve tradurre in comportamenti o azioni.

Dignità rispetto giustizia e amore

Un corollario della “teologia della persona” di Francesco è che ogni persona umana deve essere trattata con dignità, rispetto, giustizia e amore. “Dio è cortesia” è il titolo di un libro di un mio confratello e amico francese, Jean Gwénolé Jeusset, che ora vive nella fraternità di Istanbul. E’un islamista, specialista delle relazioni tra cristiani e musulmani. Nella Regola bollata del 1223, Francesco mette per iscritto una norma generale per il modo in cui i frati devono trattare gli altri. Notate le qualità che sottolinea come regole generali di comportamento: «Consiglio, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino, evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri ma siano miti; pacifici e modesti, mansueti e umili; parlando onestamente con tutti, così come conviene» (111,10-11).

Allo stesso modo, Francesco vuole che i suoi frati, quando vanno tra persone che non condividono la loro fede, «non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Rnb XVI,6). Qui egli sceglie un’alternativa alla violenza religiosa delle «guerre sante» del secolo XIII; sceglie la nonviolenza, un atteggiamento di rispetto, basato sull’umile sottomissione a quanti professano una fede diversa. L’incontro di Francesco con il Sultano d’Egitto Malek el Kamel a Damietta è un modello che si fa ideale di rispetto e di dialogo. Ancora una volta, nella seconda versione della Lettera ai fedeli, Francesco esorta i fratelli e le sorelle della Penitenza al rispetto per gli altri: «Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio» (47). In questi testi osserviamo la mescolanza di valori o virtù importanti per Francesco: umiltà, pace, mansuetudine e la virtù classica della cavalleria: la cortesia. Se questa non ci permette di affrontare direttamente la questione dei “diritti” degli altri, ci orienta però in tale direzione.


Cortesia e difesa dei diritti umani

Al tempo di Francesco e Chiara, la cortesia era proposta dalla Chiesa come una virtù “cortese” che doveva essere praticata dal cavaliere cristiano ideale e dai membri della classe governante (io non so, ma credo che la cortesia venga da “corte”). Negli scritti di Francesco la cortesia è una qualità di Dio, una qualità che dovrebbe essere visibile nel comportamento dei suoi seguaci. Questa virtù è associata alla liberalità o generosità e alla dimostrazione di onore verso gli altri, anche a coloro che sono considerati socialmente “inferiori”. La cortesia va insieme all’obbligo dei maiores (quanti hanno il potere) di difendere i minores (quanti sono privi di potere): i deboli (infirmi) e coloro che non hanno protezione (vedove, orfani, pellegrini).

I seguaci di Francesco devono stare in una «posizione sociale» tra quanti sono «senza potere», non identificati come quelli che sono “potenti”. Francesco incoraggia i suoi fratelli ad essere lieti di vivere «tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb IX,2). Questa – scrive Francesco - è la «posizione sociale» della comunità di Gesù: Gesù, Maria e i discepoli furono poveri e forestieri e vissero di elemosine (cf. Rnb IX,4-5). In altre parole, il Figlio di Dio, attraverso l’Incarnazione, deve essere trovato tra coloro i cui diritti necessitano di essere protetti, incluso il «diritto divino» al necessario per vivere, assicurato mediante la ricezione di elemosine. «E l’elemosina è l’eredità e la giustizia (hereditas et iustitia) dovuta ai poveri; l’ha acquistata per noi il Signor nostro Gesù Cristo» (Rnb IX,8). Questo può avvicinarsi a una dichiarazione di “diritti” in Francesco, diritti dovuti ai poveri per eredità e per giustizia. E’ il Signore Gesù Cristo che acquista il diritto e lo trasmette ai poveri come loro eredità.

Abbiamo delle illustrazioni, o esempi, della pratica di Francesco nel difendere la dignità dei poveri nelle Vite scritte dopo la sua morte. I capitoli 51-60 della Vita seconda di Tommaso da Celano sono dedicati a questo argomento. Ecco qualche esempio: «In tutti i poveri riconosceva il Figlio della Madonna povera» (LI) Rimproverò un frate che criticava un povero: «Quando vedi un povero, fratello, ti è messo innanzi lo specchio del Signore e della sua Madre povera» (LII). «Io non voglio essere ladro e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo ad uno più bisognoso» (LIV).
Questi racconti su Francesco servono ad illustrare le sue parole circa la «sublime condizione» della persona umana e i “diritti” di quanti sono nel bisogno ad essere forniti del necessario per vivere. Evidenziano che egli mise in pratica quanto insegnava sulla dignità e i «diritti ereditari» dei poveri. Anche i frati dovevano quindi mostrare cortesia verso gli altri, trattandoli con dignità e riguardo. Il codice di comportamento presentato ai frati minori e alla più ampia comunità di penitenti francescani è un modo di mettere in pratica l’insegnamento sulla «sublime condizione» della persona umana che abbiamo esaminato nella quinta ammonizione. E’ un fatto che, diventando col Battesimo figli di Dio, acquistiamo automaticamente un titolo di nobiltà che significa aristocrazia dello Spirito.

A questo punto, vorrei suggerire una dimensione ancora più ampia della pratica della cortesia. Per il Poverello di Assisi, non solo gli altri uomini meritano di essere trattati con dignità e rispetto, ma verso tutte le creature si deve avere riverenza: vengono tutte dalla stessa sorgente di amore, il loro Creatore. Tutte sono “fratelli” e “sorelle” dell’uomo che compose il Cantico delle creature. Una grande attenzione a tale dimensione della prassi di Francesco potrebbe estendere il nostro argomento dalla dignità degli uomini («diritti umani») alla considerazione della dignità di ogni creatura («diritti delle creature»). Ma questo è un altro tema!

Dignità umana: conclusione

Una comprensione profondamente cristologia della persona umana rende ogni persona sacra, unica rivelatrice di Dio. Ecco un solido fondamento per la riflessione francescana sui diritti umani. Come tradurre questa intuizione nel linguaggio e nella pratica di oggi? Quali atteggiamenti e quali azioni mostrano con chiarezza una mancanza di rispetto per l’immagine divina delle persone umane? Questo il nostro compito attuale.Il nostro contesto attuale traduce la “sublime condizione” della persona nel linguaggio dei “diritti umani”, mentre il medievale Francesco parlerebbe di quella stessa qualità come di un “dono divino”. Francesco parlava dei sui fratelli come dei “doni”. Mi sono dilungato sul concetto interpretativo di Francesco sulla persona che io ritengo quanto mai originale e quanto mai importante.

Se ci pensiamo bene, all’ origine dello sterminio dei popoli c’è il disprezzo dell’uomo; il disprezzo della persona umana è la causa primaria e fondamentale di tutte le atrocità che si commettono contro l’uomo. I media ci presentano ogni giorno racconti e immagini di vittime della furia dell’odio. Se i morti delle ultime due guerre mondiali si contano a decine di milioni, a queste bisogna aggiungere le vittime della Shoah e le vittime del genocidio armeno del 1915, quelle cambogiane del 1970, quelle delle guerre di Spagna, del Vietnam, dei kurdi, dell’Algeria, della rivoluzione d’ottobre, della paranoia hitleriana e staliniana, della rivoluzione culturale in Cina, dei conflitti del vicino Oriente che sembrano non finire mai. Quando la persona umana non conta più, ogni tipo di violenza è possibile. Ecco perché il fondamento dei fondamenti è il rispetto della persona umana. Ha ragione Benedetto XVI quando afferma, nel messaggio mondiale per la pace di quest’anno, che “la persona umana è il cuore della pace”.

Operare per la giustizia e la pace

La vostra Regola e le vostre Costituzioni generali invitano a seguire l’esempio di Francesco e a riflettere su quello che accade nel mondo d’oggi. Al riguardovorrei passare brevemente in rassegna gli articoli più significativi della vostra legislazione.

Art 15 della Regola recita: “Siano presenti con la testimonianza della propria vita umana ed anche con iniziative coraggiose tanto individuali che comunitarie nella promozione della giustizia, impegnandosi con scelte concrete e coerenti con la loro fede”.

Art. 12 delle Costituzioni è interessante: “Cerchino di scoprire la presenza del Padre nel proprio cuore… nella natura e nella storia degli uomini.

Art 15/3 “La rinuncia alla violenza non significa rinuncia all’azione” “Prendano fermamente posizione contro il consumismo e contro le ideologie e le prassi che antepongono la ricchezza ai valori umani e religiosi e che permettono lo sfruttamento dell’uomo”.

Art.17 Chiamati a collaborare alla costruzione della Chiesa… i francescani secolari “testimoni e strumenti della sua missione” annunziano Cristo con la vita e la parola. Il loro apostolato preferenziale è la testimonianza personale…

Art.18/2 Devono approfondire i veri fondamenti della fraternità universale e creare ovunque spirito di accoglienza e atmosfera di fratellanza. Si impegnino con fermezza contro ogni forma di sfruttamento, di discriminazione, e di emarginazione e contro ogni atteggiamento di indifferenza verso gli altri. §3 Collaborino con movimenti che promuovono la fratellanza tra i popoli; si impegnino a “creare condizioni di vita degne” per tutti e adoperare per la libertà di ogni popolo.

Art 19/2 In spirito di minorità scelgano un rapporto preferenziale versi poveri e gli emarginati, siano essi singoli individui o categorie di persone o un intero popolo…

Art 22/2 ”Prendano posizioni chiare quando l’uomo è colpito nella sua dignità a causa di qualsiasi forma di oppressione o di indifferenza.

Art 23/1 La pace è opera della giustizia e frutto della riconciliazione e dell’amore fraterno. I francescani secolari sono chiamati ad essere portatori di pace. Curino la proposta e la diffusione di idee e di atteggiamenti pacifici. Sviluppino iniziative proprie e collaborino, singolarmente e come Fraternità alle iniziative del Papa, delle Chiese particolari e della Famiglia francescana. Collaborino con i movimenti e le istituzioni che promuovono la pace nel rispetto dei suoi fondamenti autentici.

Gli articoli mettono l’accento su quanto concerne la problematica GPSC invitando vivamente i Fratelli e le Sorelle secolari a promuovere scelte coraggiose e coerenti. Sono una provocazione e densi di incoraggiamenti. Forse anche un pò ripetitivi, ma “Repetita iuvant”, dicevano i latini. Nel prepararmi a questo incontro ho creduto bene rivedere e fermarmi su un documento forse ignorato o dimenticato dai più. Non è recente, è un documento elaborato dal terzo Sinodo dei vescovi del 1971 dal titolo: “La giustizia nel mondo”. Il documento ha quasi quarant’anni di vita, ma nel leggerlo si rimane colpiti dalla sua attualità e dallo stile incisivo e concreto. Non è una dichiarazione dottrinale, ma un appello alla riflessione e all’azione più di quanto non lo siano solitamente i documenti curiali romani. Documenti come questo non vanno mai in soffitta.

I vescovi affermano: “L’agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiano chiaramente come la dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo per la redenzione del genere umano e la liberazione per ogni stato oppressivo”. Credo che i vescovi non potevano essere più chiari di così circa il senso e il modo di praticare la giustizia di fronte alle gravi situazioni che travagliano il mondo. Quando si parla di giustizia si parla di una cosa seria. Se poi si parla della teologia della giustizia la cosa diventa ancora più seria e impegnativa al punto che non ci è permesso di lasciarla cadere nell’oblio.

Abbiamo avuto la fortuna di avere, soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso fino ad oggi, dei grandi Papi. Prima di tutto un Concilio Ecumenico Vaticano II, evento che ha cambiato la vita della Chiesa e dei laici nella Chiesa, dovuto all’ispirazione profetica dell’Giovanni XXIII, che io amo definire: ”l’uomo dell’inizio dell’inizio”. Pensiamo poi alle magistrali e illuminate encicliche sociali di questi grandi papi: la Mater et magistra, la Populorum progressio, la Laborem exsercens ecc. Prendiamo per esempio la “Pacem in terris”. Un’enciclica storica di grande attualità continuamente citata dai cultori e dagli operatori di pace.

Problemi d’oggi

Se diamo uno sguardo al problema sociale più emergente e delicato di oggi, in Italia come in Europa, dobbiamo constatare che il problema è costituito dalla presenza tra noi di musulmani, immigrati e rifugiati. E’ il problema dell’altro e del diverso. Chiediamoci: come si comporterebbe Francesco al nostro posto se tornasse in carne e ossa tra noi? Andrebbe decisamente incontro agli uni e agli altri. Il contesto storico in cui visse era segnato da grandi conflittualità. Basterebbe pensare alla divisione tra Chiesa e Impero o, addirittura, alle stesse crociate quando papi, vescovi e principi cristiani, viribus unitis, chiamavano a raccolta volontari da tutta Europa per avviarli a combattere contro i saraceni che occupavano il Santo Sepolcro. Quella guerra veniva addirittura chiamata"santa"! Francesco non era assolutamente d'accordo con il comune sentire politico e religioso di quel tormentato momento storico. Il Vangelo gli ispirava una via diversa da quella dello scontro. Sostituire la guerra con il dialogo era il sogno di Francesco che considerava la guerra l'antivangelo. Era quindi naturale che si schierasse decisamente contro ogni tipo di guerra.

Mi ha sempre profondamente colpito il coraggioso e profetico incontro di Francesco con il Sultano. Con Francesco per la prima volta il Vangelo incontra il Corano. Oggi constatiamo la profonda crisi in atto tra Oriente e Occidente., tra Islam e Cristianesimo. In un certo senso erano tempi come i nostri quelli di Francesco. Tempi di crociate e schieramenti contrapposti. Per incontrare il lebbroso Francesco è sceso da cavallo e si è messo sulla sua strada. Per incontrare il Sultano ha dovuto varcare il mare. Si è spogliato della sua superiorità spirituale e della sua cultura. Insomma si è fatto "minore" in tutto e per tutto insegnandoci a non vivere "sopra", ma "tra" e "con".

Francesco ci è maestro di incontro e di dialogo. Dio è relazione. Lo sappiamo dal rapporto relazionale fra le tre persone della Trinità. Impariamo a relazionarci fraternamente tra noi. La vita dell’uomo è costellata di incontri: con un singolo, con un amico, perfino con un cane, con un libro, con nuove e differenti situazioni. E ogni incontro è sempre in qualche modo “coinvolgente”. Tutta la vita di Francesco è stata ricca di incontri che egli considerò come grazie. La categoria relazione è fondamentale nella vita e nel pensiero francescano. Per San Bonaventura e Duns Scoto la relazione è un costitutivo della persona, che si manifesta come apertura all’altro e avverte il richiamo all’incontro con gli altri. La persona umana si definisce come un essere per l’altro.

Cerchiamo di essere spontaneamente simpatici. Semplicità, simpatia, gentilezza, cortesia senza affettazione sono importanti ingredienti di apostolato e di evangelizzazione. Del resto, Dio è bello e simpatico. Non avete mai pensato alla bellezza di Dio? Noi possiamo essere né troppo belli né troppo brutti, ma simpatici sì. Francesco era un uomo simpatico. Anche se forse – come si dice - non era gran che bello, era certamente bellissimo dentro. Francesco amò tutti e tutto, specialmente quelli che erano sgraditi agli altri; quelli che non contavano, quelli socialmente emarginati o avevano scarso rilievo nella società. Ogni incontro porta all’accoglienza. Francesco accoglieva ladri, briganti della strada, lebbrosi, poveri, ricchi e potenti. Accoglieva la creazione intera non semplicemente come sentimento semplicemente poetico, ma con vera e fraterna amicizia. Vivere la vita come missione fu uno dei grandi valori di quel grande creativo e vitalista che si chiama Francesco d’Assisi. La sua presenza si traduceva in comunicazione e in partecipazione affettiva ed effettiva con Dio, con gli uomini e con gli esseri della natura. Ogni incontro è come un interessante pellegrinaggio. Dio mi invita a scoprire, con lui, l’altro. Io non posso vedere tutto dell’altro, solo Dio lo conosce veramente perché Dio l’ha creato, Dio l’ha redento, Dio l’ha incontrato, Dio è Dio. Finché io non lo incontro alla maniera di Dio - che solo ha il potere per giudicare, l’intelligenza per comprendere e la luce per vedere - io guardo e guarderò più facilmente il volto dell’altro attraverso il mio specchio meschino piuttosto che il suo lato positivo alla maniera di Dio.

Io devo accettare la differenza che vedo nell’altro come Dio accetta la mia differenza con Lui. Dio ha preso tutto di noi in Gesù Cristo, eccetto la nostra incapacità di amare fino all’estremo. Lui ci amò fino alla fine. Devo tentare di vivere alla maniera di Dio la differenza che mi dispiace nell’altro. Sono versetti illuminanti quelli in Mt 5, 45-48: “Se voi riservate i vostri saluti ai vostri fratelli, che fate di straordinario? I pagani non fanno altrettanto?” Salutare gli altri non vuol dire, nel Vangelo, pronunciare un “buon giorno” a fior di labbra, ma entrare in relazione. Salutare gli altri alla maniera di Gesù dilata la mia fede, scatena in me un’apertura evangelica, mi rende più discepolo, mi fa cadere davanti al santo volto di Dio. Ci sono ad esempio tanti modi di dire “buon giorno”, ma uno solo è quello giusto; quello che viene dal cuore… Le modalità di atteggiamento fanno il sapore degli incontri.

L’incontro dell’altro deve essere poi gratuito; di fatto l’incontro non è mai a fondo perduto. L’incontro gratuito non è uno scacco matto, per cui anche se io, nonostante la mia buona volontà e le mie buone intenzioni, non riesco a cambiare l’altro, non importa. Dio lavorerà per me; lasciamo fare a lui; è la dimostrazione del posto di Dio in me, della vittoria di Dio in me. L’altro mi aiuta a purificarmi, a rinnovarmi; l’altro mi aiuta a sbarazzarmi del mio super ego di cui mi sento fiero. L’altro mi avvicina a Dio se accetto la mia incapacità che lui mi fa sentire. Ogni volta che io accetto fra me e Dio questo integrista confratello o musulmano, questo sconosciuto marocchino, questo ateo sgradevole, questo uomo o questa donna impossibile; quando accetto “questo altro” tra Dio e me, io do a Dio la gloria di mostrarsi ancor più Padre. Spogliato come Francesco davanti al Vescovo di Assisi, Dio mi copre con il suo mantello e mi accompagna, come la sera di Pasqua, in compagnia dell’altro, fino alla locanda di Emmaus, luogo dell’incontro e della condivisione dove Gesù ha già preparato tre coperti per tutti e tre. Penso a l’abbé Pierre, un uomo dal cuore francescano. Era l’uomo dei senza-tetto, fondatore delle Comunità e Gruppi Emmaus sparse nel mondo, investiti in azioni di solidarietà a difesa dei diritti della moltitudine dei senza-tutto. Dobbiamo impegnarci a diventare testimoni di apertura di spirito e di umanità se vogliamo formare gli altri al Vangelo dell’incontro e della condivisione senza essere sempre sulla difensiva specialmente quando si tratta della religione dell’altro. Francesco non finisce mai d’insegnare. Se il carisma della "minoritas" è stato vissuto verso coloro che vivono in una diversa realtà sociale, forse troppo poco è stato invece praticato verso coloro che vivono in una diversa realtà religiosa (musulmani, ebrei ecc …).

Dio ha affidato a Francesco e ai suoi figli una speciale vocazione per il dialogo e in particolare con l'Islam. Francesco insegna che dobbiamo arrivare al cuore dell'uomo: non è facile, ma se non si lavora in questa direzione tutto risulta precario. Per questo noi francescani siamo chiamati a una grande responsabilità storica. La via del dialogo indicata da Francesco è quella che ci porta alla compassione, all'accoglienza, all'incontro con l'altro: Francesco fu un vero teologo di vita, non in modo astratto e scolastico. La sua è stata una teologia incarnata. Francesco è sempre attuale, è sempre di oggi, sempre moderno, sempre ispiratore, sempre ecumenico. Francesco ci insegna a puntare prima sull’incontro che crea la conoscenza e l’amicizia, e poi sul dialogo. Per Francesco l’incontro con gli uomini è una questione di fraternità. Francesco supera la barriera della paura del non-cristiano e sogna una fraternità umana senza frontiere. Francesco è un pellegrino alla ricerca del fratello sconosciuto, mendicante di Dio e dell’uomo. Per Francesco il musulmano, anche se non lo sa, è un fratello di Gesù Cristo e Francesco andrà a dirglielo. Veramente il dialogo è la via che conduce alla pace

San Francesco è conosciuto nel mondo intero come fratello universale e noi, amici di Francesco, ci sentiamo chiamati a seguire le sue orme e ad avere un atteggiamento fraterno e aperto con tutti. Chi si ispira al carisma francescano deve amare la gente, tutta, proprio tutta. Prima di etichettare ogni persona: cristiana, ebrea, musulmana ecc, ricordiamoci che la persona umana, immagine di Dio, viene sempre prima. Il dialogo con gli altri credenti o non credenti sia per noi, prima di essere una tecnica o un metodo, una fedeltà al Vangelo e un modo di essere francescani veri. Quando mi incontro con alcuni amici, i cosiddetti lontani o non credenti, penso alle parole che Pietro pronunciò in casa del centurione pagano Cornelio: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga,, è a lui accetto” (At 10, 34-35).

Viviamo in un mondo in cui nell’ultimo decennio sono esplose più di cento guerre; in ciascuna di queste guerre, in parte è stata coinvolta la religione. Noi lavoriamo per il domani e il dopodomani. Noi non saremo affatto giudicati sui nostri successi nel dialogo, ma sui nostri sforzi per incontrare lo Spirito di Dio all’opera nell’altro, chiunque sia. Occorre essere aperti all'incontro con gli altri, ma allo stesso tempo profondamente radicati nella propria fede. Il dialogo non è sincretismo. Dobbiamo aprirci ai fedeli di altre religioni restando nello stesso tempo fedeli alla propria. Essere francescani è essere interreligiosi.

Oggi c'è bisogno che si guardi al mondo musulmano (un miliardo e oltre 300 milioni di musulmani!) con l'evangelica disponibilità al dialogo. Parlando recentemente al Cairo ai frati che vivono nei Paesi islamici, fra José Carballo, ministro generale ofm, così si esprimeva: "In questi Paesi siamo minoranza, ma proprio questo ci apre una grande possibilità: quella di essere uomini di dialogo ecumenico, interreligioso, interculturale". E tutto deve cominciare dalla nostra vita di tutti i giorni, dai nostri quotidiani casuali contatti con l’uomo islamico cominciando col rinunciare ai preconcetti e alle generalizzazioni. Senza il dialogo aperto e rispettoso con l’Islam non si va da nessuna parte.

Come Francesco noi non dobbiamo aver paura dell’Islam, anzi gli andiamo incontro in spirito di minorità, incontrandoci per conoscerci. Conoscerci per amarci. Conoscere gli altri aiuta anche a fare l'esame di coscienza su noi stessi, sulla propria cultura e civiltà e saper vedere la realtà nelle sue ombre e nelle sue luci. L'incontro di Francesco con il Sultano è per noi un chiaro segno dei tempi, quei tempi che non sono nostri, ma di Dio. Tra i più grandi meriti di Giovanni Paolo II è quello di aver avviato e incoraggiato il dialogo. Fa storia la giornata ecumenica e profetica in Assisi del 27 ottobre 1987.

Non vorrei tuttavia passare per ingenuo. Il problema del dialogo con l’Islam non è così facile; in alcune zone la convivenza è problematica; esistono divergenze profonde sul piano della dottrina e sulla sua applicazione. Però, vedete, Francesco non polemizza. Quando mandava suoi frati in missione, raccomandava loro di non bisticciare, ma solo di testimoniare. Oggi lo scontro tra l’Islam e l’Occidente fa parte dell’odierno quadro geopolitico mondiale. Uno scontro che è né tutto religioso né tutto politico, ma insieme sociale ed economico. Il fenomeno della globalizzazione ci globalizza tutti. Dobbiamo persuaderci. L’islam è ormai di casa tra noi. Anche se le statistiche oscillano, è certo che gli islamici sono in continuo aumento sia perché arrivano nuovi immigrati sia perché le famiglie sono particolarmente prolifiche.

Purtroppo abbiamo un Islam frammentato e così il dialogo si fa difficile. Ogni stato islamico interpreta il Corano un pò a modo suo. Ma perché stupirci. E nel mondo cristiano non è così? L’essenziale è tenere il progetto ecumenico sempre aperto. Bisogna aver pazienza. Il tempo matura. Come dicevo, i tempi di Dio non sono i nostri. Inoltre è un fatto che l’Islam è malato. In quasi tutti i Paesi musulmani, mancano adeguati spazi politici, libertà di espressione, assenti i diritti della libertà religiosa e della reciprocità, democrazia da costruire, complesso d’inferiorità nei confronti dell’Occidente. Sono certo che l’Islam dei giovani, prima o poi, in tempi più o meno lunghi, compirà quel percorso verso la modernità e la democrazia che il cristianesimo ha avviato, e con fatica.

Ma attenzione! Non è che l’Occidente abbia le mani pulite nei confronti dell’Islam. Non bisogna assolutamente dimenticare l’accumulo di rabbia e di frustrazione che ha le sue indubbie radici e le sue buone cause, per non risalire alle crociate e alle guerre sante cristiane, predicate nei confronti dell’Islam. E’ certo poi che, sia il conflitto israelo-palestinese che continua da decenni con una durissima occupazione dei Territori palestinesi a grandissima maggioranza musulmana sia le guerre sbagliate e non so quanto legali in Afganistan e in Iraq, sono indubbie provocazioni di cui non si può non tenerne conto. In questa situazione il mondo musulmano si rafforza politicamente unendosi e coalizzandosi contro l’Occidente.

Vorrei lasciare alcune piste di riflessione:

E sono: 1) Essere soprattutto uomini e donne di apertura. 2) Puntare all’incontro prima e più che al dialogo. 3) Osare un incontro prettamente francescano. 4) Guardare l’altro al di fuori delle etichette o dei pregiudizi. 5) Saper guardare le cicatrici delle sofferenze dell’altro. 6) Aprire le porte alla delicatezza e alla pazienza di Dio. 7) Ottimismo nella speranza.

Salvaguardia del creato

Considerare con serietà la questione del benessere del creato – gli esseri umani, gli animali e la terra tutti insieme - è intrinsecamente collegato a questioni di giustizia e pace. Nelle vostre Costituzioni l’articolo 18/§4 così recita: “Seguendo l’esempio di Francesco, patrono degli ecologisti, promuovano attivamente iniziative a salvaguardia del creato, collaborando agli sforzi per evitare l’inquinamento e il degrado della natura e per creare condizioni di vita e di ambiente che non siano di minaccia per l’uomo”.

Nei giorni scorsi i media hanno diffuso l’ennesimo allarme ambientale. Scienziati di tutto il mondo sono a consulto sul futuro della terra. Ogni dieci anni l’Artico perde il 3/100 della sua superficie gelata. Allo scioglimento dei ghiacci corrisponde un aumento del livello delle acque degli oceani, tre centimetri per decennio, con punte però di dieci centimetri in alcune aree critiche dell’oceano Indiano e del Pacifico dove per numerosi atolli si prospetta la completa scomparsa a breve e un mondo sempre più caldo. La terra è dunque in pericolo. Secondo la sintesi del rapporto delle Nazioni Unite sul surriscaldamento del pianeta, nel 90% dei casi la responsabilità è del gas serra e delle attività umane come il riscaldamento domestico, la circolazione automobilistica e i processi industriali ecc.

Il rapporto corretto e semplice di Francesco con gli esseri umani e con la natura, e il fatto di associare entrambe le relazioni nelle mani del Creatore, di cui si trova un modello nel Cantico delle Creature, spinsero Giovanni Paolo II a dichiararlo Patrono dei cultori dell’ecologia. In occasione dell’VIII Centenario della nascita di Francesco d’Assisi, i responsabili del Movimento della Famiglia Francescana e dell’Ufficio GPSC dei Frati Minori, unitamente ai responsabili delle Società laiche di ecologia - un esempio di interessante collaborazione - hanno organizzato il Seminario Internazionale Terra Mater che si è svolto a Gubbio nel settembre 1982. Ricordo che detto congresso, che ha visto la partecipazione di eminenti ecologisti, si è concluso con un documento finale: Carta di Gubbio. A conclusione del Seminario Giovanni Paolo II, rivolgendosi alla folla per la recita dell’Angelus, non ha mancato di accennare all’incontro ringraziandone i promotori e i relatori e auspicando che la crisi ecologica possa essere l’occasione per far crescere in tutti il rispetto e l’amore per l’ambiente e la natura, sommo dono del Creatore.

Al riguardo ascoltiamo cosa ci dice Francesco: “Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere. E in esse il genere umano molto offende il Creatore”. (Leggenda perugina).

Francesco è l’uomo di pace, di quella pace cosmica che avvolge in un abbraccio universale tutte le creature. Se si vuol parlare oggi dell’ambente naturale in via di distruzione, prima o poi bisogna riferirsi a Francesco d’Assisi. Per Francesco anche il mondo della creazione è nostro fratello e, come tale, non dobbiamo assolutamente disinteressarci di esso. Francesco fu un uomo di profonda relazione con il creato. Il suo amore per la natura si basava sulla teologia del creato in cui Dio, creatore della vita e di ogni vita, aveva chiamato all’esistenza e messo in moto il mondo attraverso un atto della sua volontà. Francesco parla il linguaggio di Dio che è il linguaggio dell’amore, e questo è universale. Per Francesco l’amore è la vita del mondo; nell’amore si trovano affratellate tutte le creatore, perché dall’Amore sono nate, per l’Amore sussistono, all’Amore sono finalizzate. Francesco guarda le creature con occhi d’amore, le tocca con mani d’amore, le ama col cuore colmo d’amore. Per Francesco la natura era tempio, era libro, era voce. Le creature inviano messaggi che sta a noi raccogliere; sono immagini di Dio. Non si tratta di cadere nel panteismo: non sono affatto derivazione o, se vogliamo, emanazione di Dio, ma creazione gratuita. Francesco ha voluto riconciliare l’uomo con la natura. Egli è un’autentica alternativa al modo di comportarci. Nella crisi ecologica del nostro tempo egli rappresenta un chiaro orientamento. Come seguaci di Francesco dovremmo scoprire e vivere la nostra parentela con la natura. Ma come?

Cambiando il nostro stile di vita per esemplificare ulteriormente il nostro modo di vivere personale e comunitario. Cercando ogni giorno il contatto con la natura riacquistando così la nostra dimensione naturale. Esprimendo la nostra gioia di vivere e sentirci parte con la luce, l’acqua, il fuoco e la terra. Coltivando lo stupore per le bellezze del creato partecipandolo ai bambini, ai giovani e a tutti. Non considerando la natura solo sotto l’aspetto dell’utilità, ma stimandola come valore in sé. Comportandoci pieni di rispetto e senza sprechi con l’aria che respiriamo, con l’acqua che usiamo, col fuoco che ci riscalda, con la terra che ci dà i suoi frutti. Riconciliandoci con la natura e riparando quello in cui abbiamo mancato verso di essa. Facendo della natura un luogo di riflessione costante, di meditazione contemplativa.



Adempiendo questi suggerimenti potremmo riacquistare il cuore e il volto che abbiamo perduto e potremmo allora sperare. L’uomo diventerebbe custode della bellezza del cosmo e la natura diventerebbe amica. Si tratta, come francescani, di manifestare pubblicamente un nuovo stile di comportamento e realizzarlo. Ciò acquisterebbe carattere di testimonianza e perfino di dimensione profetica da provocare sempre di più ad una frugalità di vita. Francesco che abbraccia il lebbroso (2Cel.99, che si fa povero (1Cel.76 e “minore” (leg.min.III, lez.IV), che invita i suo frati ad annunciare al mondo la pace (Reg. non bull. 14), che ammansisce il lupo di Gubbio (Fioretti,XXI), che incontra il Sultano d’Egitto (1Cel.57), che canta le meraviglie del creato (2Cel.213), ci stimola e ci sostiene in questo impegno. Abbiamo tra le mani un messaggio altamente formativo per noi stessi e per coloro che vivono accanto a noi.

Senza dimenticare l’ecologia del cuore e della coscienza. Far crescere la propria coscienza ecologica significa divenire più spirituali. Il creato, se bene integrato nel nostro pellegrinaggio spirituale, ci potrà aiutare a sviluppare una mentalità più ampia e più solare allontanandoci così dall’individualismo che sta contribuendo alla distruzione del nostro pianeta. John Sigmund, un astronauta, ha affermato: “Soltanto quando ho visto il nostro pianeta dallo spazio in tutta la sua ineffabile bellezza e fragilità ho capito che il compito più impellente dell’umanità è quello di preservarlo. Insomma la visione ecologica francescana in tutta la sua globalità può essere e diventare stupendo veicolo di evangelizzazione.

Conclusione Diamo continuamente per scontato che Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato fanno parte integrante della nostra vocazione francescana. Con questo intendo dire che noi, seguaci di Francesco, dobbiamo vivere un modo speciale di rapportarci con Dio, tra noi e con la natura, una relazione che possiamo appropriatamente descrivere come “fraterna”. La nostra missione di evangelizzare o di annunciare la Buona Notizia con corpo e anima, con opere e parole ci obbliga a riconoscere ed assumere la nostra responsabilità per una maggior giustizia in questo mondo, ad impegnarci perché la pace regni tra noi e tra tutti gli uomini e a non perdere mai di vista il nostro compito di proteggere la natura, che appare già ferita a morte.

Partendo da questi principi che sono anche e soprattutto teologici, dobbiamo interrogarci sui fondamenti spirituali e sul significato del nostro impegno per gli ambiti di GPSC. Nel senso che sono principi fondamentali di azione. Quello che viviamo non dovrebbero essere teorie incerte, ma piuttosto una prassi da prendere molto sul serio e sulla quale vogliamo interrogarci. Diversamente parlare della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato senza calare queste belle cose nella realtà dell’oggi, rischiamo di fare della teoria disincantata. “In conformità al Vangelo, i francescani secolari dicono il loro sì alla speranza e alla gioia” leggo nelle vostre Costituzioni. Prima della conversione Francesco era un festaiolo, poi, da festaiolo è diventato un uomo festoso; Francesco ci trasmetta la gioia del cuore. Ci incanti e ci innamori di Dio. Ammaliamoci di Francesco. Chi si ammala di lui non guarisce più.

Roma, 10 febbraio 2007 marco malagola, ofm


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