sabato, ottobre 13, 2007

di Fabio Gioffrè
editoriale di Perfetta Letizia


Malattia, sofferenza, speranza, fede, unite insieme queste parole ci portano in un mondo – quello dei malati cronici - che resta sconosciuto alla gran parte delle persone. L’universo del malato, stigmatizzato é spesso celato, occupa una dimensione molto lontana dalla quotidianità ‘veloce e distratta’ di cui siamo artefici e vittime. Eppure chi di noi non ha avuto nella vita un amico o un parente malato gravemente? Sarebbe un grave errore non soffermarsi a riflettere su quanti di noi convivono con malattie, spesso incurabili, spesso ad esito infausto.

Il messaggio scritto da Benedetto XVI – l’8 dicembre 2006 - affronta e anticipa i temi trattati durante la Quindicesima
Giornata Mondiale del Malato, celebrata lo scorso 11 febbraio.
La Chiesa di Cristo emblema della Fede. La Fede emblema della sofferenza. Un connubio questo indissolubile per chi ha trovato in essa una via migliore per navigare nel mare del dolore.
La Fede soprattutto, ma non solo. Benedetto XVI nel suo messaggio evidenzia l’importanza delle cure palliative. Lenire le sofferenze dei malati incurabili è soprattutto un atto di umanità civile, curarli e accompagnarli spiritualmente è un atto di carità fraterna. In proposito il Pontefice scrive: «Questo è un diritto che appartiene a ogni essere umano e che tutti dobbiamo impegnarci a difendere». Il Papa dedica particolare attenzione a quanti operano nel mondo del volontariato cattolico e delle istituzioni ecclesiastiche di assistenza: «Molti di questi individui, personale sanitario, agenti pastorali e volontari, e istituzioni, in tutto il mondo servono instancabilmente i malati, negli ospedali e nelle unità per le cure palliative, nelle strade cittadine, nell'ambito dei progetti di assistenza domiciliare e nelle parrocchie».
Inscindibilmente legato alle sofferenze di Cristo il malato incurabile ripone nella Fede e nella speranza le proprie sofferenze e le proprie speranze. Ciò è quanto il Papa ha voluto dire rivolgendosi direttamente ai malati. In questo contesto è indubbio il riferimento alla data dell’11 febbraio, festa di Nostra Signora di Lourdes. Una delle più frequentate mete di pellegrinaggio e di speranza è proprio il Santuario mariano di Lourdes; milioni di pellegrini e di malati ogni anno affollano il santuario, chi sperando in un miracolo di guarigione, chi invece come semplice pellegrino. In quel luogo tanto affollato eppure tanto silenzioso si resta impregnati di spiritualità e colmi di Fede. Chi vi scrive può testimoniarlo. L’argomento di cui stiamo parlando non ha mancato di suscitare un dibattito molto acceso in questi ultimi mesi. Eutanasia, accanimento terapeutico, cure palliative hanno tenuto banco su tutti i mezzi di informazione. La morte di Pier Giorgio Welby – malato di distrofia muscolare da oltre 40 anni - ha suscitato grandi discussioni e grandi interrogativi nel mondo politico e nella Chiesa. Ha diviso medici, psicologi, giuristi, filosofi, politici, opinionisti. Non è facile dare un giudizio su quale sia il confine tra eutanasia e accanimento terapeutico. Di fronte alla morte di P.G. Welby molti di quelli che credevano di avere le idee chiare hanno adesso molti dubbi. Su ogni situazione intervengono diversi fattori che rendono il singolo caso fine a se stesso, unico e irripetibile. Fare una legge che coinvolga tutta la comunità dando ad ogni singolo individuo gli stessi strumenti legali per decidere della propria vita o della propria morte è forse inappropriato. Bisogna fare anche un’altra riflessione; P.G. Welby ha deciso di morire, ma altri che si trovano nelle sue stesse condizioni chiedono di essere aiutati a continuare a vivere. Così è venuto allo scoperto il signor Enrico Canova, malato grave di distrofia, che con un filo di voce chiede di continuare a vivere perché anche così la vita è bella; lo stesso atteggiamento lo ritroviamo nel signor Lovisolo che accetta la sua condizione e la trova soddisfacente; o nel professor Melazzini - malato di SLA da quattro anni, muove solo due dita, ma si impegna a fare della sua vita un servizio agli ammalati dichiarando di avere una “inguaribile voglia di vivere”. Clamoroso è il caso del grande fisico Hawking, paralizzato da una sclerosi per cui comunica solo con un computer, che dal 1979 ricopre all’università di Cambridge la cattedra Lucasiana e continua a studiare i misteri dell’universo. Cosa c’è in queste persone che in P.G. Welby si è spento? Non sta a noi convincere a tutti i costi una persona a vivere, ma certamente dobbiamo farci delle domande. L’anestesista Antonio Foletti che lavora all’ospedale di Losanna – dove si può accedere al suicidio assistito – afferma che in tre anni solo tre persone hanno chiesto la morte. In Olanda la percentuale di eutanasie è altamente incrementata da malati in fase terminale e affetti da depressione grave.
Le scelte di fine vita sono scelte individuali. Dietro ogni richiesta di morire si cela in realtà una invocazione di aiuto a liberarsi della sofferenza, dell’angoscia e dalla solitudine in cui spesso sono lasciati i malati e le loro famiglie. Vivere dignitosamente i momenti ultimi, essere circondati dai propri affetti e da quanti a vario titolo possono offrire il loro aiuto, assecondando i desideri e senza uccidere la speranza, rispettando la volontà espressa dal malato, sollevandolo dal dolore e dalla sofferenza che ad esso si accompagna.E’ questa la condizione per ridurre la richiesta di morire ancor prima di morire.

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