sabato, ottobre 13, 2007

di Raffaella Serini

I premi Nobel, di solito, ce li immaginiamo come delle creature stra-ordinarie. Soprattutto quelli “per la Pace”, le cui azioni, idee, intuizioni hanno inciso, o incideranno, sul corso della storia. Quando poi, però, ti ritrovi faccia a faccia con uno di loro, ti rendi conto che sono persone del tutto “normali”, se non fosse per quella luce negli occhi che è propria di chi ha un sogno - un grande sogno – ed è convinto che, per quanto difficile, prima o poi lo realizzerà. Il sogno del Premio Nobel per la Pace 2006, Muhammad Yunus, economista del Bangladesh, dal 1974 a servizio dei poveri, è quello di relegare al più presto fame e miseria nei musei:


“Io credo fermamente che sia possibile liberare il mondo dalla povertà. E in un mondo senza più indigenza occorrerà creare dei musei per mostrare in che modo, un tempo, molta gente vivesse per strada, senza nulla da bere e mangiare, e senza vestiti con cui proteggersi dal freddo. Gli studenti che li visiteranno ne rimarranno impressionati”.

Questo è uno di quei desideri che, in altre situazioni e contesti, non si esiterebbe a definire utopico. Eppure Yunus è in grado di parlarne con una tale forza, una convinzione e un entusiasmo così grandi, che alla fine persuade, persuade e seduce. E tantissimi sono stati i “sedotti” che nel mese di aprile hanno assistito alle lezioni magistrali che il premio Nobel ha tenuto in alcune città italiane.
Pensare che l’avventura di questo piccolo (per statura) grande (per spirito) uomo ebbe inizio con appena 27 dollari. Yunus era Direttore del dipartimento di Economia dell’Università di Chittagon, in Bangladesh, quando, nel 1974, il paese fu colpito da una grave carestia che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Fu in quella drammatica occasione che si rese conto di quanto le teorie economiche fossero insufficienti a fronteggiare le calamità e inadatte a dare un contributo concreto per arginare la povertà dilagante. Con l’intento di fornire un aiuto immediato alle persone che lo circondavano, Yunus cominciò ad analizzare “sul campo” l’economia quotidiana di un villaggio rurale, rendendosi presto conto che la povertà non dipendeva dall’ignoranza o dalla pigrizia della gente, ma piuttosto dalla carenza delle strutture finanziarie. Decise quindi di “censire” tutte le persone che, dopo aver ottenuto un prestito, erano diventate vittime dei creditori e, quando la lista fu completa, si rese conto che l’ammontare complessivo dei debiti era di appena 27 dollari: “Ne fui scioccato”. Così l’economista decise di dare di tasca propria, a quella gente, i soldi necessari a saldare i loro debiti, per poi, alla fine, domandarsi: “Ma se sono riuscito a fare felici così tante persone con una quantità di denaro così piccola, perché non dovrei fare di più?”
Un interrogativo al quale, evidentemente, non è riuscito a trovare risposta, visto che poi si è messo all’opera inventando un rivoluzionario sistema di microcredito (piccoli prestiti destinati a progetti imprenditoriali circoscritti), che oggi finanzia circa 7 milioni di poveri in 73 mila villaggi del Bangladesh. “Mi accorsi che sarebbe stato impossibile convincere le banche convenzionali a intraprendere questa strada, e allora decisi di crearne una io (la Grameen Bank, ndr) fatta apposta per questo scopo. Il meccanismo, d’altronde, era semplice: bastava vedere come si comportavano le altre banche e poi fare esattamente l’opposto. Loro erano interessate ai ricchi, mentre per noi erano i più poveri a essere più attraenti”. Soprattutto se donne, categoria che le banche tradizionali neppure consideravano, ma che oggi rappresenta il 97% dei beneficiari degli investimenti della Grameen Bank. Questo perché sin dall’inizio si sono dimostrate più attente e premurose nell’amministrare il denaro che veniva loro affidato, destinando i profitti delle loro imprese al sostentamento della famiglia. Un cambiamento di portata rivoluzionaria, visto che nessuna donna, prima di allora, l’aveva mai neppure toccata una moneta: “Erano scettiche, ci dicevano di rivolgerci ai loro mariti, che erano loro a gestire l’economia familiare. C’è voluto del tempo per sradicare questo loro timore, ma alla fine hanno dimostrato di essere persino più brave degli uomini, al punto da diventare la colonna portante dell’intero sistema”.
Un sistema, quello ideato da Yunus, che ha determinato un cambiamento di mentalità anche all'interno della Banca Mondiale, la quale ha infatti iniziato ad avviare progetti simili a quelli della Grameen Bank. Con l'andare del tempo, il microcredito è diventato così uno degli strumenti di finanziamento utilizzati in tutto il mondo per promuovere lo sviluppo economico e sociale. Attualmente è diffuso in oltre cento stati, dall'Uganda agli Stati Uniti. "In Bangladesh, dove solitamente non funziona nulla – ha dichiarato una volta il Nobel per la Pace – il microcredito funziona come un orologio svizzero". Da quando è stata creata, la Grameen Bank (che, ricordiamo, è stata la prima banca al mondo a concedere prestiti basandosi non sulla solvibilità ma sulla fiducia) ha erogato più di 5 miliardi di dollari a oltre 5 milioni di richiedenti: questi, una volta ottenuto il denaro, si sostengono a vicenda in gruppi cosiddetti "di solidarietà", che si assumono la responsabilità solidale del rimborso del prestito.
Forte di questo "storico" successo, a Yunus non resta che guardare con speranza al futuro. La prossima sfida è rappresentata dal Social Business Enterprise, "un'impresa – spiega – creata non per massimizzare i profitti, ma i benefici per le persone a cui si rivolge, senza tuttavia incorrere in perdite". Ne è un esempio la Grameen Bank Danone Foods Social Enterprise, joint venture partecipata al 50% dal gruppo Danone e dalla Grameen Bank, e chè è nata in Bangladesh per "assicurare un apporto nutritivo giornaliero ai bambini poveri del paese".


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