domenica, novembre 18, 2007

di P. Marco Pasquali cp


Sempre più stanno balzando all’attenzione dei nostri sensi mediatici diverse vicende di religiosi o sacerdoti che danno “scandalo” proclamando - più con i fatti che con le parole – che la castità non è legala al ministero sacerdotale, ma una specie di residuo bellico. Una sorta di mina antiuomo che si trovano nel loro giardino che coltivano: non possono rimuoverla perché altrimenti esploderebbe tutto, ma resta come un apporto dal passato che deturpa l’ambiente.
Infatti sfogliando dal barbiere un patinato rotocalco “gossipparo”, voltando pagina dopo aver letto quattro pagine su di una teleprezzemolina che si lamenta che tutti l’ammirano per il lavoro del suo chirurgo estetico e non per il suo talento, abbiamo sobbalzato sulla poltrona in finta pelle di fronte al successivo scoop. In pieno stile postmoderno ci siamo imbattuti nel volto sorridente di Emmanuel Milingo, che con un semplicità disarmante passa da esorcista (ammesso che lo sia mai effettivamente stato) ad essere la versione nera di Padre Ralph De Bricassart - il protagonista dell’ormai celebre Uccelli di rovo - rivendicando la legittimità della propria unione con Maria Sung e fondando l’associazione Married Priests Now con la quale invita la Chiesa cattolica a rivedere la legge ecclesiastica sul celibato per i preti.

Accanto all’alto prelato c’è anche tutto un gruppo di colletti bianchi che praticamente non credono più nel celibato. Troviamo infatti che, alla posizione dell’ ex-vescovo di Lusaka, si accoda Don Sante Sguotti che, nella puntata di Matrix del 31 Ottobre 2007, dichiara di voler continare ad esercitare il suo ministero di parroco di Monterosso, pur avendo una relazione con una parrocchiana e una sospensione da parte del suo Vescovo. C’è anche chi finisce sotto la gogna mediatica come questi tre sacerdoti che, nella puntata di Exit del 2 Ottobre 2007, sono stati ripresi inconsapevolmente mentre adescavano – complice una chat - altri ragazzi per avere rapporti sessuali omo e/o sadomaso. Di fronte alla talpa della trasmissione dopo un “quanto sei bbono” (con due “b”) cominciavano a giustificare l’inconciliabilità del loro stato di preti con l’andare “all’arrembaggio”, con il classico clichè “ma sai quanti sono a farlo ?” corredato da frasi del tipo “questa è una cosa mia personale che non c’entra con il mio lavoro di prete”.
Al di là dei casi specifici – che non mi permetto nemmeno di giudicare -, sorge spontanea la domanda su cosa ne resta della castità che religiosi/e e sacerdoti si impegnano a vivere ogni giorno: è legata al sacerdozio stesso o un’invenzione di una chiesa oscurantista ? E’ un valore importante per vivere e realizzare al meglio la pienezza di questo mistero o un effetto collaterale imposto da una Chiesa pruriginosa ?
Evidentemente sotto accusa non ci sono delle singole persone, storie vissute con tutta la loro drammaticità che meritano sempre rispetto, silenzio e pudore. Sotto i riflettori volgiamo mettere sia il senso della castità che il legame tra castità e sacerdozio. Infatti sopramenzionato don Sante si è presentato di fronte alle telecamere di Mentana supportato da un gruppo di parrocchiani che, contrariamente al suo Vescovo, non vedono cosa ci sia di male nel fatto che un prete possa voler essere padre - in senso biologico - e marito di una donna. Quei parrocchiani e forse molti cristiani forse non lo capiscono più. Allora mi sembra quasi di sentire serpeggiare un’espressione: “poveretti”.
Ecco che sorge allora un'altra domanda: cosa ci si aspetta che sia un prete ? Quale aspettative ha la gente di fronte ad un ministro ordinato ? Notiamo per prima cosa che c’è stata una progressiva riduzione del significato di questa figura: la parola “prete” oramai è sinonimo di “sacerdote”. Cioè questa figura di è ridotta ad semplice ministro del culto; di essa viene colta la funzione cultuale-liturgica e ci si ferma lì. In base a questo punto di vista è inevitabile domandarsi cosa possa cambiare se ad amministrare i sacramenti ci sia una persona sposata o meno. In fondo si tratta di un servizio. Da qui il passo a sostituirlo con un distributore automatico di ostie mi sembra breve. Restando in quest’ottica l’opzione per il celibato resta valida solo perché in questo modo la persona può dedicare tutte le sue energie al suo “gregge”, mentre nel caso del matrimonio andrebbe – giustamente – messa al primo posto la famiglia.
Ma dobbiamo allargare l’orizzonte perché così cogliamo solo l’aspetto “impiegatizio” dell’essere prete, che in realtà gli è totalmente estraneo. Se proviamo a guardare a ciò che è chiamato a essere il prete, ci accorgiamo che egli vuol essere un “altro Cristo”. Il riferimento è sempre la persona concreta di Gesù Cristo: mentre i sacerdoti di altre religioni pregano a nome del popolo per ottenere il favore della divinità, nel cristianesimo il sacerdote agisce al posto della divinità ! Sull’altare dice “questo è il mio corpo” non “questo è il corpo del Figlio di Dio”. Questo è il nucleo della vita del prete: rendere visibile ed efficace la presenza di Cristo nel mondo. Non dovrà infatti solo essere sacerdote, ma anche profeta e maestro nelle vie dello spirito. Dovrà guidare altri a vivere in comunione con il Signore nella Chiesa, dovrà quindi animare una comunità e i suoi membri, perché quando sentono la sua voce possano udire la Sua Parola. Più si realizzerà concretamente questa conformazione a Cristo più sarà efficace la sua opera sacerdotale. Ecco il senso della stimmate di P. Pio che lo rednevano immagine vivente del crocifisso. Gesù di Nazareth, la sua vita, è il modello e per questo la “continenza perfetta nel celibato” ha una valore così alto per la Chiesa.
Forse qualcuno pensa che sia impossibile realizzarsi in questa via, ma non va dimenticato che non tratta di abbracciare un ideale, un “valore”. Si abbraccia una persona con la quale si intesse un rapporto di amore. Se c’è una rinuncia da compiere è sempre in vista di un apertura maggiore: “celibato evangelico non nega il valore degli affetti umani, ma li trasforma e conduce alla generosità e alla delicatezza dei sentimenti”. In questo cammino non siamo noi a scegliere Dio, ma è lui che ci sceglie ed è lui ad intessere un rapporto con noi. Allora l’opzione non è tra avere una relazione con una persona o non averla con nessuno; la castità è vivere la propria affettività con Gesù e attraverso di lui ridonarla “amplificata” al mondo intero. Non può essere allora concepito un lavoro di cui ad un certo punto timbro il cartellino e mi rintano in uno spazio esterno ad esso. Dimenticare la dimensione verticale che fonda quella orizzontale è ridurlo ad un guscio vuoto, nel quale tutto può annidarsi.


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