lunedì, dicembre 31, 2007

da Radio Vaticana

Un Paese diviso tra il dolore e la rabbia. E’ il Pakistan dove a due giorni dall’uccisione dell’ex premier Benazir Bhutto si cercano ancora le responsabilità. Al Qaeda, che in un primo momento aveva rivendicato l’attentato di Rawalpindi, ha fatto marcia indietro. Intanto imperversa la violenza con oltre 30 vittime negli scontri e nei disordini di piazza. Migliaia le persone scese in strada a Lahore dove si sono sentiti slogan contro il presidente Musharraf che, nelle ultime ore, ha ordinato il pugno di ferro contro i rivoltosi. A rischio le elezioni nel Paese. Il servizio di Benedetta Capelli (ascolta):

Ora a vacillare sono anche le elezioni, convocate e confermate ieri dal presidente Musharraf, per l’8 gennaio. Lunedì è in programma una riunione della Commissione elettorale che ha denunciato “gli effetti negativi” degli ultimi tragici eventi sulla consultazione e sulle operazioni preliminari come la stampa delle schede. Elezioni che verranno certamente boicottate dall’altro leader dell’opposizione, Sharif, mentre si attende la decisione del Partito della Bhutto che domani, al termine dei tre giorni di lutto, si pronuncerà in merito. Nel corso della riunione, verrà letto dal figlio un messaggio e una sorta di testamento politico dell’ex premier. Al di là dei futuri scenari resta una la domanda a cui dare risposta: chi ha ucciso la Bhutto? Il leader di Al Qaeda in Pakistan nega ogni responsabilità, nonostante in un primo tempo la rete di Bin Laden abbia rivendicato la paternità dell’attacco. “Non tocchiamo le donne” ha precisato il terrorista che ha indicato nel governo, nei militari e nei servizi segreti i mandanti dell’agguato. L’esecutivo smentisce la ricostruzione perché in possesso di un'intercettazione telefonica nella quale elementi di Al Qaeda si congratulano per l’obiettivo raggiunto. Ma il governo è ancora nell’occhio del ciclone per la versione delle ultime ore della Bhutto, morta, secondo Islamabad, per aver urtato con la testa il tettino apribile della sua macchina dopo l'esplosione. Una ricostruzione non condivisa dal partito dell’ex premier per il quale è stata uccisa da un colpo di arma da fuoco alla testa. In un clima già infuocato, le violenze proseguono sono oltre 30 le vittime. A Lahore sono scese in strada diecimila persone; numerosi gli slogan contro Musharraf: si tratta della manifestazione più imponente dall’assassinio di Benazir Bhutto.
La comunità internazionale si interroga sulle conseguenze politiche dell’omicidio dell’ex premier Benazir Bhutto. L’India, preoccupata per le ripercussioni nell’area, ha deciso di sospendere i collegamenti con il Pakistan per motivi di sicurezza. Sulla vicenda Fabio Colagrande ha raccolto il parere di Michele Zanzucchi, caporedattore della rivista “Città Nuova” (ascolta):

R. - Guardando le immagini dell’assassinio di Benazir Bhutto, delle reazioni spesso scomposte della gente, delle violenze che sono seguite, mi sono venute in mente due riflessioni. La prima è che proprio da quelle parti dove è stata uccisa la Bhutto, poco più a nord, nella cosiddetta alta valle dell’Indo, c’è stata la culla delle civiltà, dicono anche che l’Eden fosse lì. La seconda riflessione è sul fatto che questo Paese è ancora giovanissimo. Nato dalla scissione dall’India, ha un popolo pieno di risorse e sono convinto che il Pakistan risorgerà dalle sue ceneri, dalle difficoltà che sta attraversando. Ha delle capacità di rialzarsi che noi europei non ci immaginiamo. Io penso che si debba guardare al Pakistan con fiducia, nonostante la gravità della situazione, nonostante siano necessarie misure di polizia nazionali e internazionali. D. - Questo Paese è considerato in qualche modo la culla del terrorismo di matrice islamica, qual è la sua impressione? R. - Non credo si possa dire che il Pakistan sia la culla del terrorismo, ma certamente lo sono le zone tribali tra lo stesso Paese e l'Afghanistan dove in questo momento ci sono i centri terroristici più pericolosi esistenti al mondo. Non bisogna dimenticare che il Pakistan ha sempre avuto una conflittualità latente con la vicina India e anche con alcune tribù della zona a nord del Pakistan, ma che anche l’Afghanistan stesso è sconvolto da conflitti da tempo immemorabile. In questo senso, il principale problema di cui soffre il Pakistan è un problema educativo: bisogna togliere l’acqua nella quale vivono questi terroristi e l’acqua è soprattutto il sistema educativo, spesso delegato alle madrasse fondamentaliste o radicali, in cui non si insegna praticamente nulla salvo l’odio e salvo un Islam contestato dagli osservatori più attenti dell'Islam. Quindi, penso che questa sia una sfida reale e non penso che possa essere risolta solo con vie militari. E’ una grande azione umanista che deve essere fatta per togliere e prosciugare l’acqua nella quale vivono i terroristi.


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