di Matteo Fagotto
PeaceReporter
Etiopia ed Eritrea alzano i toni sulla questione del confine
Il 30 novembre la Commissione Internazionale incaricata di tracciare il confine tra Etiopia ed Eritrea chiude i battenti, lasciando i due Paesi a sbrigarsela da soli su una questione in cui, negli ultimi cinque anni, non si sono visti progressi. Ma invece che cercare una soluzione diplomatica i due governi hanno optato per la linea dura, aumentando il budget per la difesa in vista di una ancora improbabile, ma un po' più possibile, ripresa del conflitto che ha provocato 70.000 morti in due anni, avvelenando i rapporti tra Addis Abeba e Asmara.
Confine. Sono passati cinque anni da quando la Commissione, insediata dall'Onu, definì il tracciato di confine, assegnando alcuni territori contesi (tra cui il triangolo di Badme) all'Eritrea. Una decisione che provocò le ire di Addis Abeba: nonostante entrambi i Paesi si fossero impegnati a rispettare le conclusioni della Commissione, da allora fino a pochi mesi fa l'Etiopia ha di fatto bloccato l'intero processo, in spregio del diritto internazionale. Isolata e impotente e dopo tre anni di silenzio da parte delle Nazioni Unite, nel 2005 l'Eritrea non ha trovato di meglio che prendersela coi peacekeepers della Unmee (la missione Onu di 1.700 uomini che monitora il confine), limitandone i movimenti e attirandosi la condanna della comunità internazionale. La diffidenza tra i due Paesi è talmente alta che neanche le recenti aperture dell'Etiopia, che si è detta disposta ad accettare in toto le decisioni della Commissione, chiedendo solo di discutere la sorte delle comunità di confine, ha migliorato la situazione.
Truppe. Isolata a livello internazionale, accusata di sostenere le ribellioni in Etiopia e in Somalia e in predicato di finire nella lista degli “stati canaglia”, l'Eritrea ha poche frecce al proprio arco. “Asmara punta tutto sul fatto che, alla scadenza del 30 novembre, l'Onu costringa l'Etiopia a demarcare il confine, cosa che non avverrà mai”, rivela a PeaceReporter Terrence Lyons, docente alla George Mason University di Arlington (Usa) ed esperto del Corno d'Africa. Troppo importante, soprattutto per gli Stati Uniti, l'alleanza etiope nell'ottica della guerra al terrorismo in Somalia. E così, l'Eritrea potrebbe decidere di riprendere le armi come ultima, disperata misura per far valere le proprie ragioni. Nel qual caso il premier etiope, Meles Zenawi, ha avvertito oggi che le sue truppe sarebbero pronte a spingersi fino ad Asmara. Secondo quanto denunciato recentemente dal Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-moon, i due eserciti avrebbero ammassato almeno 100.000 uomini ciascuno alla frontiera, con gli eritrei che sarebbero penetrati illegalmente nella zona cuscinetto che segue i 1000 km di confine.
Colpe. Nonostante i tempi stretti suggeriscano la ricerca di una soluzione piuttosto che delle responsabilità passate, secondo Lyons “l'Onu ha molte colpe nell'essersi disinteressata del problema nei tre anni trascorsi tra la decisione della Commissione e le prime misure dell'Eritrea contro l'Unmee”.
Una visione condivisa anche da John Bolton, l'ex-ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, il quale ha recentemente giustificato le misure prese da Asmara come “l'unico modo che una nazione piccola e povera aveva per sollevare l'attenzione internazionale, mordendo le caviglie dell'Onu”.
Il disinteresse delle Nazioni Unite ha alimentato la diffidenza dell'Eritrea, la cui rigida posizione anche solo sulla possibilità di colloqui “tecnici” con Addis Abeba ha fornito all'Etiopia il pretesto per continuare a violare il diritto internazionale. “Se la posizione dell'Eritrea è legalmente ineccepibile, non è saggia dal punto di vista diplomatico” continua Lyons. “I due Paesi devono tornare a parlarsi, per risolvere la questione di Badme ma anche i problemi più generali di sicurezza nel Corno d'Africa. Ma ad Asmara sono interessati solo al primo punto”.
PeaceReporter
Etiopia ed Eritrea alzano i toni sulla questione del confine
Il 30 novembre la Commissione Internazionale incaricata di tracciare il confine tra Etiopia ed Eritrea chiude i battenti, lasciando i due Paesi a sbrigarsela da soli su una questione in cui, negli ultimi cinque anni, non si sono visti progressi. Ma invece che cercare una soluzione diplomatica i due governi hanno optato per la linea dura, aumentando il budget per la difesa in vista di una ancora improbabile, ma un po' più possibile, ripresa del conflitto che ha provocato 70.000 morti in due anni, avvelenando i rapporti tra Addis Abeba e Asmara.
Confine. Sono passati cinque anni da quando la Commissione, insediata dall'Onu, definì il tracciato di confine, assegnando alcuni territori contesi (tra cui il triangolo di Badme) all'Eritrea. Una decisione che provocò le ire di Addis Abeba: nonostante entrambi i Paesi si fossero impegnati a rispettare le conclusioni della Commissione, da allora fino a pochi mesi fa l'Etiopia ha di fatto bloccato l'intero processo, in spregio del diritto internazionale. Isolata e impotente e dopo tre anni di silenzio da parte delle Nazioni Unite, nel 2005 l'Eritrea non ha trovato di meglio che prendersela coi peacekeepers della Unmee (la missione Onu di 1.700 uomini che monitora il confine), limitandone i movimenti e attirandosi la condanna della comunità internazionale. La diffidenza tra i due Paesi è talmente alta che neanche le recenti aperture dell'Etiopia, che si è detta disposta ad accettare in toto le decisioni della Commissione, chiedendo solo di discutere la sorte delle comunità di confine, ha migliorato la situazione.
Truppe. Isolata a livello internazionale, accusata di sostenere le ribellioni in Etiopia e in Somalia e in predicato di finire nella lista degli “stati canaglia”, l'Eritrea ha poche frecce al proprio arco. “Asmara punta tutto sul fatto che, alla scadenza del 30 novembre, l'Onu costringa l'Etiopia a demarcare il confine, cosa che non avverrà mai”, rivela a PeaceReporter Terrence Lyons, docente alla George Mason University di Arlington (Usa) ed esperto del Corno d'Africa. Troppo importante, soprattutto per gli Stati Uniti, l'alleanza etiope nell'ottica della guerra al terrorismo in Somalia. E così, l'Eritrea potrebbe decidere di riprendere le armi come ultima, disperata misura per far valere le proprie ragioni. Nel qual caso il premier etiope, Meles Zenawi, ha avvertito oggi che le sue truppe sarebbero pronte a spingersi fino ad Asmara. Secondo quanto denunciato recentemente dal Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-moon, i due eserciti avrebbero ammassato almeno 100.000 uomini ciascuno alla frontiera, con gli eritrei che sarebbero penetrati illegalmente nella zona cuscinetto che segue i 1000 km di confine.
Colpe. Nonostante i tempi stretti suggeriscano la ricerca di una soluzione piuttosto che delle responsabilità passate, secondo Lyons “l'Onu ha molte colpe nell'essersi disinteressata del problema nei tre anni trascorsi tra la decisione della Commissione e le prime misure dell'Eritrea contro l'Unmee”.
Una visione condivisa anche da John Bolton, l'ex-ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, il quale ha recentemente giustificato le misure prese da Asmara come “l'unico modo che una nazione piccola e povera aveva per sollevare l'attenzione internazionale, mordendo le caviglie dell'Onu”.
Il disinteresse delle Nazioni Unite ha alimentato la diffidenza dell'Eritrea, la cui rigida posizione anche solo sulla possibilità di colloqui “tecnici” con Addis Abeba ha fornito all'Etiopia il pretesto per continuare a violare il diritto internazionale. “Se la posizione dell'Eritrea è legalmente ineccepibile, non è saggia dal punto di vista diplomatico” continua Lyons. “I due Paesi devono tornare a parlarsi, per risolvere la questione di Badme ma anche i problemi più generali di sicurezza nel Corno d'Africa. Ma ad Asmara sono interessati solo al primo punto”.
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