lunedì, dicembre 24, 2007
Alla pochi giorni dal voto, il Paese si interroga sulle sue contraddizioni.

dal sito di PeaceReporter

Vetrina dell'Africa sviluppata o terra di sanguinosi scontri per il possesso della terra? Il Kenya, che il prossimo 27 dicembre andrà alle urne per scegliere il nuovo presidente, si interroga sul suo futuro e le sue contraddizioni, che fanno di Nairobi la città più all'avanguardia del continente, ma anche la capitale di un Paese che assiste impotente agli scontri che ormai da mesi colpiscono le zone al confine con l'Uganda.

Alle urne si sfideranno, nell’elezione presidenziale più equilibrata degli ultimi anni, l’attuale presidente Mwai Kibaki e il leader del Movimento democratico arancione (Odm) Raila Odinga. I sondaggi danno Odinga come favorito, ma la comunità degli affari spera che il risultato delle urne confermi l’immagine positiva che il Kenya è riuscito a ritagliarsi nel suo periodo post-coloniale. Fra gli stati africani, il Kenya appare uno di quelli che gode di miglior salute: durante il suo mandato, Kibaki ha stimolato una solida crescita dell’economia e il diritto all’istruzione elementare gratuita è stato esteso a tutto il Paese. Con uno dei tassi di alfabetizzazione più alti d’Africa (73%) e con un’immagine internazionale sempre più credibile nonostante l'instabilità dei Paesi confinanti (Etiopia e Somalia in primis), il Kenya è “la favola bella” nel caos e nella fragilità della politica africana.

L’eccezione keniota appare meno brillante se si presta attenzione a ciò che sta succedendo alle pendici del monte Elgon, regione occidentale confinante con l’Uganda, teatro da mesi di violenti scontri che hanno già causato, secondo cifre dello stesso governo keniota, almeno 300 vittime e migliaia di rifugiati. L’origine di questo conflitto nasce da malumori in seguito ad un’errata redistribuzione delle terre. Durante il processo di distribuzione delle terre, avviato nel dicembre 2006 dopo colpevoli ritardi, irregolarità e evidenti casi di corruzione hanno fatto precipitare l’intento della riforma. La comunità Soi ha denunciato una non equa distribuzione e, come risposta alle autorità governative, ha dato vita al gruppo ribelle delle Sabaot Land Defence Forces (Sldf). La guerriglia ha messo a ferro e fuoco l’intera regione, con l'obiettivo di spingere il governo ad annullare li provvedimenti che li hanno costretti ad evacuare le terre dei loro antenati, delle quali si sono impossessati i membri del clan rivale, i Ndoboro.

Alle pendici del monte Elgon si contano i morti, e i primi a soffrire di tali violenze sono i bambini: secondo un rapporto dell’Unicef, sono almeno 46 mila i minori che sono stati costretti ad abbandonare i propri villaggi, incendiati dalle incursioni e dalle attività di guerriglia delle Sldf. Scuole deserte, capanne incendiate, coltivazioni abbandonate: per combattere i ribelli, le forze di polizia stanno utilizzando metodi forti, incendiando le abitazioni dei presunti simpatizzanti e dei collaborazionisti. Nel mezzo rimane la popolazione inerme: i rapporti riferiscono di 60 mila rifugiati su un totale di circa 160 mila abitanti. Così, una regione fertile, un tempo capace di esportare cibo in Uganda, è costretta da due anni a importare derrate alimentari da Nairobi. Gli agricoltori che hanno tentato riavviare le loro attività sono stati uccisi dai membri delle Sldf. "La situazione attuale è peggiorata al di sotto della dignità umana” ha dichiarato Remi Carrier, responsabile di Medici senza Frontiere in Kenya. Vista la strumentalizzazione del conflitto da parte dei politici locali, che sostengono le due comunità in cambio di voti, la prossimità delle elezioni non potrà altro che far aumentare l’escalation di violenza e di sangue in una regione dimenticata dalla pacifica, democratica e cosmopolita Nairobi.

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