APPROFONDIMENTO - Se dopo la morte solo l’anima va in paradiso, cos’è questa resurrezione dei corpi? E cosa sono gli esorcismi? Risponde padre Saverio Cannistrà, docente di Teologia Sistematica
Le due domande, pur essendo oggettivamente piuttosto disparate, nascono dallo stesso humus culturale ed entrambe possono trovare una risposta adeguata solo facendo riferimento al nocciolo duro della fede cristiana. Domande di questo genere, del resto abbastanza frequenti, provengono da una situazione culturale post-cristiana, in cui frammenti di discorso cristiano sono ripresi e usati per alimentare un immaginario mitologico o atteggiamenti superstiziosi. Pertanto, credo che il primo messaggio che deve essere inviato, in modo particolare alle giovani generazioni, è che la fede non solo non esclude l’uso della ragione, ma anzi lo richiede. Il credente, ancor più dell’agnostico, dovrebbe essere in grado di criticare le varie forme di degenerazione in senso irrazionale della fede, che vanno dai tanti spiritualismi e pseudomisticismi a vere e proprie forme di pensiero magico.
Il primo punto fermo a cui è necessario attenersi è la persona di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Il Dio in cui crediamo è un Dio fatto carne ed entrato nella storia, che ci obbliga a volgere lo sguardo non verso un cielo lontano e sconosciuto (cf. At 1,11: «Perché state a guardare il cielo?»), ma a ciò che ci circonda, e ci chiama a riconoscerlo in mezzo a noi, nella Parola e nei sacramenti, nella comunità riunita e nel fratello più povero. Solo entrando in questa logica di incarnazione, possiamo comprendere il senso della fede nella resurrezione della carne. Il Dio che ha voluto abitare in mezzo a noi, è anche il Dio che ci chiama ad abitare per sempre presso di Lui. Per raggiungerlo non dobbiamo fuggire o abbandonare la nostra concreta e corporea umanità, poiché la via per giungere a Dio è lo stesso Gesù Cristo, uomo come noi, risorto e asceso al Padre nel suo stesso corpo. Come Paolo spiegava ai cristiani di Corinto, non avrebbe nessun senso credere che Gesù è risorto e poi negare che anche noi risorgeremo col nostro corpo. Si potrebbe addirittura sostenere che è proprio al corpo, inteso come realtà concreta e unitaria dell’uomo, che è donata la salvezza.
Anche riguardo al male vale per il credente la stessa logica di fedeltà alla concretezza della carne e della storia. È importante che non si mitizzi il male, personificandolo in una figura demoniaca, che ha ben poco a che spartire col «mistero di iniquità» a cui la Scrittura si riferisce con diversi nomi e titoli. Anche in questo caso è necessario partire dal Cristo risorto per affrontare nella giusta prospettiva il discorso sulla potenza del male. La resurrezione e glorificazione di Gesù Cristo costituiscono la vittoria definitiva sul male e sulla morte. «Perché siete così paurosi?» (Mc 4,40) chiede Gesù ai suoi discepoli dopo aver sedato la tempesta e questa domanda la rivolge ancora a tutti i cristiani che si lasciano sopraffare dalla paura, dal pessimismo, dal giudizio negativo sulla storia, mortificando la speranza. Ritengo che ai giovanissimi vada innanzitutto testimoniata questa fiducia. Allo stesso tempo va loro dichiarato senza attenuazioni che la lotta contro il male è una dimensione costitutiva dell’esistenza umana, e in particolare cristiana. A ciascuno di noi, però, è data la libertà e la capacità di reagire a quanto di «diabolico» si presenta nella nostra vita, in genere in forme assai ordinarie e addirittura banali.
Le due domande, pur essendo oggettivamente piuttosto disparate, nascono dallo stesso humus culturale ed entrambe possono trovare una risposta adeguata solo facendo riferimento al nocciolo duro della fede cristiana. Domande di questo genere, del resto abbastanza frequenti, provengono da una situazione culturale post-cristiana, in cui frammenti di discorso cristiano sono ripresi e usati per alimentare un immaginario mitologico o atteggiamenti superstiziosi. Pertanto, credo che il primo messaggio che deve essere inviato, in modo particolare alle giovani generazioni, è che la fede non solo non esclude l’uso della ragione, ma anzi lo richiede. Il credente, ancor più dell’agnostico, dovrebbe essere in grado di criticare le varie forme di degenerazione in senso irrazionale della fede, che vanno dai tanti spiritualismi e pseudomisticismi a vere e proprie forme di pensiero magico.
Il primo punto fermo a cui è necessario attenersi è la persona di Gesù Cristo morto e risorto per noi. Il Dio in cui crediamo è un Dio fatto carne ed entrato nella storia, che ci obbliga a volgere lo sguardo non verso un cielo lontano e sconosciuto (cf. At 1,11: «Perché state a guardare il cielo?»), ma a ciò che ci circonda, e ci chiama a riconoscerlo in mezzo a noi, nella Parola e nei sacramenti, nella comunità riunita e nel fratello più povero. Solo entrando in questa logica di incarnazione, possiamo comprendere il senso della fede nella resurrezione della carne. Il Dio che ha voluto abitare in mezzo a noi, è anche il Dio che ci chiama ad abitare per sempre presso di Lui. Per raggiungerlo non dobbiamo fuggire o abbandonare la nostra concreta e corporea umanità, poiché la via per giungere a Dio è lo stesso Gesù Cristo, uomo come noi, risorto e asceso al Padre nel suo stesso corpo. Come Paolo spiegava ai cristiani di Corinto, non avrebbe nessun senso credere che Gesù è risorto e poi negare che anche noi risorgeremo col nostro corpo. Si potrebbe addirittura sostenere che è proprio al corpo, inteso come realtà concreta e unitaria dell’uomo, che è donata la salvezza.
Anche riguardo al male vale per il credente la stessa logica di fedeltà alla concretezza della carne e della storia. È importante che non si mitizzi il male, personificandolo in una figura demoniaca, che ha ben poco a che spartire col «mistero di iniquità» a cui la Scrittura si riferisce con diversi nomi e titoli. Anche in questo caso è necessario partire dal Cristo risorto per affrontare nella giusta prospettiva il discorso sulla potenza del male. La resurrezione e glorificazione di Gesù Cristo costituiscono la vittoria definitiva sul male e sulla morte. «Perché siete così paurosi?» (Mc 4,40) chiede Gesù ai suoi discepoli dopo aver sedato la tempesta e questa domanda la rivolge ancora a tutti i cristiani che si lasciano sopraffare dalla paura, dal pessimismo, dal giudizio negativo sulla storia, mortificando la speranza. Ritengo che ai giovanissimi vada innanzitutto testimoniata questa fiducia. Allo stesso tempo va loro dichiarato senza attenuazioni che la lotta contro il male è una dimensione costitutiva dell’esistenza umana, e in particolare cristiana. A ciascuno di noi, però, è data la libertà e la capacità di reagire a quanto di «diabolico» si presenta nella nostra vita, in genere in forme assai ordinarie e addirittura banali.
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