di Luca Marchina
PeaceReporter
da Nairobi, un cooperante fotografa la situazione in Kenya
All'apertura del summit dell’Unione Africana il presidente Alpha Konare si è espresso così: “Se il Kenya brucia, non ci sarà domani”. Il Kenya da sempre è un esempio positivo in un continente devastato dai conflitti, un Paese che non aveva mai conosciuto una guerra sul suo suolo dal giorno dell’indipendenza. Oggi questo Paese brucia, mandando al collasso anche l’intera regione centro-orientale dell’Africa. In questi giorni più di una volta si è scomodata la parola genocidio e l’esempio del Rwanda, forse esagerando, ma sicuramente qualche similitudine tra le due situazioni c’è. Interpellato dai giornalisti Paul Kagame (presidente del Rwanda) ha detto che l’unica soluzione per evitare un 'nuovo Rwanda' è l’intervento massiccio e immediato dell’esercito. Questa possibilità circola nei discorsi che si ascoltano nelle vie di Nairobi. Molti credono che nei prossimi giorni sia possibile una presa del potere da parte dell’esercito.
Tutti contro tutti.
Giovedì c'è stata la morte di un secondo deputato dell'opposizione, a Eldoret (nella Rift Valley) per mano di un poliziotto. Questi giorni sono un banco di prova importante per vedere l’evoluzione della situazione, ma le premesse non sono buone. Mentre scrivo, in molte zone dell’ovest del Paese si registrano scontri, ora anche verso il confine tanzaniano. Se inizialmente la violenza post-elettorale si era indirizzata contro i kikuyu, etnia del rieletto presidente Kibaki, oggi si assiste ad una risposta, una controffensiva contro le etnie luo, luhyas e Kalenjins, tutti visti come sostenitori del leader dell'opposizione Raila Odinga che ha denunciato brogli e non ha mai accettato la sconfitta.
I fiori di Naivasha.
La mediazione delle Nazioni Unite sembra essere in questo caso forte e tempestiva con l’ex segretario generale Kofi Annan e il neo segretario Ban Ki-moon scesi in campo in prima persona. Sarà ora da vedere l’efficacia o meno di questa mediazione. Tante fotografie nel migliore hotel di Nairobi per ora, strette di mano e qualche incontro, ma sembra che i politici non siano più in grado oggi i governare quelle stesse masse che inizialmente hanno mosso secondo i loro interessi. Si spera nella riuscita di questa mediazione delle Nazioni Unite che nel frattempo però hanno deciso di evacuare la maggior parte del loro personale. Tutte le radio, i giornali e le televisioni richiamano alla pace anche se i mezzi di comunicazione sono bloccati da un governo che ha proibito la diffusione di immagini in diretta delle violenze. Ecco quindi che è più facile vedere questo tipo di riprese in Europa in questo momento che non sulle TV keniane. Il Kenya è un Paese contraddittorio, ecco perchè ieri nei telegiornali non si vedevano gli scontri ma si poteva ascoltare l’appello di un europeo, capo di un’importante multinazionale floreale di Naivasha, dove in questi giorni si vive in stato di guerra. Essendo il Kenya il primo esportatore di fiori verso l’Europa chiedeva ai lavoratori di tornare a lavorare per non far cadere l’economia kenyana soprattutto in vista di San Valentino.
Trecentomila sfollati.
Nella sola Kibera, prima baraccopoli del Kenya e d’Africa, si stima che ci siano 22.500 sfollati all’interno dello slum e 6.000 nelle aree limitrofe, persone che hanno perso tutto a causa di questa guerra. In tutto il Paese si stimano almeno 300 mila sfollati interni, ma le cifre paiono essere purtroppo al ribasso. Molte organizzazioni keniane ed internazionali si sono mosse per cercare di assistere queste persone a ricostruirsi un futuro. Organizzazioni come la keniana Africa Peace Point (e la sua controparte italiana Africa Peace Point Onlus) che con tenacia si battono per un futuro di nuovo pacifico per un Paese che oggi appare irriconoscibile agli occhi di chi lo frequenta da anni.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.