mercoledì, maggio 14, 2008
Il 13 maggio 2005 in Uzbekistan la peggior mattanza di piazza dopo Tienanmen.

da PeaceReporter

Ricorre oggi il terzo anniversario del massacro di Andijan. Human Rights Watch pubblica un rapporto sul perpetrarsi della repressione governativa contro i presunti responsabili della strage. “Proteggendo i loro segreti. Il governo e la repressione ad Andijan” è il titolo del fascicolo di 45 pagine, reso noto ieri dall'organizzazione per i diritti umani, a ricordare che questo capitolo nero della storia uzbeca non si è chiuso, e ad auspicare, di fronte all'ostinazione delle autorità di Tashkent, una maggiore pressione internazionale per far luce sui fatti.

Andijan, 13 maggio 2005. "Interrogatori, sorveglianza costante, ostracismo e minacce continuano a spingere la popolazione a fuggire da Andijan - si legge nel rapporto - per la seconda volta dal 13 maggio 2005". In quella data, si consumò la strage di piazza più efferata dopo Tienanmen: la mattina presto alcuni uomini avevano attaccato edifici governativi, uccidendo alcuni ufficiali di sicurezza. Avevano fatto irruzione nel carcere della città, prendendo alcuni ostaggi. Motivo dell'attacco: l’arresto di 23 uomini d'affari locali, accusati di essere estremisti islamici. Accusa considerata ingiusta dalla popolazione, che si era radunata per protesta contro il governo nelle strade di Andijan. Le vie e le piazze principali, gremite di uomini, donne e bambini, vennero circondate dall'esercito, con mezzi, anche blindati, cordoni di soldati e trincee di sacchi di sabbia. Una trappola dalla quale in pochi riuscirono a scappare quando il fuoco venne aperto senza alcun preavviso su una folla perlopiù inerme. Il governo ha sempre negato ogni responsabilità in merito all'accaduto, ammettendo la morte di 187 persone, la maggior parte delle quali "banditi" e "terroristi". I supposti 60 civili uccisi, sarebbero caduti invece sotto il fuoco degli insorti. Il tutto era stato frettolosamente liquidato con un processo farsa nel novembre 2005.

Dopo il massacro, la persecuzione. In verità, non si sa quante persone siano realmente morte quel giorno ad Andijan, e probabilmente non si saprà mai. Si parla di alcune centinaia, o migliaia. Seppelliti in fosse comuni, in luoghi segreti, secondo alcuni testimoni. Tante le bocche da cucire, le verità da soffocare, i colpevoli da inventare: nei giorni successivi alla carneficina la dittatura di Karimov ha iniziato i rastrellamenti di massa tra gli ipotetici responsabili della protesta. Centinaia di persone sono fuggite nelle repubbliche limitrofe, molte in Kyrgyzstan, per le quali Tashkent tenta di ottenere il rimpatrio forzato. La dittatura ci prova anche con le buone a far tornare a casa i rifugiati, promettendo che saranno "perdonati". Ma Hrw avverte: "Hanno tutte le ragioni di temere per la loro sicurezza". Grazie anche al deprecabile comportamento dei Paesi vicini che li ospitano: "Kyrgyzstan, Kazakhstan, Ucraina e Russia hanno disatteso gli obblighi internazionali - accusa Hrw - procedendo con il rimpatrio forzato in Uzbekistan dei richiedenti asilo". Chi è rimasto nel Paese, non se la passa meglio: ondate di arresti, minacce, torture e violenze hanno costretto i "sospetti" a firmare confessioni e versioni dei fatti fornite dalle autorità. Testimoni e giornalisti che hanno tentato di fornire versioni diverse da quella ufficiale sono stati messi sotto silenzio. L'attività di Ong locali e nazionali è stata sospesa, e almeno 12 attivisti per i diritti umani arrestati all'epoca sono ancora in carcere. Ritorsioni di vario genere sono state applicate anche alle donne di Andijan, cui sono stati negati servizi assistenziali, e persino ai bambini, sottoposti a umiliazioni e misure disciplinari dalle amministrazioni scolastiche.

Il silenzio dell’Occidente. Con le rilevanti eccezioni di Cina e Russia, la comunità internazionale aveva condannato all'unanimità il comportamento del governo uzbeco. Tuttavia, sia Unione europea che Stati Uniti hanno tenuto una condotta ambigua a riguardo. La prima, dopo essersi vista rifiutare ripetutamente da Karimov la richiesta di una commissione d'indagine, aveva imposto una serie di sanzioni e bloccato i visti per alcuni funzionari governativi giudicati responsabili; decisione, questa, revocata e confermata periodicamente, ma comunque progressivamente attenuata. A Washington la condanna era costata il ritiro delle truppe Usa dalla base di Karshi-Khanabad. Ma dal marzo scorso i soldati a stelle strisce sono tornati in quello che è il loro principale avamposto in Asia centrale, e le relazioni della repubblica ex-sovietica sia con l'Europa che con gli Usa sono riprese. Al di là delle vane esortazioni alla trasparenza e all'autocritica dirette al governo uzbeco, l'appello che Hrw rivolge oggi alla comunità internazionale è quello di mantenere sempre presenti i fatti di Andijan nelle relazioni con Tashkent.

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