giovedì, maggio 08, 2008
La giunta sapeva ma non ha allertato la popolazione. E i soccorsi non si vedono.

da PeaceReporter

Venerdì sera i venti hanno iniziato ad alzarsi verso le 22. Alle 3 del mattino siamo stati svegliati dallo sbattere delle lamiere dei tetti delle case, ormai staccate quasi del tutto. La pioggia ancora non era iniziata a cadere. Le antenne paraboliche sembravano giganteschi freesbee impazziti lanciati contro case, palazzi e infine sulle auto parcheggiate in strada. Verso le 5 ha iniziato a precipitare una pioggia torrenziale riempiendo d’acqua le abitazioni ormai prive di tetti. In poco più di un’ora il livello dell’acqua nelle strade si é alzato fino all’altezza delle maniglie degli sportelli delle auto. I venti, soffiando fino ai 220 chilometri all’ora, accompagnati da un ininterrotto acquazzone, non hanno lasciato tregua ai cittadini di Yangon e al resto della popolazione del sud del Myanmar fino alle dieci del mattino quando, d’improvviso, una silenziosa calma ha pervaso il terreno ormai distrutto.

La quiete dopo la tempesta. Due alberi su tre sono stati sradicati dal suolo, trascinando con loro anche le lastre di cemento circostanti. Non un cartello è rimasto in piedi. Ci sono volute quarantotto ore per raggiungere Dalah, il quartiere più povero della città, sulla sponda sud del fiume Irrawady. Qui le case in mattone o cemento si contavano sulle dita di una mano, il resto delle abitazioni non era altro che un ammasso di baracche di legno e bamboo in cui le porte erano costituite da un telo di plastica. Le zone più colpite e ancora inaccessibili sono le cittadine sul delta. Bogale è il villaggio più colpito, con almeno 10mila morti. “Solo dieci case sono rimaste in piedi” é la voce che é arrivata al nostro tassista. Poi Laputà con circa 2mila morti, Pyapon circa 1.500 e Gheliá con almeno mille decessi circa. In questa regione all’altezza del livello del mare, composta da campi e risaie, l’acqua é salita fino a cinque metri, annegando e portando via ogni forma di vita.

La rabbia della gente, seppur contenuta nella loro solita paura, é diretta quasi interamente al governo che “ha dato pochissimo preavviso e quel poco che ha dato era sbagliato”. In effetti solo nei grandi alberghi e nei lussuosi palazzi di uffici sono apparse circolari di avvertimento sulla base delle informazioni fornite in anticipo dal governo indiano. A quella piccola parte di popolazione dotata di radio o televisione era stato accennato che una forte tempesta avrebbe colpito l’ex capitale sabato pomeriggio. Ma l’uragano è arrivato dodici ore prima.

Soccorsi inefficaci. La corrente elettrica, qui in città, è tornata solo questa sera (mercoledì, ndr). L'acuq manca ancora: la gente la prende dalle pozze per strada. Il prezzo della benzina è raddoppiato e le prospettive sono di un continuo rincaro. I supermercati sono quasi vuoti e le risorse di acqua potabile pressoché esaurite. Gli sfollati in gran parte sono radunati nelle pagode (i monasteri buddisti), spesso le uniche strutture di cemento. Le famiglie più ricche offrono quel che possono: riso, acqua potabile, qualche soldo. L'aiuto dell'esercito non e' ancora visibile. Appaiono foto ed immagini sui giornali e le Tv governative di soldati sorridenti che offrono ai civili scatoloni di viveri. Ma in strada, qui a Yangon e nei villaggi circostanti, non si vede una divisa. Ieri pomeriggio (martedì, ndr) abbiamo cercato di visitare un centro d'accoglienza messo su in un liceo statale. Una ventina di uomini armati di radioline ci hanno circondato e dopo un breve interrogatorio ci hanno riaccompagnati al taxi. “Questi sono centri d'aiuto solo in apparenza ma pochissimo cibo ed acqua vengono in realtà distribuiti”, si lamentava il tassista una volta ripartiti. Certo è che la nostra presenza e quella dei nostri obbiettivi fotografici non e' stata affatto gradita. La Croce Rossa Internazionale, dal suo piccolo ufficio sulla Strand Road a Yangon, riporta sulla situazione disastrata del delta. Hanno inviato ieri delle squadre di soccorso (composte solo da operatori locali, gli occidentali non sono ancora ammessi) e coordineranno gli aiuti e il lavoro di tutte altre organizzazioni che arriveranno nei prossimi giorni. La Croce Rossa afferma che la situazione qui a Yangon andrà migliorando di giorno in giorno, ma che basta uscire di dieci chilometri e la gente inizierà presto a morire di tifo e altre malattie trasmesse dall'acqua e dalla malnutrizione.

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