sabato, maggio 03, 2008
del dottor Renzo Puccetti

Il ministro della salute, Livia Turco, nonostante il governo di cui fa parte sia stato sfiduciato dal parlamento e quindi le attività ministeriali, come prevede la legge, debbano limitarsi al disbrigo degli affari correnti, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo, ma soltanto dopo che si sono svolte le consultazioni elettorali, ha deciso di firmare il decreto di attuazione ministeriale di riforma delle linee guida per l’applicazione della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale. Tre le novità: la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) anche da parte di coppie non sterili, ma portatrici di malattie sessualmente trasmissibili, l’assistenza psicologica alle coppie che decidono di sottoporsi a dette tecniche, la possibilità di ricorrere alla diagnosi genetica pre-impianto.

In questa breve riflessione bioetica ci soffermeremo sugli ultimi due aspetti. Fornire un supporto psicologico professionale alle coppie che si rivolgono ai vari centri è sicuramente un piccolo passo avanti, ma che rischia di essere espressione di un condizionamento riduzionistico e dualistico dell’essere umano, un essere umano ricondotto alla sua psiche che possiede un corpo. Se è vero che noi non siamo soltanto un corpo, è altrettanto indubbio che la nostra esistenza umana è possibile solamente attraverso il corpo. Allora viene da pensare che l’assistenza psicologica alle persone che si rivolgono alla fecondazione artificiale possa e debba essere parte di un’assistenza più generale alla persona in cui gli aspetti medici e psicologici non siano esaustivi, ma alle coppie sia offerta la possibilità di assistenza etica e spirituale; solo così si potrebbe parlare di assistenza veramente umana alle persone in questa fase delicatissima della loro vita. Mi rendo conto poi che, una volta limitato il far west riproduttivo con la legge 40, in assenza di un’attenta e condivisa valutazione sugli strumenti e gli obiettivi dell’assistenza psicologica, si rischia d’introdurre uno psico-far-west. Come, ad esempio, gestire il tutt’altro che improbabile fallimento della tecnica? Incoraggiare la reiterazione dei tentativi? Essere consenzienti nei confronti dell’orientamento delle coppie? Come pensare il figlio che nascerà con la fecondazione in vitro? Tutti aspetti che forse, prima di essere introdotti, avrebbero dovuto essere discussi nei modi e nelle sedi opportune.

La parte però che personalmente fa orrore delle nuove linee guida è la possibilità di ricorrere alla diagnosi pre-impianto. Si tratta di una procedura effettuata attualmente in una percentuale molto piccola di centri basata sul togliere all’embrione una o due cellule (blastomeri) quando egli è allo stadio di sviluppo di otto cellule ed esaminare il patrimonio genetico alla ricerca di eventuali alterazioni cromosomiche e/o genetiche. Tali informazioni possono essere usate per scartare l’embrione e non trasferirlo nell’utero materno. La tecnica consente inoltre di selezionare gli embrioni compatibili con un fratello già nato, in modo tale da utilizzare i bambini dopo la nascita come donatori per un trapianto. Le implicazioni etiche connesse all’impiego di tale tecnologia sono diverse e rilevantissime. La prima è connessa anche alla sola attività speculativa: la violazione della privacy dell’embrione. Poi giungono tutte le problematiche secondarie alla manipolazione degli embrioni utilizzando contro di lui proprio quelle informazioni ottenute senza il suo consenso. Queste operazioni consentono una selezione degli embrioni stabilendo un principio in aperta contraddizione con la dignità incondizionata dell’essere umano. Il principio per cui la presenza di determinate caratteristiche genetiche rende un essere umano vivente scartabile. Qui non si tratta, come con abile adulterazione linguistica si sente spesso dire, di fare nascere figli sani, ma di eliminare esseri umani malati, anzi, non ci si limita a questo; la diagnosi pre-impianto viene infatti utilizzata per verificare la predisposizione a determinate patologie a sviluppo nell’età adulta (tumore della mammella), così come la presenza di patologie curabili e guaribili in un’elevata percentuale dei casi (talassemia). C’è un riduzionismo assoluto dell’individuo umano ai suoi geni, una concezione peraltro estranea alla corretta scienza che ben conosce la variabilità nell’espressione genetica e di come i geni siano plasmabili dall’ambiente (epigenetica). Abramo Lincoln, affetto da sindrome di Marfan, difficilmente sarebbe sopravvissuto al setaccio. Questa precoce eugenetica appare altamente seducente perché non richiede la vista del sangue, non fa udire lamenti, ma si svolge sotto il telo da prestigiatore del microscopio del biologo. Diventa accettabile ed è accettata perché oscura la malvagità del mezzo con la bontà del fine; essa non impone, ma propone ed addita come violenti e settari proprio coloro che cercano di proteggere le vittime silenti dal sopruso. Gli amici delle vittime non devono disturbare i carnefici ricordando il contenuto dell’azione, quando tante energie sono state spese per rendere la forma dell’azione presentabile.

Una volta che solo la presenza di determinate funzioni rende l’essere umano un valore prezioso, ne deriva che il bene prezioso non è più l’essere umano, ridotto a mero contenitore, ma la funzione stessa. Una volta che la capacità funzionale sia persa, o sia stata sottratta, l’essere umano, divenuto vuoto contenitore, sarà inutile e quindi sacrificabile. Solo gli ingenui possono rimanere tranquilli a fronte dell’assicurazione del ministro secondo cui comunque rimane vietata la diagnosi a scopo eugenetico. Conosciamo bene l’arte manipolatoria delle parole ed è sin troppo facile immaginare con quanta abilità la selezione e la soppressione degli embrioni portatori di anomalie genetiche non verrà assolutamente dichiarata attuabile a scopi eugenetici, ma, sulla falsariga dell’aborto, sarà promossa come “selezione terapeutica”. È davvero oscuro che proprio esponenti di una cultura protesa alla difesa della giustizia basata sull’uguaglianza si facciano paladini di provvedimenti che violano palesemente questi stessi principi. Se il figlio cessa di essere un dono e diventa un prodotto, allora, almeno a viste umane, sarà difficile sottrarre l’uomo dalla logica del mercato. Suggerisco a chi ne ha la possibilità di vedere un film uscito nel 1997 intitolato “Gattaca”, uno strumento utile per fare riflettere su questo argomento anche i giovani.

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