lunedì, maggio 26, 2008
Centoquaranta Paesi ordinati secondo l'"Indice globale di pace": al primo posto l'Islanda, Usa e Russia nelle ultime posizioni. L'Iraq chiude la graduatoria, Italia 38°.

da PeaceReporter

L'Islanda è al primo posto nella classifica del Gpi 2008. L'indagine, aggiornata ed estesa per la sua seconda edizione, ha posto in analisi 140 Paesi, dall'Afganistan allo Zimbabwe, 19 in più rispetto ai 121 del 2007. Un think-tank di accademici, esperti di pace e uomini d'affari lavorano allo studio, ideato e patrocinato dall'imprenditore e filantropo australiano Steve Killelea, e realizzato in collaborazione con l'Economist Intelligence Unit, il braccio analitico della rivista britannica "The Economist". Il Gpi gode inoltre del sostegno di personalità come il Dalai Lama, l'ex-presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, e l'arcivescovo Desmond Tutu. L'idea è quella di creare un indice di misura della pace, innovativo ed unico nel suo genere, che si basa sull'analisi combinata di 24 indicatori riguardanti la situazione interna e le relazioni esterne degli Stati presi in esame. Tali indicatori sono suddivisi in tre aree tematiche: conflitti interni e internazionali in corso, sicurezza della società, grado di militarizzazione.

Tra i membri del G8, solo il Giappone si è qualificato nella 'top ten' della pace. Quest'anno l'Islanda ha strappato la prima posizione alla Norvegia (Stato più "pacifico" del 2007) in virtù del suo alto grado di stabilità interna e delle buone relazioni con le nazioni vicine. Inoltre, l'isola non possiede un esercito permanente ed ha un bassissimo numero di detenuti rispetto alla popolazione totale. Sedici dei primi venti posti della classifica sono occupati dai Paesi scandinavi e dalle democrazie dell'Europa centro-occidentale. L'Italia guadagna cinque posti rispetto al 33° dello scorso anno, posizionandosi al 28°, sopra la Spagna, la Francia e la Gran Bretagna. In generale, i Paesi più "pacifici" risultano essere quelli di piccole dimensioni, stabili e democraticamente governati. Un fattore positivo sembra essere costituito dall'appartenenza a organismi regionali come l'Unione Europea. Scendendo nella classifica, non sorprende di ritrovare l'Iraq in ultima posizione, preceduto da Somalia, Sudan, Afganistan e Israele. Maggiore perplessità suscitano invece le scarse performance delle grandi potenze: i membri del G8 si sono qualificati in modo molto differente tra loro, ma solo il Giappone, al quinto posto, è presente nella top ten. Inoltre, nessuno dei cinque Stati dotati del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'Onu occupa le prime posizioni della classifica: Francia (36°) e Gran Bretagna (49°) si distanziano dalla media europea. Ancora più in basso, ben 30 posizioni dopo la Cina (67°), troviamo gli Stati Uniti, che si qualificano al 97° posto, a causa del cospicuo impegno militare e di una situazione interna caratterizzata da forti sperequazioni sociali, da un elevato tasso di crimini violenti, con circa due milioni di cittadini in carcere. Per incontrare la Russia bisogna scendere infine al 131° posto: le difficili relazioni con gli Stati confinanti - basti pensare alla situazione in Cecenia - , il basso livello di fiducia nei confronti dei cittadini stranieri, l'alta percentuale di crimini violenti, fanno della Russia uno dei Paesi meno "tranquilli" del pianeta.

Il mondo sembra essere lievemente più 'pacifico' rispetto al 2007, ma il tasso di militarizzazione globale è aumentato. Una linea di tendenza generale particolarmente cara agli studiosi del Gpi, è la corrispondenza che sembra esserci tra sviluppo economico e pace: secondo quanto sostiene Steve Killelea, il rapporto mostra come il reddito pro capite aumenti progressivamente risalendo la classifica: "Lo sviluppo economico può condurre alla pace. - assicura Killelea- Su questo non c'è dubbio. Come tutti sanno, gli affari infuenzano i governi ed il loro modo di ragionare". Anche l'arcivescovo Desmond Tutu sembra essere dello stesso parere quando dice che "non si fanno affari dove ci sono conflitti. E' nell'interesse personale (degli operatori economici, ndr) promuovere il genere di circostanze e di sviluppo nel quale si possano portare avanti gli investimenti quando c'è pace". Una regola non priva di eccezioni, considerato che giganti dell'economia mondiale come Cina e Stati Uniti sono tutt'altro che baluardi di pace. Ad ogni modo, il bilancio complessivo della seconda edizione di questa classifica mondiale della pace, appare relativamente confortante: nonostante il tasso di militarizzazione totale sia aumentato, il mondo sembra essere moderatamente più "pacifico" quest'anno. "Questo è incoraggiante - conclude Killelea - ma sono necessari piccoli passi da parte dei singoli Paesi, per permettere al mondo di compierne di maggiori nella strada verso la pace".

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