martedì, maggio 13, 2008
Come dimenticare chi e perché, nella storia, ha visto dèmoni nei libri, fino agli indici e ai roghi?

da PeaceReporter

Come dimenticare Amos Oz, quando da piccolo, racconta, voleva diventare non uno scrittore ma un libro?, perché uno scrittore diceva, può essere ucciso, ma un libro no, un libro non può mai essere ucciso e qualsiasi futuro ci travolga, fino all’Olocausto - ma un l ibro non può mai sparire, una copia sopravviverà su uno scaffale sperduto. Come dimenticare chi e perché, nella storia, ha visto dèmoni nei libri, fino agli indici e ai roghi? Certo, per noi palestinesi la domanda è anche un’altra - come dimenticare il nostro etnocidio? Si muore, qui, in questo momento e si muore male, nella vostra indiff erenza, si muore di niente in ospedali senza elettricità, si muore di cancro fermi a un checkpoint, si muore di malnutrizione, e di proiettili, e elicotteri e missili - giorno dopo giorno, consumati tra muri e trincee e filo spinato, senza più libertà senza più lavoro, umiliati da diciottenni che pattugliano le nostre vite come fossero alla playstation, definiti nei documenti ufficiali, senza più alcun argine etico, una ‘minaccia demografica’. Una minaccia demografica. Riflettete su queste parole, voi italiani come Primo Levi.

L’istinto dice - qualsiasi cosa, qualsiasi cosa che riesca per un minuto a sradicarvi dall’insensibilità. Ma poi - boicottare libri, voi europei che commerciate con Israele, armi incluse, e che l’unico embargo lo avete deciso con tro di noi, contro il nostro governo liberamente eletto, mentre vi raccontavate di esportare democrazia in Medio Oriente? Voi che tacciate di antisemitismo chiunque critichi il sio nismo, e riducete così al silenzio chi si unisce ai tantissimi ebrei che a partire da Martin Buber, padre spirituale di Israele, hanno cercato di convivere con noi - voi che boicottate da sempre, e ma senza clamore, i libri di cui questa gue rra ha più bisogno, i libri di diritto interna zionale: quelli che impongono l’abbattimento del Muro, quelli che classificano tutto questo apartheid, i libri, e scomodi, che ai crimini contro l’umanità associano per tutti, anche per voi, una responsabilità chiamata giurisdizione universale.

Le guerre comi nciano nella mente degli uomini, avverte il preambolo della costituzione dell’Unesco, ed è nella mente degli uomini che bisogna costruire le difese della pace. Non è un caso che ai tanti giovani europei che sono qui con noi a combattere non Israele, ma un’occupazione assassina, siano spesso sequestrati all’aeroporto di Tel Aviv proprio i libri. Libri non palestinesi, ma israeliani - Ilan Pappe su tutti - libri che demolis cono le narrazioni dominanti. Libri coraggiosi e amici. Ma d’altra parte, sono allo stesso tempo le scuole e le università israeliane, filtrando le idee ammissibili, accusa (l’israeliana) Virginia Tilley, a produrre e riprodurre la nostra oppressione, a scolpire quello zionist consensus che oggi assedia gli israeliani stessi, rovesciandoli da vittime a carnefici. Sono le scuole e le università a sagomare i giuristi che fortificano le ingiustizie, gli ingegneri che violentano le colline saturandol e di improbabili insediamenti, gli economisti che crean o ricchezza con lo sfruttamento del nostro lavoro, i medici che non vedono le ferite dei torturati, gli storici c he custodiscono il presente all’ombra di mitici passati biblici, i geologi che ci assetano goccia a goccia.

Sono le scuole e le università - sono i libri israeliani - a produrre e riprodurre questo gigantesco Truman Show in onda dall’altra parte del Muro, in una società in frantumi che dedica le sue risors e alla guerra invece che ai suoi cittadini una società cementata insieme solo da odio e paura, e in cui nonostante il doping degli incentivi, gli emigrati sono ormai più degli immigrati. E allora forse n on tanto un generico boicottaggio, che colpisca indistintamente gli Ilan Pappe e gli Alan Dershowitz, chi contribuisce alla guerra e chi contribuisce alla pace, ma nomi e cognomi: e con il vostro Italo Calvino, imparare invece a riconosc ere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Volessimo davvero boicottare Israele, dovremmo boicottare anche le penne con cui scriviamo, tanto le nostre economie sono intrecciate, e inseparabili le nostre vite e culture, così come le nostre paure e sofferenze e gli incubi dei nostri figli. Abitiamo insieme al ‘nemico’, senza la minima distanza in questa terra piccola e densa. Il nemico non è qui una figura astratta, i suoi tratti sono sempre stati umani e come in tutte le guerre, abbiamo molto in comune. Per questo, quando sarà un giorno la Palestina il vostro ospite d’onore, troverete tr a i nostri libri anche i libri israeliani, e non isolati in uno stand, come è stato proposto a noi, l’ennesimo ghetto, ma liberi, liberi e uguali perché davanti a tutto questo la sola immunità, insegna Mahmud Darwish, sta nella diversità, nel mantenimento della nostra umanità.

Invitare Israele nel sessantesimo anno dalla sua fondazione significa inevitabilmente celebrare quella che gli israeliani chiamano indipendenza, e noi palestinesi convertiamo in nakbah, catastrofe. Ma le nakbah in realtà qui sono state due, la nostra ma anche quella degli ebrei non sionisti, che non avrebbero mai voluto uno stato razzista costretto a scegliere tra democrazia e demografia. Se per noi oggi l’urgenza è l’habeas corpus, per gli israeliani è l’habeas mentem. Che i vostri ospiti siano i benvenuti nella Torino di Norberto Bobbio: perché le rivoluzioni si istituzionalizzano diceva, le idee si condensano in ortodossia, i poteri in forma gerarchica: e contro tutto questo, ‘l’antidoto è l’anelito della libertà, quella irrequietezza dello spirito, quell’insofferenza dell’ordine stabilito, quell’aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere’. Non meno, ma più libri. E più onesti.

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