venerdì, maggio 09, 2008
Trent'anni fa, il 9 maggio del 1978, il corpo senza vita di Aldo Moro veniva ritrovato in via Caetani.

da PeaceReporter

Trent'anni fa. Il 9 maggio del 1978 il corpo senza vita di Aldo Moro veniva ritrovato in via Caetani, a metà strada fra Piazza del Gesù, dov'era la sede della Democrazia cristiana, e Botteghe Oscure, sede del Partito comunista italiano. Ci sono momenti della storia repubblicana che restano impressi nella memoria. Il rapimento, prigionia e omicidio di Aldo Moro è senza dubbio uno di questi. Ma troppo spesso si tratta di una memoria stanca, rigida, legata a frasi ormai stereotipate. Lo 'statista' democristiano, si dice. Ed era vero. Ma quell'espressione si è lentamente consumata, logorata da un utilizzo spesso di comodo per descrivere chi era Aldo Moro. Nei racconti dei famigliari, nelle parole di chi conosceva e racconta ancora oggi l'uomo e il politico che convivevano e si fondevano in Aldo Moro, emerge una fisionomia ricca, una personalità, delle abitudini, come quelle che caratterizzano ogni persona. E che, inevitabilmente, vengono nascoste dietro le etichette, che sono per definizione riduttive.

Il memoriale, ma soprattutto le lettere di Aldo Moro dal 'carcere del popolo', dalla prigionia, disegnano cronologicamente una parabola umana impressionante. Nella sua umanità, nel descrivere gli affetti e la fede, la disperazione, nelle parole utilizzate, nel linguaggio forbito e caldo usato da Moro.

Una storia che sa ancora di cronaca. Trent'anni dopo duole scriverlo. Eppure i particolari che si uniscono come tessere di un mosaico, restano insufficienti per completare storicamente il quadro delle responsabilità, delle manchevolezze, dei depistaggi, degli intrecci che si giocarono sul caso Moro. Ne è convinta anche la famiglia della vittima: manca un lavoro storiografico che della storiografia, appunto, recuperi il senso di oggettiva serenità o di soggettivo distacco. E non manca per caso. I protagonisti di quei dolorosi giorni, quelli della politica, sono ancora presenti sulla scena, anche se appartati dai ruoli di prestigio e potere che ricoprivano e hanno ricoperto per lunghissimo tempo. E il dato che più preoccupa, rispetto alla stagione sociale, politica e anche giudiziaria di quegli anni sanguinosi, è il tentativo riuscito di di averne parlato per così tanto tempo senza, in realtà, che si arrivasse a una consapevolezza delle generazioni che sono seguite. Quel periodo – Moro quando viene sequestrato andava a votare il governo del compromesso storico – è stato come rimosso, non è stato consegnato alla riflessione comune di una società sicuramente stanca, divisa, scioccata anche dalla lotta armata, i movimenti, la repressione, la strategia della tensione.

Eppure sono passati trent'anni. E oggi si celebra un ricordo che viene arricchito da prodotti editoriali, di studio, saggistica, libri testimonianza, forme di espressione artistica che tornano a fare i conti con quegli anni, come se lo spunto di un anniversario tondo potesse offrire il destro per cercare di riprendere il filo della matassa. C'è molto, in questo, di interessi speculativi. Trent'anni sono un ottimo argomento di marketing. Ma la percezione è che forse, l'auspicio pare confermarsi, non si fermi tutto a un ingranaggio di mercato. Ma che questa storia di cronaca possa finalmente prendere l'abbrivio per approdare alla più fedele e documentata fotografia di quello che fu, per cinquantacinque giorni, stupore, ossessione, angoscia e calcolo politico. Domenica, nel suo settimanale culturale, PeaceReporter pubblicherà l'ultima lettera di Moro destinata alla famiglia.

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