di Elena Saccomani
Bisogna dar proprio atto alla Rai di aver concluso la stagione delle fiction con il “pezzo” migliore!
La mini serie che abbiamo visto martedì 27 e mercoledì 28 maggio sulla rete “ammiraglia”, ci ha “riconciliati” con la televisione, quella con la T maiuscola, quella che non usa “falsi” realities o trasmissioni precostituite, strappalacrime, magari inventando storie mai accadute.
La “storia” che Gianluigi Calderone ci ha raccontato tramite un commoventissimo e grandissimo Giulio Scarpati, invece, è una storia vera, fatta di povertà, miseria, paura, “ignoranza” materiale e “intellettuale”, dello stato e anche, purtroppo, di chi quei “miseri” – soprattutto “i più piccoli” – avrebbe dovuto accogliergli fra le sue braccia senza tentennamenti o paure, la Chiesa. E’ la storia di un uomo, che prima ancora di diventare prete, “sentiva” dentro di sé una forza incontrollabile che gli proveniva dall’amore da dare agli altri, donando tutto se stesso; ponendosi contro Chiesa e regime prima e Stato poi, fino a ritornare – seppur per un breve lasso di tempo – un “don” senza tonaca pur di non abbandonare tutti i suoi “figli” dispersi. Era un’ardua prova quella che attendeva Scarpati, perché Don Zeno Saltini, il “papà” di Nomadelfia, è una figura totalmente diversa dagli altri “servitori” dello stato o della chiesa – Livatino, Padre Toni, Monsignor Di Liegro – che l’artista ha interpretato nella sua trentennale carriera.
Don Zeno ha l’animo “sanguigno” dell’emiliano che – “diavolo” o “acquasanta”, come gli indimenticabili Peppone e Don Camillo – tiene duro ad ogni costo; non si lascia soggiogare da niente e da nessuno, lotta anche quando tutto sembra, e, ancora di più, “è” perduto, perché, prima ancora della fede è il carattere, il “cuore” che lo sorreggono. E Scarpati, con uno spiccato accento emiliano – lui… “romanista” D.O.C. … - è “diventato” Don Zeno Saltini, che si ribella con veemenza all’ignoranza; che raccoglie tutti i bambini “perduti” o deliberatamente abbandonati dalla miseria dei luoghi e del tempo; che accoglie gli “scartini” del brefotrofio della capitale, “gli ultimi tra gli ultimi”; che crea, con il “cuore” prima di tutto, una società dove non vi siano né servi né padroni e la fa diventare “reale”: un sogno, un’ “utopia” che diventa realtà. E l’attore, che la maggior parte del pubblico è abituato a vedere mite, in vesti rassicuranti, timido, “il bravo ragazzo della porta accanto” – ma non dimentichiamo che è stato il “rabbioso” “sans papier” di Koltes, il tormentato capitano Riccardi che insegue senza tregua il killer del treno e, in un troppo poco conosciuto corto, un marito che fa a pezzi la moglie e la “imbusta” per gettarla nella spazzatura – ERA “realmente” Don Zeno, che vista la chiesa vuota per la festa del santo patrono, non ha un attimo di esitazione, dà uno sguardo al crocefisso, si spoglia delle vesti liturgiche, e, a lunghe e decise falcate, togliendosi la tonaca, partecipa alla festa “laica” vincendo il “palo della cuccagna”… Il “suo” premio? quello di riempire la chiesa con chiunque volesse ascoltarlo. E ascoltare Don Zeno, non era poi sempre così piacevole… Le sue parole, da un pulpito o da un palco di un cinema – “che, al buio, rende tutti uguali”… - da lui voluto e creato perché anche così ci si “ritrova” insieme, tra un tempo e l’altro di un film, non erano certo “tranquillizzanti”, “rassicuranti”… Le sue parole mettevano a nudo l’animo di ognuno di coloro che fosse presente ad una “consueta” predica in chiesa o ad un “banalissimo” spettacolo cinematografico; che fosse uomo di chiesa, “servo” di partito, un anarchico, una madre o un padre di famiglia, soprattutto di quei rari nuclei familiari che all’epoca potevano permettersi una vita dignitosa.
E lo è diventato a tal punto che, chi ha conosciuto Don Saltini per tanti anni e ci è vissuto accanto una intera vita come “mamma” Irene, la prima delle tante “mamme di vocazione”, lo ha sottolineato commossa durante la conferenza stampa di presentazione della fiction: “In certi momenti mi è sembrato di vedere proprio lui tanto gli somigliava…Si vedeva che l'amore proveniva dal suo cuore di uomo e non dalla bravura dell'attore. ”.
Dubbi sulle capacità interpretative di Scarpati non ne avevamo, troppo lunga, varia e ricca di riconoscimenti è la sua carriera; eppure, questa volta, ci sembra abbia proprio superato sé stesso, supportato anche da un cast incredibilmente bravo, molti sconosciuti o alle prime esperienze – elogiabili specialmente i bambini che si percepiva si trovassero a loro agio accanto a lui (e lui accanto ai bambini…) al punto tale da sembrare veramente tutti i “figli” di Don Zeno, quello che in quel momento era sullo schermo… - come pure i moltissimi figuranti e gli stessi Nomadelfi, ma soprattutto dall’eccellente sceneggiatura di Nicola e Giuseppe Badalucco e Franca De Angelis, che per Scarpati e la “vecchia” famiglia Martini, sta scrivendo la sesta (ed ultima) serie di “Un medico in famiglia”. Sarà curioso rivedere un “Lele Martini”, cinquantenne, con esperienze sulle spalle e chissà che novità nella sua “nuova” vita… Per ora potremo godercelo, nella prossima stagione teatrale, in una sorta di “strana coppia” con “il coniglio” Marco Presta e, ne siamo certi, ci stupirà anche in quel contesto.
Grazie alla Rai dunque, che ci ha permesso di godere di una televisione che può essere “maestra”, senza annoiare né essere pedante. E grazie a Scarpati che in qualunque cosa faccia mette mestiere, DNA, ma soprattutto l’ ”anima”.
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