L’arcivescovo caldeo di Kirkuk, a Milano per ricevere il Premio Defensor Fidei, domanda un impegno maggiore per aiutare le comunità cristiane a non fuggire dall’Iraq. Occorrono pressioni politiche e diplomatiche verso Stati Uniti e Paesi che favoriscono l’islamizzazione. Ma sono necessari anche “segni di speranza”: scuole, progetti agricoli e commerciali per aumentare l’occupazione.
Milano (AsiaNews) - “Non lasciateci soli. Non lasciateci isolati e abbandonati”: è l’appello a tutti i cristiani del mondo lanciato da mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, che stamane a Oreno di Vimercate (Milano), ha ricevuto il premio “Defensor Fidei” dalla Fondazione “Fides et Ratio” e dalla rivista “Il Timone”. Il premio consiste nel dono di 10 mila euro. Nel suo appassionato discorso (*) egli ha ricordato “il mortale esodo” dei cristiani irakeni, che fuggono il Paese, costretti da insicurezza, miseria e “pulizia etnico-religiosa” svolta da gruppi fondamentalisti. “Ci sono 100mila rifugiati in Siria – ha detto l’arcivescovo - 30mila in Giordania, molte migliaia in Libano, Egitto e Turchia. Sanno che il loro soggiorno non può essere che provvisorio e la prospettiva del ritorno a casa sembra un sogno. Sono disperati. Molti altri, soprattutto i più poveri, si rifugiano nella regione curda, a nord, che erano stati costretti ad abbandonare dal regime di Saddam.
Il governo curdo, grazie alla preoccupazione del ministro delle Finanza, che è un cristiano, ha ricostruito le loro case nei loro villaggi, ma mancano di strutture sanitarie, scuole e lavoro. Nei villaggi della piana di Ninive vivono 7mila famiglie emigrate da Mosul, Baghdad, Bassora. L’affitto è caro, molti giovani non possono frequentare le scuole o l’università”.
Ricordando il sacrificio di mons. Paul Faraj Rahho, morto dopo essere stato rapito lo scorso febbraio, e di tanti sacerdoti e fedeli irakeni, mons. Sako ha domandato ai cristiani occidentali di “prendere coscienza della gravità della… tragedia e con l’aiuto diplomatico e politico concentrarsi sugli Stati Uniti, il governo iracheno ed anche sugli Stati che danno sostegno alla islamizzazione dell’Iraq, per far rispettare la dignità delle persone e le libertà fondamentali e per fermare le persecuzioni e la pulizia etnica”.
L’arcivescovo ha ribadito che i cristiani irakeni “sono una delle componenti più antiche della popolazione irachena. Fin dall’inizio si sono fusi con altre realtà come gli arabi, i curdi, i turcomanni e gli yezidi; hanno fatto da pionieri nella civilizzazione dell’Iraq. Inoltre hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani”.
“Purtroppo – ha continuato - in questi ultimi tempi i cristiani sono presi di mira come un capro espiatorio, da sfruttare o da eliminare. I cristiani in certe zone dell’Iraq soffrono per emigrazione, stupri, rapimenti e pagamenti di riscatti, minacce e uccisioni perpetrate con moventi religiosi. Questo comportamento inusuale contraddice i valori umanitari del popolo iracheno e quelli morali della religione islamica. È necessario capire che un Iraq senza cristiani sarà disastroso per tutti gli iracheni!... Costringere i cristiani alla fuga porta al deterioramento del concetto di coesistenza e alla distruzione culturale”. (continua a leggere)
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