lunedì, giugno 02, 2008

L'appello di mons. Marchetto in occasione dell'apertura a Nairobi del Congresso panafricano sulle migrazioni.

RadioVaticana - Inizia oggi a Nairobi, in Kenya, il Congresso panafricano dei delegati delle Commissioni episcopali per le migrazioni, sul tema ‘Per una migliore pastorale dei migranti e dei rifugiati in Africa all’alba del terzo millennio’. L’incontro è promosso dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Ma quale messaggio intende lanciare questo Congresso? Giovanni Peduto lo ha chiesto al segretario del Dicastero, l’arcivescovo Agostino Marchetto:

R. - È piuttosto un appello accorato che vorremmo ascoltare in questo Congresso per farlo echeggiare nel mondo intero, in favore dell’Africa – un continente in genere dimenticato e tanto bisognoso di aiuto –, in favore dei migranti, interni e internazionali, dei rifugiati, richiedenti asilo e profughi, delle persone soggette al traffico di esseri umani, dei bambini-soldato e lavoratori forzati, degli apolidi. Quando cominciai i miei vent’anni di servizio in Africa, nel 1968, in Zambia e Malawi, a quel continente era associata la speranza umana. Era, insomma, il continente della speranza. Lo assocerei, ora, alla sofferenza. La speranza cristiana, comunque, rimane, e forse proprio a causa della sofferenza, nella visione del mistero pasquale.

D.- Come gestire il fenomeno dell’immigrazione africana?
R. - Come gestire? Credo che ciascuno debba dare la risposta concreta che gli compete. A Nairobi noi daremo una risposta pastorale, in linea con la competenza affidataci dal Santo Padre, di partecipazione, cioè, alla Sua sollecitudine pastorale per la mobilità umana, segno dei nostri tempi, a cui ha risposto la nostra Istruzione Erga migrantes caritas Christi, approvata da Papa Giovanni Paolo II il 1° Maggio 2004. Chi avesse la buona volontà di leggerla (c’è pure sul website della Curia Romana) troverà, del resto, che non vi è espressa una pastorale disincarnata con visione ristretta. In effetti, evangelizzazione e promozione umana vanno insieme. Vi si forniscono, dunque, anche grandi linee di gestione possibile. Se è lecito citarmi, affrontavo proprio questo tema ad Abidjan, il 9 Maggio dello scorso anno. Il relativo testo è pubblicato su People on the Move, n. 104.

D. - Sicurezza, solidarietà, giustizia: come armonizzare queste esigenze?
R. - Se avessi la formula magica dell’armonizzazione, di quell’ “et” “et”, congiunzione cattolica per eccellenza, opposta all’ “o” “o”, la userei subito. In una recente intervista auspicavo in Italia, e non solo naturalmente, un equilibrio tra sicurezza e accoglienza. Possiamo ora dilatare questo auspicio introducendo solidarietà, senso umano e giustizia. I Governi hanno la loro competenza in tutto ciò, con dialogo multilaterale, perché nessuno oggi può risolvere questioni così complesse unilateralmente. Da parte nostra, della Chiesa, v’è il compito di analizzare la situazione “hic et nunc”, qui – ovunque – e adesso, e con giudizio storico, alla luce dei valori umani e divini che in Cristo essa offre da duemila anni, pur nelle incoerenze e nei peccati dei suoi figli, e additare con forza e umiltà dove manca l’ “equilibrio”, nella tensione soggiacente agli anzidetti valori. Stiamo calando nell’accoglienza? È lì che la Chiesa deve insistere.

D. - In Italia è vivace il dibattito sul reato d’immigrazione clandestina. Lei cosa ne pensa?
R. - Ho appena studiato il Progetto di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente, attualmente in fase di elaborazione. Ho letto, altresì, la “Relazione” su tale Proposta con molti distinguo e con impegno a migliorare il testo dal punto di vista del rispetto dei diritti umani degli immigrati, nelle varie loro espressioni, e specialmente dei rifugiati, dei minori, ecc. Debbo comunque dire, e così arriviamo, nella sua domanda, all’Italia, – però inserita nel contesto europeo, nell’impegno cioè ad avere una politica comune in materia di migrazione che io chiamo “irregolare” – che mi ritrovo personalmente nell’opinione espressa dalla minoranza, a Bruxelles, e cioè che i cittadini di Paesi terzi, come cittadini comunitari, non dovrebbero essere privati della libertà personale o soggetti a pena detentiva a causa di un’infrazione amministrativa.

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