Agenzia Misna - Un mese dopo il ciclone ‘Nargis’ che ha devastato cinque regioni nel delta dell’Irrawaddy ancora non si riesce ad avere una chiara valutazione della situazione sul campo: quante siano state finora le perdite, quanti siano gli sfollati, come sono distribuiti, le loro necessità specifiche per ora e per i prossimi cruciali mesi. Le ultime informazioni rilasciate dal governo due settimane fa fissavano a 78.000 morti e 56.000 dispersi il bilancio delle vittime. Ciò che appare evidente è che qualunque sia lo sforzo messo in campo dai soccorritori, locali e internazionali, esso è insufficiente. Le Nazioni Unite dicono che solo la metà dei 2,5 milioni di persone colpite dal cataclisma, secondo le stime, è stata raggiunta dai soccorsi, mentre oltre un milione resta ancora in attesa di aiuti adeguati se non addirittura di alcun aiuto; il governo militare si difende negando le accuse di inadempienza e riempie i media nazionali di immagini rassicuranti sulla distribuzione di aiuti mentre accusa la comunità internazionale di avarizia. I donatori hanno messo a disposizione solo 100 milioni di euro per l’emergenza, una cautela frutto della scarsa fiducia verso il regime birmano, più volte accusato di appropriarsi degli aiuti. Le organizzazioni non governative internazionali presenti da anni in Myanmar e le agenzie dell’Onu confermano che il flusso di aiuti dall’estero comunque non si è interrotto, riferiscono di passi avanti nell’assistenza ma lamentano lentezza, ridotta mobilità e insufficiente personale specializzato, conseguenza dei limiti imposti dal governo all’accesso di operatori stranieri. Fonti locali, fortunosamente contattate nei giorni successivi al cataclisma, avevano sottolineato alla MISNA la sostanziale impreparazione delle organizzazioni e delle strutture del paese nell’affrontare un’emergenza di queste proporzioni, e l’incapacità dell’esercito, assolutamente non attrezzato e non addestrato.
[BF]
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