Sorpresa, ecco la parola giusta per definire la reazione dei cittadini di Belgrado alla notizia dell’arresto di Radovan Karadžić.
Quando la notizia ha cominciato a girare, alle 23:00 di un tranquillo, normale, piovoso lunedì di mezza estate, la città è rimasta attonita, come ad aspettare che tutto si depositasse, vero o falso non importa, ma che fosse sicuro che non si dovesse ancora affrontare un falso allarme o peggio ancora l’ennesimo scherzo. Verso mezzanotte, quando ormai non c’erano più dubbi, alcuni gruppi di persone hanno cominciato ad uscire dalle proprie case per poter condividere le proprie sensazioni con gli altri, per non rimanere da soli ad affrontare una così grande emozione. Fra questi i più rumorosi e organizzati erano i sostenitori del leader serbo bosniaco che si sono riuniti nelle vicinanze del Tribunale per i Crimini Speciali per protestare contro l’arresto di un altro degli eroi della Grande Serbia. Un secondo gruppo di ultra-nazionalisti si è invece riunito in centro città, a Trg Republike, la piazza della Repubblica come a voler usurpare la scena che tante volte ha ospitato la parte più progressista della società serba e ha sfogato la propria rabbia contro il Presidente Tadic, definito un traditore, sventolando bandiere e scandendo slogan da stadio. Ma la maggioranza della popolazione ha semplicemente accolto la notizia con il disincanto tipico di chi è già stato sconfitto.
Tutti, durante gli anni Novanta, più o meno vittime della propaganda di regime, hanno creduto al “fantastico sogno” della Grande Serbia, ma è successo più di dieci anni fa e nessuno ormai è disposto a lasciarsi ingannare nuovamente. Certo, Karadžić rimane un simbolo e la maggioranza dei cittadini serbi avrebbe preferito non consegnarlo alle autorità internazionali, ma più per una questione di orgoglio che per una reale affinità con il boia di Pale. I belgradesi, infatti, sono abituati a snobbare i serbi che abitano nei villaggi, come in una sorta di strapaese e stracittà in salsa balcanica.
Molto diversa la situazione nei bar del centro e vicino alle facoltà universitarie. L’arresto del “poeta” ha dato a tutti una buona ragione per continuare a far festa e i ragazzi sembravano come contagiati da una strana allegria. I giovani, infatti, sono i veri sconfitti delle guerre degli anni novanta, intrappolati fra i racconti degli adulti che hanno vissuto la Belgrado cosmopolita dell’epoca yugoslava e dalle frontiere troppo ostili nei loro confronti. Per loro dunque, la cattura di Karadžić rappresenta non solo la fine di un uomo che ha contribuito a rendere molto più difficile le loro esistenze, ma anche la possibilità di recuperare almeno un po’ del tempo perduto se l’Unione Europea liberalizzerà in fretta il regime dei visti per i cittadini serbi.
Malgrado le reazioni non certo unanimi dei differenti settori della società serba, le masse che avrebbero dovuto insorgere contro il governo fantoccio alleato degli occidentali in difesa degli eroi di guerra, più che una minaccia reale sembrano ormai soltanto uno slogan vuoto degli ultranazionalisti. Certo, ci sono state delle manifestazioni di protesta, ed anche degli scontri, fra elementi di estrema destra e forze dell’ordine, ma nulla in confronto con la gigantesca, pacifica mobilitazione del febbraio scorso contro l’auto-proclamata indipendenza del Kosovo e neppure paragonabili coi disordini che allora nei pressi dell’ambasciata statunitense sono culminati con l’incendio della sede diplomatica e la morte di un manifestante.
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