Le Ong lasciano la provincia di Saada, dove si combatte nel silenzio del'informazione.
PeaceReporter - La provincia di Saada, nel nord dello Yemen, non trova pace. Sette mesi dopo l'accordo di pace di Doha, che prometteva la cessazione delle ostilità tra i ribelli zaidi giudati da Abdul Malak Al Houti e forze governative, la provincia è ancora teatro di combattimenti e agguati. Le Ong internazionali non riescono ad accedervi per portare aiuti umanitari, e nemmeno i media riescono a riferire con esattezza quello che vi accade. Nei giorni scorsi il ministro dell'Interno yemenita, Rashad Mohamed al Alimi, ha ordinato alle forze di sicurezza di fare piazza pulita, arrestando tutti i sospetti sostenitori del movimento ribelle zaida in ogni città del Paese. Cifre precise non se ne conoscono, ma le notizie ufficiali parlano di centinaia di arresti, tra i quali ci sarebbero anche otto tra i capi del movimento. Secondo le forze di sicurezza yemenite, la ribellione dei Giovani Credenti zaidi sarebbe sostenuta dall'Iran. I rapporti dell'esercito riferiscono che molte delle strade che collegano la capitale Sa'ana con il nord sono state messe in sicurezza, così come la provincia di Bani Hushaish, dove i ribelli avevano occupato alcune fattorie civili per usarle come basi. Questi rapporti ottimistici sono però controversi dato che, secondo fonti civili locali, i bombardamenti nella zona non sarebbero mai cessati. Ben più grave pare invece la situazione più vicino a Sa'ada, nei pressi della città di Merran, dove, secondo il quotidiano locale Yemen Online, alcune basi dell'esercito sarebbero state tagliate fuori dai rifornimenti a causa degli attacchi dei ribelli. Secondo la fonte, i militari di Sa'ana sarebbero assediati nelle basi e, in mancanza di rifornimenti, potrebbero addirittura capitolare o essere costretti al ritiro.
Se la situazione è difficile sul piano militare, da quello sanitario è “impossibile”. Lo dichiara l'eqipe di Medici Senza Frontiere che lavorava nel governatorato di Saada. Lo scorso 17 giugno gli operatori di Msf sono stati evacuati dal nord, dove hanno dovuto sospendere tutte le attività si soccorso, e trasferiti nella capitale. “Dal 10 maggio Msf non era più in grado di portare assistenza alla popolazione in condizioni soddisfacenti” si legge nel comunicato dell'organizzazione, che continua: “è difficile sapere cosa accade nelle zone di conflitto e in quelle controllate dai ribelli, l'accesso è proibito. Non sono presenti osservatori indipendenti e quasi tutte le vie di comunicazione sono interrotte”. Msf conferma che non si conosce il numero dei morti e dei feriti e che, tuttavia, l'impiego estensivo di armi pesanti fa pensare che vi siano vittime innocenti tra i civili, che comunque non hanno più accesso alle strutture sanitarie. Peggio di loro stanno i civili sfollati, è l'allarme lanciato dalla Mezzaluna Rossa, che riferisce di 35mila sfollati nella sola provincia di Saada. Oltre a quelli ci sarebbero un migliaio di famiglie sparse nella zona di Al Malaheed. Queste persone sono esposte ai combattimenti e privi di qualsiasi tipo di assistenza. Il governo di Abdullah Saleh, tuttavia, più che a sostenere i propri cittadini, pare occupato a non perdere la guerra contro la minaccia sciita.
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