di Antonino Crivello
C’è chi giustamente piange i propri morti, e chi invece festeggia il ritorno in patria di carcerati che varcano i confini statali e ritornano ad esser considerati eroi dalla propria gente. Succede in Libano e succede in Israele. Quando l’arte della discussione e la decenza lasciano spazio al vuoto delle menti.
BEIRUT - Nei pressi di Capo Naqura, il valico costiero di frontiera tra Libano e Israele, si è svolta l'operazione di scambio di prigionieri tra Israele e il movimento sciita Hezbollah. Quest’ultimo ha consegnato le bare dei due soldati israeliani, Ehud Goldwasser e Eldav Regev, catturati dai miliziani del “Partito di Dio” nel 2006. I corpi dei due soldati sono stati consegnati sul lato libanese del confine alla Croce Rossa al mediatore tedesco, Gerhard Konrad, incaricato dall'Onu. Enorme lo strazio delle famiglie dei soldati israeliani che speravano di vedere in vita i loro cari. Positivo l'esame del dna delle salme. Neanche cosi si può essere felici, ma indubbiamente, con il dovuto cordoglio per le famiglie di coloro che furono militanti di Tsahal (l’esercito israeliano), è ragionevole pensare che sia un bene avere la possibilità di dar ai due defunti la giusta sepoltura. Giusta e dovuta, anche pensando alla cultura della popolazione israeliana, costituita in maggioranza da ebrei. I precetti del loro credo sono profondamente radicati nella cultura israelita, è quindi evidente che abbiano un alto rispetto per la morte, inteso come ritorno a Dio.
Niente di strano allora, sembra quasi una storia a lieto fine. Sarebbe effettivamente una lieta notizia se le sepolture non fossero costate care. E invece c’è da fare una seria riflessione, perchè è avvenuto un vero e proprio “baratto”. Già, due morti per cinque prigionieri libanesi.
Difficile conoscere le cause che hanno portato a questi arresti. Noto è invece il nome di una di queste cinque persone, tale Kuntar, reo già in giovane età (15,16 anni) del brutale omicidio di una bambina di appena 4 anni. Crescendo non deve aver cambiato di molto il suo stile di vita, dato che ha scontato circa 20 anni nelle carceri Israeliane. Bene (o male, dipende dai punti di vista) questo individuo insieme ad altri quattro figuri viene rilasciato e subito gli Hezbollah fanno festa. D’altronde hanno appena ottenuto la liberazione di cinque detenuti (manco fossero i salvatori della patria), e quindi preparano nel sud del Paese una accoglienza "da eroi" (ma non erano assassini?), innalzando sulla strada costiera verso la capitale bandiere e archi di trionfo, come se passasse il circo, come se dovessero ricevere il presidente di chissà quale stato. Ai festeggiamenti non è voluto mancare il leader del movinto sciita, Sayyed Hassan Nasrallah. Una breve apparizione, ma molto significativa. Si presenta alla folla e regala qualche perla di saggezza ad un popolo che vede in lui un leader, un generale: "Questo popolo non sarà mai vinto", "Come avevo detto nel 2000 l'epoca delle sconfitte è finita ed è iniziata quella delle vittorie". Anche in questo caso tentare di capire le ragioni che portano un uomo a dire certe frasi va oltre le possibilità di qualsiasi uomo civile. Come impraticabile sembra la strada del dialogo e degli “accordi internazionali” con un popolo capace di festeggiare assassini. Ricordiamo che coinvolti sono sempre gli stessi paesi che ormai da cinquant’anni devono definire i loro confini statali.
Se in apertura quindi poteva esserci un minimo di letizia per la possibilità che è stata data a due uomini e ai loro familiari, queste affermazioni fanno ricadere sull’evento un velo di tristezza che si aggiunge alla rassegnazione; forse è davvero un’utopia avviare trattative internazionali che possano riportare pace in questi luoghi.
Immediato è stato ovviamente anche lo sconcerto degli alti rappresentati di Israele (che forse però dovrebbero ricordare la guerra che ormai da innumerevoli anni conduce contro la Palestina, degli attentati “comandati”, delle famiglie distrutte, dei giovani “strappati” alle famiglie per combattere per una causa che forse neanche condividono). Il presidente israeliano, Shimon Peres, si fa dunque portavoce del pensiero israelita: «Constato che in Libano si celebra ufficialmente la vittoria per accogliere Kuntar, questo assassino che ha spaccato la testa con un colpo di bastone a Einat, 4 anni, e non ha mai espresso rincrescimento - ha dichiarato nel corso di una breve cerimonia -. Israele è in lacrime. Abbiamo pagato un prezzo elevato perché Ehud (Goldwasser) ed Eldad (Regev) possano riposare in pace fra di noi. Dove è la vittoria morale suprema? Qui, con le candele della memoria, e non laggiù».
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