martedì, luglio 15, 2008

L'ospedale di Haifa a Beirut è uno dei servizi sanitari offerti dall'Unrwa, l'Agenzia delle Nazioni Unite per l'assistenza ai rifugiati palestinesi: non ci fanno molto affidamento gli abitanti di Sabra e Chatila, tre baraccopoli della capitale libanese, popolate dai palestinesi sfuggiti alle persecuzioni israeliane

PeaceReporter - "Io sono incinta, ma ho paura di andare all'ospedale di Haifa, perché non hanno sufficienti servizi. Per il parto naturale senza complicazioni è tranquillo, ma se il bambino dovesse nascere prematuro, o se dovessi aver bisogno di un cesareo sarebbe un problema. Rischio di morire in un ospedale del genere. Se hai soldi, allora vai all'ospedale americano, ma servono davvero tantissimi soldi, altrimenti muori nell'ospedale di Haifa. Ma in questo quartiere pochi hanno abbastanza soldi", dichiara una donna interamente coperta da un pesante drappo nero che le scopre solo gli occhi.
L'ospedale di Haifa a Beirut è uno dei servizi sanitari offerti dall'Unrwa, l'Agenzia delle Nazioni Unite per l'assistenza ai rifugiati palestinesi: non ci fanno molto affidamento gli abitanti di Sabra e Chatila, tetre baraccopoli della capitale libanese, popolate dai palestinesi sfuggiti alle persecuzioni israeliane, e teatri di un terrificante eccidio nel settembre del 1982 perpetrato dalle milizie cristiane libanesi sotto gli occhi dell'esercito israeliano.

L'Unrwa emerse dalla "catastrofe" del 1947-48. Nel 1949 venne al mondo con l'obbiettivo di garantire il rimpatrio incondizionato dei palestinesi alla loro terra, di promuovere l'internazionalizzazione di Gerusalemme e di favorire la partizione della Palestina in due stati: obbiettivi abbandonati subito dopo. L'anno successivo, la necessità di restituire ai palestinesi la loro terra scomparve dall'agenda politica. L'Unrwa riuscì comunque a sopravvivere a quest'evidente fallimento sotto forma di servizio assistenziale di un popolo di profughi abbandonato ormai al suo triste destino dinanzi agli occhi dell'intera comunità internazionale.

I palestinesi in Libano oggi sono circa 450 mila: oltre il 52 percento vive in martoriati campi profughi. L'aumento demografico, associato alla diminuzione del numero dei campi poiché danneggiati o rasi al suolo nel corso del tempo, costringe oggi i profughi in spazi angusti e claustrofobici. Il governo libanese ha fino ad oggi impedito qualsiasi allargamento o miglioria dei campi esistenti e non ha ancora progettato la costruzione di nuovi campi. Anzi, nel 1994 ha intrapreso una politica di sfratto su larga scala, con lo scopo di smantellare i campi palestinesi illegali.

Il risultato è che oggi in Libano 6mila famiglie palestinesi non hanno nemmeno una baracca come dimora fissa, e 52 nuovi insediamenti sono sorti senza alcun riconoscimento dall'Unrwa, il che significa che i loro abitanti non ricevono neppure i servizi educativi e sanitari di base. Un rapporto stilato da Agi Mondo, riporta che: "La situazione dei campi palestinesi in Libano è la peggiore delle cinque aree di intervento dell'Unrwa, con una percentuale di casi di indigenza estrema dell'11.4 percento contro l'8.7 di Gaza e il 7.3 della Siria". I rifugiati palestinesi in Libano non godono dei diritti sociali e civili fondamentali: hanno un accesso molto limitato al servizio sanitario pubblico e alle strutture educative, e nessun accesso al servizio sociale pubblico. Il governo di Beirut, come gli altri Stati ospitanti del resto, non riconosce la naturalizzazione dei rifugiati palestinesi presenti sul territorio. Il vero problema per i profughi è tuttavia l'impossibilità di accedere alle professioni qualificate. Considerati come "stranieri", i palestinesi non possono per legge esercitare più di settanta mestieri e professioni. "Qui non c'è lavoro, non ci sono possibilità... i palestinesi in Libano non hanno diritto a lavorare, non possono aprirsi un'attività, è fuori legge. Questo mio chiosco è ovviamente abusivo, non pago tasse. Noi non possiamo nemmeno acquistare una casa. Se vogliamo comprare un appartamento, dobbiamo trovare un libanese che la prenda a nome suo. Ma non è così facile trovare libanesi disposti a farlo!", esclama un barbiere che ha un chiosco sulla via del mercato a Sabra. Un suo cliente aggiunge: "Vedi questo è mio figlio, lui non lavora, non c'è lavoro.. l'altro mio figlio lavora con un suo amico come ragazzo della consegna a domicilio di un ristorante qui vicino... ma ovviamente a nero, perché è illegale che un palestinese lavori, e poi si lavora comunque un giorno sì, e dieci no". "Trovo che sia assurda questa legge che proibisce ai palestinesi di lavorare qui in Libano... E' un'ingiustizia! Mio fratello ha studiato tantissimo, è un avvocato, ma qui in Libano non può esercitare, perciò fa l'elettricista, a nero e ovviamente sottopagato", esclama un ragazzo che sogna di diventare cantante.

Una donna sfuggita ai raid israeliani nel 1948, abbraccia suo nipote che non ha mai visto e forse non vedrà mai Gerusalemme: "Molti ragazzi si mettono nelle milizie. Vanno, si iscrivono e loro li prendono, non è così difficile, non fanno molta selezione, prendono davvero chiunque. Quando i ragazzi entrano nelle milizie hanno uno stipendio garantito. E' l'unico posto fisso possibile per i palestinesi in Libano. Quando ero a Haifa avevo una casa bellissima, con un balcone pieno di fiori, io e mio marito eravamo molto innamorati. Adesso lui è morto di depressione e io vivo qui, in questa baracca che divido con i miei figli e i ratti".

"I libanesi odiano i palestinesi, perché sostengono che abbiamo rovinato il Libano trascinandolo in una guerra rovinosa... Loro ci attribuiscono tutte le colpe dei loro malanni. Io odio questo posto. Le nostre abitazioni sono ovviamente abusive, non abbiamo soldi, la vita in Libano è davvero cara... mia sorella vive a Yarmuq, il quartiere palestinese di Damasco... lì anche ci sono delle oggettive difficoltà, ma è il paradiso rispetto a Sabra e Shatila. Qui l'acqua non c'è mai, l'elettricità poche ore al giorno... per non parlare delle condizioni igienico-sanitarie... è un disastro. E' pieno di topi e ratti. Quando ci ammaliamo dove andiamo? andiamo a morire all'ospedale di Haifa. Qui in Libano se noi palestinesi non abbiamo soldi all'ospedale non ci fanno entrare, ci lasciano morire sull'uscio d'entrata". I servizi sanitari per i profughi palestinesi in Libano sono totalmente affidati alle strutture dell'Unrwa, che ha messo a disposizione 25 centri sanitari di prima accoglienza nei campi e un centro di riabilitazione. Per l'assistenza secondaria e l'ospedalizzazione, l'agenzia Onu prevede rimborsi parziali o accordi con Ong o ospedali privati. L'Unrwa si occupa anche di tutto ciò che riguarda la salute ambientale, dalla raccolta di rifiuti all'approvvigionamento dell'acqua potabile.

"Non ci sono tutti i servizi di cui un'ospedale ha bisogno", spiega una donna del quartiere riferendosi all'ospedale di Haifa a Beirut, e aggiunge: "L'ospedale è a due piani, non ci sono tutti gli ambulatori necessari, non sempre si trovano le medicine di cui ho bisogno... se all'ospedale non c'è la medicina che mi serve devo andare a comprarla in farmacia. Non tutti i servizi dell'ospedale poi sono gratuiti: ci sono medici che a volte vogliono che li paghi dopo che ti hanno operato, ovviamente è una parcella che tu paghi sottobanco. Se dopo un'operazione vuoi restare in ospedale una settimana e non tornare subito a casa devi pagare 200/250 dollari Usa a settimana, una somma che quasi nessuno può permettersi qui. Nemmeno l'ambulanza è gratuita, se chiami per farti venire a prendere devi pagare 50 dollari Usa: una somma indecente!".

"Ci sono buoni medici, e altri che probabilmente la laurea se la sono comprata sulle bancarelle. Una volta un napoletano che venne qui a dare un'occhiata mi spiegò che anche a Napoli funziona così... è vero? In ogni caso, nel quartiere si sa chi è bravo e chi no.. la gente si passa le informazioni prima di rivolgersi a qualcuno in particolare in ospedale", spiega un venditore di tappeti che ha un negozio sulla via commerciale, e aggiunge: "I medici, stando alle politiche dell'Unrwa, dovrebbero essere tutti palestinesi, ed invece ci sono anche dei medici libanesi, che a differenza dei palestinesi potrebbero lavorare in qualunque altro ospedale del Libano. E' un'ingiustizia... a volte mi chiedo come ciò sia possibile... con tutti i medici palestinesi disoccupati! Le infermiere invece sono tutte palestinesi... ce ne sono molte. A parte le milizie, la speranza dei libanesi è quella di comparire nelle buste paga dell'Unrwa, ma non ci sono poi così tanti posti".

Un suo amico che ascolta la nostra conversazione interviene e mi spiega: "C'è anche un'altra possibilità per noi palestinesi, ma non è gratuita come l'ospedale di Haifa. C'è l'ospedale di Rafiq al-Hariri, quello costruito dall'ex premier assassinato. Per i libanesi è gratuito, ma per i palestinesi non lo è, noi dobbiamo pagare, ma non ti chiedono di pagare un prezzo esagerato come l'ospedale americano. L'ospedale di Hariri è molto più attrezzato, molto più pulito dell'ospedale americano, i medici sono eccezionali... molti palestinesi vanno lì". Un uomo eternamente parcheggiato ad un caffè spiega: "Qui tutto si paga, se non hai tanti soldi in questo paese muori. Pure quando muori devi pagare. Farti seppellire costa sui 200 dollari Usa... non ce l'hai? O sei fortunato e trovi qualcuno che ti aiuta, o li rubi. Certo non puoi mettere il cadavere in frigorifero se non hai i soldi per seppellirlo...quelli che non hanno i soldi per seppellire un morto, in genere non hanno nemmeno un frigorifero...e sono molti qui a Sabra e Chatila".

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