Non solo contro le Farc, dunque, ma anche contro i paramilitari e chiunque si serva di ostaggi per i propri fini.
PeaceReporter - In piazza contro il sequestro, per dire basta alla violenza che da oltre 40 anni devasta il paese. Quindi un no non solo alle Forze armate rivoluzionarie colombiane, bensì a tutti quei gruppi armati, sia di sinistra che di destra, che per ottenere i propri fini tolgono la libertà alla gente. Dall’esercito di liberazione nazionale ai paramilitari dunque. Non solo Farc. È questo che ieri la Colombia intera nel suo giorno d’indipendenza nazionale ha voluto gridare ai sequestratori di ogni ordine e grado: liberate gli ostaggi, rimandateli a casa. Una manifestazione di sdegno contro una pratica barbara e inumana. E a farle da eco, 165 città nel mondo, dove i colombiani espatriati e la gente solidale al dolore di coloro che da anni sono divorati dalla selva e dall’oblio sono scesi in piazza, fieri e determinati.
Un sentimento unanime ha unito il paese che da troppi anni aveva dimenticato il valore del 20 luglio quale festa d’orgoglio nazionale, limitandosi ad assistere a qualche parata militare e lunghi quanto noiosi discorsi in Tv. Dopo la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri 14 ostaggi, i colombiani hanno capito che la loro indipendenza non è ancora completa e mai lo è stata. È l’intera nazione a non essere libera: il conflitto e le drammatiche armi che si porta con sé, come il sequestro, lo tengono in ostaggio. È l’ora di dire basta. E senza strumentalizzazioni.
Dall’altra parte dell’oceano, a ribadire con coscienza, l’importanza di questa giornata è stata appunto la ex sequestrata colombiana più famosa del mondo, Ingrid Betancourt, che è riuscita a sensibilizzare Parigi e la Francia intera, con una manifestazione parallela, conclusasi con un concerto d’eccezione: Miguel Bosé e Juanes si sono esibiti in solidarietà a tutti i prigionieri della violenza.
"Libertà per tutti". Con queste parole Ingrid Betancourt ha aperto il concerto di Parigi, rivolgendosi ai suoi sequestratori: "Che vedano questa Colombia, che vedano la mano tesa del presidente Uribe. Capiscano che non è più il momento di spargere ancora sangue", parole pronunciate in spagnolo dal Trocadero, davanti alla Torre Eiffel, davanti a svariate migliaia di persone, in maggioranza colombiani e latinoamericani. Poi l'inno colombiano: "Questo è il giorno della fratellanza, dell'unità fra tutti i colombiani - ha gridato la ex prigioniera Farc, aggiungendo che in questa e in altre circostanze covocate per richiedere la libertà dei sequestrati "l'amore è l'unico che ci muove". Il tutto da uno scenario dominato dalla bandiera colombiana e dalla scritta "libertà e pace". Miguel Bosé, a cui Uribe ha concesso la nazionalità colombiana, ha aggiunto: "Invito le Farc al dialogo, a deporre le armi e a liberare tutti i sequestrati".
Per tutta risposta, la Colombia è stata teatro di un grande concentro alquanto simbolico. La sua artista più nota a livello internazionale, Shakira, si è esibita a Leticia, la città amazzonica al confine con Brasile e Perù, città che un tempo fu culla dell’impero del narcotrafficante Pablo Escobar, luogo simbolo del dramma colombiano. Uno spettacolo di gran successo, realizzato di fronte a due ospiti significativi: i due capi di stato delle terre confinanti, invitati da Alvaro Uribe, ossia Luis Inacio Lula da Silva e Alan Garcia. Mentre in oltre 40 città colombiane, concerti di musica si sono rincorsi fino a tarda notte.
“Durante questi anni, noi colombiani ci siamo abituati alla violenza – ha commentato al quotidiano El Tempo Steven Dudley, autore di Armas y urnas – non ho mai incontrato un colombiano che non abbia alle spalle una storia di mutilazione, massacro o dolore da raccontare, e da queste storie provengono le ragioni per proseguire la guerra”, per questo un evento come quello del 20 luglio è importante al fine di cambiare la mentalità della società. L’indifferenza ha sempre giocato un ruolo colpevole. Rafael Pardo, nel suo libro La historia de las guerras ricorda che “il paese ha avuto più di settanta guerre civili parziali, rivolte e ribellioni nei suoi primi cento anni di vita indipendente” e nei secondi ha sopportato la violenza politica, le guerre rivoluzionarie, il terrorismo del narcotraffico e anche quello di Stato. È ora di cambiare.
La manifestazione di ieri ha messo un “ora basta” contro tutte le forme di violenza e, come ha aggiunto lo storico Alberto Abello ha dimostrato di “cercare una rifondazione della Repubblica intorno alla pace”. Alla faccia di ogni opportunismo politico che, come sempre, ha cercato di strumentalizzare questa manifestazione popolare, imprimendole un significato parziale. Non è stata una manifestazione contro le Farc punto e basta, come i politici conservatori, a cominciare da Uribe, hanno voluto far credere, bensì una manifestazione contro il sequestro e per la pace in Colombia, pace che arriverà solo se il governo avrà intenzione di perseguirla seriamente. È stato un “invito per un futuro migliore” ha dichiarato Antanas Mockus, cantante colombiano, e per dire, come ha presicaso Jorge Velosa che “la Colombia ha bisogno di più gruppi musicali e meno gruppi armati”, siano essi di sinistra o di destra, o nascosti nei corridoi dei palazzi del potere.
PeaceReporter - In piazza contro il sequestro, per dire basta alla violenza che da oltre 40 anni devasta il paese. Quindi un no non solo alle Forze armate rivoluzionarie colombiane, bensì a tutti quei gruppi armati, sia di sinistra che di destra, che per ottenere i propri fini tolgono la libertà alla gente. Dall’esercito di liberazione nazionale ai paramilitari dunque. Non solo Farc. È questo che ieri la Colombia intera nel suo giorno d’indipendenza nazionale ha voluto gridare ai sequestratori di ogni ordine e grado: liberate gli ostaggi, rimandateli a casa. Una manifestazione di sdegno contro una pratica barbara e inumana. E a farle da eco, 165 città nel mondo, dove i colombiani espatriati e la gente solidale al dolore di coloro che da anni sono divorati dalla selva e dall’oblio sono scesi in piazza, fieri e determinati.
Un sentimento unanime ha unito il paese che da troppi anni aveva dimenticato il valore del 20 luglio quale festa d’orgoglio nazionale, limitandosi ad assistere a qualche parata militare e lunghi quanto noiosi discorsi in Tv. Dopo la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri 14 ostaggi, i colombiani hanno capito che la loro indipendenza non è ancora completa e mai lo è stata. È l’intera nazione a non essere libera: il conflitto e le drammatiche armi che si porta con sé, come il sequestro, lo tengono in ostaggio. È l’ora di dire basta. E senza strumentalizzazioni.
Dall’altra parte dell’oceano, a ribadire con coscienza, l’importanza di questa giornata è stata appunto la ex sequestrata colombiana più famosa del mondo, Ingrid Betancourt, che è riuscita a sensibilizzare Parigi e la Francia intera, con una manifestazione parallela, conclusasi con un concerto d’eccezione: Miguel Bosé e Juanes si sono esibiti in solidarietà a tutti i prigionieri della violenza.
"Libertà per tutti". Con queste parole Ingrid Betancourt ha aperto il concerto di Parigi, rivolgendosi ai suoi sequestratori: "Che vedano questa Colombia, che vedano la mano tesa del presidente Uribe. Capiscano che non è più il momento di spargere ancora sangue", parole pronunciate in spagnolo dal Trocadero, davanti alla Torre Eiffel, davanti a svariate migliaia di persone, in maggioranza colombiani e latinoamericani. Poi l'inno colombiano: "Questo è il giorno della fratellanza, dell'unità fra tutti i colombiani - ha gridato la ex prigioniera Farc, aggiungendo che in questa e in altre circostanze covocate per richiedere la libertà dei sequestrati "l'amore è l'unico che ci muove". Il tutto da uno scenario dominato dalla bandiera colombiana e dalla scritta "libertà e pace". Miguel Bosé, a cui Uribe ha concesso la nazionalità colombiana, ha aggiunto: "Invito le Farc al dialogo, a deporre le armi e a liberare tutti i sequestrati".
Per tutta risposta, la Colombia è stata teatro di un grande concentro alquanto simbolico. La sua artista più nota a livello internazionale, Shakira, si è esibita a Leticia, la città amazzonica al confine con Brasile e Perù, città che un tempo fu culla dell’impero del narcotrafficante Pablo Escobar, luogo simbolo del dramma colombiano. Uno spettacolo di gran successo, realizzato di fronte a due ospiti significativi: i due capi di stato delle terre confinanti, invitati da Alvaro Uribe, ossia Luis Inacio Lula da Silva e Alan Garcia. Mentre in oltre 40 città colombiane, concerti di musica si sono rincorsi fino a tarda notte.
“Durante questi anni, noi colombiani ci siamo abituati alla violenza – ha commentato al quotidiano El Tempo Steven Dudley, autore di Armas y urnas – non ho mai incontrato un colombiano che non abbia alle spalle una storia di mutilazione, massacro o dolore da raccontare, e da queste storie provengono le ragioni per proseguire la guerra”, per questo un evento come quello del 20 luglio è importante al fine di cambiare la mentalità della società. L’indifferenza ha sempre giocato un ruolo colpevole. Rafael Pardo, nel suo libro La historia de las guerras ricorda che “il paese ha avuto più di settanta guerre civili parziali, rivolte e ribellioni nei suoi primi cento anni di vita indipendente” e nei secondi ha sopportato la violenza politica, le guerre rivoluzionarie, il terrorismo del narcotraffico e anche quello di Stato. È ora di cambiare.
La manifestazione di ieri ha messo un “ora basta” contro tutte le forme di violenza e, come ha aggiunto lo storico Alberto Abello ha dimostrato di “cercare una rifondazione della Repubblica intorno alla pace”. Alla faccia di ogni opportunismo politico che, come sempre, ha cercato di strumentalizzare questa manifestazione popolare, imprimendole un significato parziale. Non è stata una manifestazione contro le Farc punto e basta, come i politici conservatori, a cominciare da Uribe, hanno voluto far credere, bensì una manifestazione contro il sequestro e per la pace in Colombia, pace che arriverà solo se il governo avrà intenzione di perseguirla seriamente. È stato un “invito per un futuro migliore” ha dichiarato Antanas Mockus, cantante colombiano, e per dire, come ha presicaso Jorge Velosa che “la Colombia ha bisogno di più gruppi musicali e meno gruppi armati”, siano essi di sinistra o di destra, o nascosti nei corridoi dei palazzi del potere.
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