venerdì, luglio 04, 2008

di Bernardo Cervellera

A un mese dai Giochi olimpici, la capitale è assediata da un cordone militare di sicurezza e di anti-terrorismo. Il governo dice che vuole frenare “forze ostili straniere”, ma in realtà vuole controllare il silenzio e l’obbedienza della popolazione. Intanto crollano le previsioni sull’arrivo di turisti stranieri.


Roma (AsiaNews) - L’8 luglio mancherà solo un mese alle Olimpiadi di Pechino. Già da un anno i media cinesi avevano affermato che “Pechino è pronta”. Lo stesso ha affermato il presidente Hu Jintao pochi giorni fa ad un incontro del Politburo. “Siamo – ha detto – fondamentalmente pronti per i Giochi”. E ha aggiunto che la Cina “ha fiducia… di [poter] soddisfare la comunità internazionale, gli atleti da diversi Paesi e regioni, e il popolo cinese”. Secondo testimonianze giunte ad AsiaNews il popolo cinese non sembra così soddisfatto. Vi sono certo milioni di cinesi che hanno sperato nelle Olimpiadi come un trampolino di lancio verso la ricchezza, il benessere, una maggiore dignità; altri (e sono la maggioranza) che vedono i Giochi come l’occasione di presentare la Nuova Cina, moderna e potente: non più la cenerentola della sobrietà maoista, ma una ricca imperatrice dell’economia mondiale. Altri ancora hanno sperato che lo slogan dei Giochi (“Uno solo mondo, un solo sogno”) si applicasse anche a tutte quelle libertà godute dall’occidente, che sono tuttora negate in Cina: libertà di espressione, di religione, di associazione, di democrazia.

I Giochi saranno inaugurati sotto la fortunata cifra del numero “8”: l’8 agosto del 2008, alle 8.08 di sera. In realtà, l’anno “fortunato” della Cina è stato un anno di “disgrazie” che ha manifestato gli enormi “buchi” presenti nello scintillante sviluppo cinese: in gennaio e febbraio, abbondanti nevicate hanno bloccato i treni e le comunicazioni per settimane, lasciando intere regioni senza luce e senza provvigioni; in marzo le manifestazioni tibetane hanno scatenato la repressione cinese e ancora oggi il governo tace sul numero dei morti e sulla reale situazione del Tibet, che rimane in gran parte isolato e sotto controllo. In aprile, il percorso internazionale della torcia ha visto il contrasto fra la Cina e la società civile mondiale, con minacce di boicottaggio reciproco, dei Giochi e dell’economia. In maggio il terremoto nel Sichuan, sebbene abbia visto lo zelo di molta leadership nell’essere vicina alla popolazione colpita, ha manifestato anche anni di corruzione e di incuria nelle costruzioni di scuole ed edifici pubblici, la cui distruzione ha ucciso un’intera generazione di bambini. In giugno è scoppiata l’emergenza ecologica: Qingdao, sede olimpica delle competizioni di vela, è invasa da un enorme strato di alghe, dovute all’inquinamento; molti atleti hanno deciso di non partecipare alla cerimonia di apertura dei Giochi solo per evitare almeno per qualche giorno l’aria irrespirabile di Pechino; l’Hebei, da cui la capitale prende l’acqua da bere, sta subendo una difficile siccità.

Tutta questa “corsa ad ostacoli”, fatta di calamità naturali e di violenze istituzionali, non facilita certo il turismo internazionale. Secondo i dati di molte agenzie di viaggio e compagnie aeree, i mesi di luglio e agosto sono “vuoti” di prenotazioni per la Cina e le ottimiste previsioni di 2 milioni di visitatori stranieri sono scese a soli 500 mila.

A rincarare la dose, e scoraggiare ancora di più i visitatori, dallo scorso aprile Pechino ha cambiato – proprio per le Olimpiadi – il metodo di richiesta dei visti, rendendolo più burocratico e più difficile. Nessuno, nemmeno stranieri che da anni lavorano in Cina, ha diritto a visti più lunghi di un mese o a molteplici entrate. Ogni richiesta deve essere corredata del percorso previsto, del biglietto di andata e ritorno, delle prenotazioni alberghiere.

Quella che per Pechino doveva essere l’evento per aprirsi al mondo sta diventando il suo contrario, in cui la Cina si richiude a riccio come non mai. Il Ministero degli esteri ha difeso la politica sulle restrizioni dei visti, dicendo che essa è necessaria per tener fuori dai confini nazionali “forze ostili” straniere.

Ma la paranoia della sicurezza investe anche la popolazione cinese. A Pechino sono già dispiegati migliaia di soldati. A questi si aggiungono 40 mila poliziotti, 27.500 armati, 10 mila guardie di sicurezza, 300 guardie anti-terrorismo e 15 mila volontari della guardia civile, oltre alla normale rete di informatori e spie. (continua a leggere)



Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa