domenica, luglio 06, 2008

Radio Vaticana - Con uno storico volo commerciale tra Cina e Taiwan, nei giorni scorsi è stata data concreta applicazione all’accordo del 13 giugno scorso che ha ripristinato i collegamenti, sospesi dal 1949, tra l’isola - considerata da Pechino una provincia ribelle - e la Repubblica Popolare. Quale significato dare dunque a questo evento? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente (ascolta):

R. – Questo volo rappresenta un momento importante, perché è un simbolo di apertura nei rapporti fra le cosiddette “due Cine”, dopo 60 anni di blocco nei contatti diretti. Teniamo presente però anche l’aspetto pratico che è quello di un’intensificazione necessaria degli spostamenti tra Taiwan e la Repubblica popolare cinese: i taiwanesi in Cina hanno investito massicciamente e hanno creato strutture industriali e commerciali di primo ordine. Negli ultimi 15 anni Taiwan ha impegnato ben 100 miliardi di dollari sulla madre terra cinese. Nello stesso tempo, è indispensabile per la Cina, che ha bisogno di capitali e dell’esperienza imprenditoriale taiwanese.

D. – Quest’evento può avere dei risvolti anche politici?


R. – Indubbiamente: i colloqui di giugno e i successivi incontri tra la delegazione cinese e taiwanese aprono necessariamente la via a un’integrazione fra i due Paesi, che non sarà solo economica, ma anche politica, probabilmente sul modello di “un Paese e due sistemi”. Si può pensare a quanto già avvenuto per Hong Kong e per Macao, i due ex protettorati britannico e portoghese in territorio cinese.


D. – Questa fase può essere emblema della nuova Cina e del nuovo Taiwan?

R. – Sicuramente è un esempio di che cosa può essere la nuova Cina, che necessariamente dovrà essere un Paese unitario, quanto meno negli intenti. Una Cina che ha messo da parte l’ideologia e che guarda soltanto al concreto e alle necessità di uno Stato unito e forte, di fronte al consesso internazionale.



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