venerdì, agosto 15, 2008

Il capo dei peacekeepers Unamid accusa i gruppi ribelli, mentre riprendono gli scontri nel nord

PeaceReporter - "Ci vogliono due persone per ballare il tango. Spesso ce ne dimentichiamo". Con queste due frasi il generale nigeriano Martin Luther Agwai, capo dei caschi blu dell'Unamid nella regione sudanese del Darfur, ha riassunto il succo delle contraddizioni della comunità internazionale nei confonti della guerra in Sudan. Giustamente dura, forse anche eccessivamente, per i crimini commessi dal governo sudanese (e dal presidente Hassan Omar al-Bashir) e troppo soft nei confronti dei ribelli, che da anni ormai snobbano le trattative di pace.

Se all'inizio della guerra, nel febbraio 2003, i gruppi ribelli erano solo due (il Justice and Equality Movement e il Sudan Liberation Army), ora le fazioni combattenti in Darfur sarebbero almeno dodici. Un processo frutto della volontà di alcuni comandanti di ritagliarsi un ruolo nelle trattative di pace, ma anche di una precisa tattica del governo di Khartoum, che attraverso offerte di pace e soldi è riuscita a frammentare il fronte nemico, di fatto minandone la forza. Ciò non toglie che le maggiori responsabilità per un simile processo siano degli stessi ribelli. Come ha ribadito lo stesso Agwai, nonostante si pongano come difensori delle popolazioni darfurine, i ribelli non hanno mostrato alcun interesse anche solo a sedersi attorno al tavolo delle trattative. E mettere d'accordo dodici fazioni su un accordo di pace diventa praticamente impossibile.

Sul fronte militare, l'esercito sudanese ha avviato due giorni fa una vasta offensiva nella zona di el-Atrun, nel nord del Darfur, nei pressi del confine con la Libia. A renderlo noto sono stati i ribelli dello Sla, secondo cui l'offensiva avrebbe provocato più di venti morti da civili e feriti. L'Unamid non è riuscita a confermare la notizia, per la mancanza di propri uomini nella zona. E proprio a proposito dell'Unamid, il generale Angwai si è augurato di poter disporre dell'80 percento degli uomini previsti per la missione entro la fine dell'anno. La mancanza di mezzi e di truppe sta infatti minando l'operato della missione, che può contare su circa 9.000 uomini rispetto ai 26.000 previsti e su nessun elicottero da trasporto sui 18 richiesti.
scritto per PeaceReporter da Matteo Fagotto


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