Si aggrava la crisi tra Hamas e Fatah, con Abu Mazen che minaccia di smantellare l'Anp.
PeaceReporter - La situazione nella Striscia di Gaza è tornata com'era un anno fa, con i miliziani di Hamas e Fatah che si sparano per le strade, misteriosi attentati, arresti e torture da entrambe le parti. La nuova crisi tra i principali partiti palestinesi minaccia gravi ripercussioni in primis, come sempre, sulla popolazione civile. A livello diplomatico, invece, rischiano di naufragare la tregua stabilita a inizio giugno tra Hamas e Israele, i colloqui di pace tra Israele e Anp e la trattativa con la mediazione egiziana per la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit.
La nuova ondata di violenze è iniziata lo scorso 25 luglio, quando tre bombe sono esplose in diverse parti della Striscia, uccidendo quattro esponenti di Hamas, un civile e una bambina. In seguito è stato un crescendo di scontri e arresti e, martedì 29, una nuova esplosione in un centro di addestramento di Hamas, nel sud della Striscia, in cui sono rimasti feriti almeno sei militanti del partito islamico. Hamas accusa Fatah per quegli attacchi, anche se altre fonti ipotizzano che sia in corso anche uno scontro tra Hamas e una milizia ispirata ad al Qaeda, che si farebbe chiamare Jaish al-Islam, i soldati dell'Islam.
La presenza organizzata di cellule qaediste a Gaza è una suggestione proposta a più riprese da Israele e Stati Uniti, ma la maggioranza dei palestinesi è convinta che quello in atto sia soprattutto un gioco di potere tra Hamas e Fatah, in cui altre milizie si inseriscono, esacerbando la situazione e rendendola ancor meno gestibile.
Regione ribelle. Lo scorso anno dopo la rottura del governo di unità nazionale e la presa del controllo di Gaza da parte di Hamas, Israele dichiarò la Striscia di Gaza “entità nemica”, iniziando un duro embargo contro il governo locale di Hamas e, contemporaneamente, promettendo colloqui di pace all'esecutivo del presidente Abu Mazen in Cisgiordania. Lunedì 28 il quotidiano arabo Asharq al Awsat pubblicava indiscrezioni secondo cui l'Anp starebbe valutando l'ipotesi di dichiarare la Striscia “regione ribelle” in quanto, secondo il punto di vista di Fatah, Gaza sarebbe stata strappata al controllo di Ramallah con un colpo di stato armato. La definizione autorizzerebbe, in linea di principio, un attacco militare contro Gaza. L'Anp accusa infatti Hamas di aver boicottato qualunque tentativo di compromesso, compreso quello mediato lo scorso anno dal governo yemenita.
Arresti. Da lunedì 28, le forze di sicurezza leali a Fatah hanno arrestato 160 esponenti di Hamas in Cisgiordania: insegnanti, politici e altre personalità pubbliche, non miliziani. Mentre il giorno prima Hamas aveva arrestato almeno 200 membri di Fatah nella Striscia di Gaza. La campagna di arresti contro Hamas, però, va avanti ormai da un anno e ha portato nelle carceri – sia quelle dell'Anp che in quelle israeliane – decine di esponenti del partito islamico, tra cui anche diversi politici e deputati. Lo scorso 21 luglio a Nablus ne erano stati arrestati 20, tra cui la deputata Muna Mansour e, sempre a Nablus, sono stati sequestrati locali e beni di diverse organizzazioni caritatevoli islamiche, non tutte legate al partito di Haniyeh. Hamas ha commentato la repressione nei suoi confronti sostenendo che, se non si fermerà, potrebbe prendere il controllo della Cisgiordania come fece un anno fa nella Striscia di Gaza.
Abu Mazen. La recridescenza sembra ridurre di molto le possibilità della liberazione del caporale Gilad Shalit, nelle mani del gruppo islamico da due anni, per il quale, dopo lo scambio di prigionieri di inizio luglio tra Israele e Hezbollah, sembravano esserci buone speranze. Il suo rilascio era appeso ai numeri e ai nomi dei detenuti palestinesi che Israele sarebbe disposto a liberare ma, mercoledì 30, il presidente palestinese ha rovesciato il tavolo negoziale, minacciando di “smantellare l'Anp se Israele dovesse rilasciare esponenti di Hamas nell'ambito delle trattative su Shalit”. Abu Mazen non ha parlato di dimissioni, ma ha usato il termine smantellare, che ha provocato molta indignazione, sia a Gaza che in Cisgiordania. Il presidente palestinese teme che la liberazione degli esponenti di Hamas rafforzerebbe il movimento anche agli occhi dell'opinione pubblica della Cisgiordania. Così facendo, però, cessa idealmente di essere il presidente di tutti i palestinesi. La scorsa settimana alcune indiscrezioni sostenevano che Israele fosse disposto a includere nell'affare Shalit, anche la liberazone di Marwan Barghouti, esponente di spicco di Fatah che sconta l'ergastolo nelle carceri israeliane, ma anche un potenziale dissidente interno rispetto alla politica del presidente palestinese, servile nei confronti di Stati Uniti e Israele.
Torture. Abu Mazen non è però il solo a temere l'opinione pubblica. Subito dopo l'inzio delle violenze, il ministero dell'Interno di Hamas ha bandito dalla Striscia i principali quotidiani stampati in Cisgiordania: al Quds, al Ayyam e al Hayat al Jadida, con l'accusa di fornire resoconti squilibrati. Mercoledì 30, infine, lo stesso ministero ha anche arrestato il direttore locale dell'agenzia palestinese Maan News, Imad 'Eid. La libertà di stampa nei territori in questi momenti è gravemente minacciata, così come è fortemente limitata la libertà di movimento anche per i pochi cronisti che operano dall'interno della Striscia di Gaza. Entrambe le fazioni stanno giocando su più tavoli e hanno tante cose da nascondere, a cominciare dalle torture e dalle violazioni dei diritti dei rispettivi prigionieri. Lo rivela un rapporto dell'Ong palestinese Al Haq, secondo cui sia Fatah che Hamas hanno usato la tortura “regolarmente” nel corso dell'ultimo anno. L'organizzazione per i diritti umani sostiene che dei circa mille prigionieri detenuti quest'anno dalle due fazioni, tra il 20 e il 30 percento hanno subito violenze o torture, in consegnenza delle quali almeno quattro sarebbero morti.
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