lunedì, agosto 04, 2008

La crisi politica travolge gli accordi di pace di Gibuti, tornano gli attacchi.

PeaceReporter - "A Mogadiscio nessuno depone le armi prima che sia raggiunto un accordo giusto, che soddisfi tutti. Per questo al-Shabaab (la milizia ribelle delle ex-Corti islamiche, ndr) sta reclutando sempre più uomini, di giorno in giorno". Con queste parole un uomo d'affari di Mogadiscio, che preferisce non essere identificato per ragioni di sicurezza, spiega a PeaceReporter l'attuale situazione somala. E fa capire come l'attentato di ieri a Mogadiscio nella capitale, che ha provocato almeno venti morti e 47 feriti, sia la punta dell'iceberg di una crisi che ha colpito la Somalia dopo la firma degli accordi di Gibuti, lo scorso 9 giugno.

Da allora i ribelli, capeggiati dagli uomini delle ex-Corti islamiche, si sono spaccati in due fazioni, mentre il governo è a un passo dalla crisi a causa delle dimissioni, avvenute sabato scorso, di dieci ministri su 15. In queste condizioni è impossibile sperare nel rispetto degli accordi di pace, come stanno mostrando gli avvenimenti sul campo. Oltre all'attentato di ieri, nei giorni scorsi un'altra bomba ha ucciso un peacekeeper dell'Unione Africana, mentre sabato gli insorti hanno attaccato la base militare di Towfiq, nella zona nord della capitale.

La tregua è stata sconfessata dal cambio della guardia al vertice della ribellione, la cui leadership politica ha trovato rifugio in Eritrea. L'ala più radicale delle Corti, capeggiata da Sheikh Hassan Dahir Aweys, si è infatti opposta agli accordi di Gibuti, firmati tra il governo e il più moderato Sheikh Sharif, ormai ex-capo della ribellione. Prima di sedersi nuovamente al tavolo delle trattative le Corti, ora ribattezzate Alliance for the Re-Liberation of Somalia, chiedono che le truppe etiopi, giunte in Somalia a sostegno del governo di transizione, lascino il Paese. "Ho incontrato Sheikh Sharif a Gibuti nei giorni scorsi", continua la nostra fonte, "per colpa di quella firma ha perso molti dei favori della popolazione a Mogadiscio. E gli ultimi attacchi ne sono la prova".

A peggiorare la situazione è arrivata la crisi politica all'interno del governo, dopo che sabato scorso 10 ministri su quindici hanno abbandonato l'esecutivo guidato da Nur Hassan Hussein. L'errore più grave del premier è stato quello di aver provato a rimuovere il sindaco di Mogadiscio (ed ex potentissimo signore della guerra), Mohammed Dheere, per abuso di fondi pubblici. Dheere, a cui appartengono buona parte degli uomini che combattono contro gli insorti, è stato subito rimesso al suo posto dal presidente Abdullahi Yusuf. E se la storia insegna qualcosa, l'essersi messo contro il sindaco di Mogadiscio costò l'incarico a Mohammed Gedi, predecessore di Nur Hassan Hussein.

Nel marasma generale, la crisi umanitaria continua, acuita dal fatto che alcuni recenti attacchi contro operatori di Ong e organizzazioni internazionali hanno costretto le agenzie a ridurre gli aiuti. Le ultime cifre fornite dall'Onu parlano di almeno 8.000 morti dal gennaio 2007, data dell'inizio della rivolta delle Corti, e di un milione di sfollati solo a Mogadiscio. "Non credo più alla pace in questa città", continua la nostra fonte. "L'unica speranza è che arrivi una forza di pace seria e numerosa". Al momento a Mogadiscio sono presenti solo 1.500 uomini forniti dall'Unione Africana. Troppo pochi per assicurare la pace nella Baghdad d'Africa.

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