Il terrorismo colpisce i colloqui di pace a Tripoli, in Libano, e a Damasco, in Siria.
PeaceReporter - Due attentati a pochi giorni di distanza, lunedì a Tripoli, nel nord del Libano, e sabato a Damasco, in Siria. Le dinamiche e gli obiettivi sono stati diversi, ma un filo sottile sembra collegare le due stragi. Lunedì mattina un'autobomba è esplosa nella zona di Bahsas, a sud della città di Tripoli, mentre passava un autobus carico di soldati dell'esercito libanese, uccidendo almeno sei persone e ferendone una trentina. La maggior parte delle vittime erano soldati.
Si tratta dell'ennesima esplosione di violenza nella città libanese che nei mesi scorsi era stata teatro di grandi battaglie, prima nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared tra la milizia di Fatah al Islam e l'esercito nazionale, poi, negli ultimi mesi, tra gruppi armati sunniti, vicini alla maggioranza al goveno in Libano, e alawiti, legati al clan del presidente siriano Assad. Si pensava che l'accordo dello scorso 8 settembre tra il leader sunnita Saad Hariri e Ali Eid, capo degli alawiti, avrebbe finalmente portato tranquillità in città, e invece no. L'esplosione di questa mattina è avvenuta mentre più a sud, a Beirut, il parlamento libanese era riunito per discutere la legge elettorale per la consultazione della prossima primavera. “Si tratta di un atto di terrorismo che ha per obiettivo la riconciliazione nazionale” ha dichiarato il portavoce del parlamento libanese, Nabih Berri, aprendo la sessione. Berri si riferisce al processo di riconciliazione tra maggioranza e opposizioni, inaugurato lo scorso 16 settembre, il cui garante è il neo presidente Michel Suleiman, che fino allo scorso maggio era a capo dell'esercito. Il futuro delle forze armate è il nodo cruciale nel processo di riconciliazione, se ne rende conto anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che pur restando fermo sul rifiuto di integrare le milizie sciite nelle forze armate nazionali, ha offerto nei giorni scorsi il proprio sostegno all'esercito e sottolineato che “serve una decisione coraggiosa per dare ai nostri soldati armi più moderne per proteggere il paese. Non si deve attendere il permesso di Israele o degli Stati Uniti per farlo”. La scorsa settimana il presidente Suleiman è tornato da una visita negli Usa, con la promessa di forniture di armi per le forze armate libanesi: una fornitura militare per 60 milioni di dollari, in cui figurano lanciarazzi ed elicotteri da combattimento.
Lunedì mattina il quotidiano libanese al Mustaqbal, legato al partito di Hariri, annunciava la presenza di truppe siriane all'interno del territorio del paese dei Cedri. Secondo la fonte le unità siriane si sarebbero attestate a mezzo chilometro dal confine siriano, tra il villaggio di Kfar Qawuq e la città di Rashaya. Violazioni delle truppe siriane si registrerebbero anche al nord. “I soldati siriani impediscono i movimenti dei contadini e dei pastori della zona e hanno iniziato a scavare trincee e cunicoli sotterranei” si legge sul quotidiano della maggioranza cosiddetta anti-siriana. All'inizio di settembre le truppe siriane avevano condotto imponenti esercitazioni al confine con il Libano, e la scorsa settimana il presidente siriano Assad aveva invitato le autorità libanesi a rafforzare la sicurezza nel nord, proprio nella zona di Tripoli, dove a suo avviso “alcuni stati sostengono il fondamentalismo”.
L'avvertimento di Assad evidentemente non è servito. Due giorni prima, sabato 27, un'autobomba con a bordo due quintali di esplosivo è stata fatta esplodere a sud di Damasco, nella zona conosciuta come Sayyda Zeinab, un quartiere a maggioranza irachena dove si trova il santuario di una nipote di maometto. Le autorità siriane sostengono che l'obiettivo fosse un alto ufficiale dei servizi segreti, ma le 17 vittime sono state tutte civili. Non c'è stata una rivendicazione, ma Damasco ha subito sostenuto che l'attentatore proveniva da “un paese arabo confinante” e che “è stata stabilita la sua relazione con un gruppo estremista islamico”. Sulla base di queste informazioni il sito web Now Lebanon vicino alla maggioranza libanese, ha sostenuto che si trattasse di un iracheno, tuttavia, i paesi arabi confinanti con la Siria sono tre, Iraq, Giordania e Libano. Damasco infatti è stata per almeno vent'anni al riparo dal terrorismo ( da dopo la repressione dei Fratelli Musulmani dell 1982 ), ma negli ultimi mesi è stata teatro di altri due attentati, entrambi in qualche modo collegati con il Libano. Lo scorso febbraio una bomba uccise a Damasco il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, e ad agosto, a Tartus, sulla costa siriana, un cecchino assassinò il generale Muhammad Suleiman, stretto collaboratore del presidente Assad e considerato ufficiale di collegamento con Hezbollah.
PeaceReporter - Due attentati a pochi giorni di distanza, lunedì a Tripoli, nel nord del Libano, e sabato a Damasco, in Siria. Le dinamiche e gli obiettivi sono stati diversi, ma un filo sottile sembra collegare le due stragi. Lunedì mattina un'autobomba è esplosa nella zona di Bahsas, a sud della città di Tripoli, mentre passava un autobus carico di soldati dell'esercito libanese, uccidendo almeno sei persone e ferendone una trentina. La maggior parte delle vittime erano soldati.
Si tratta dell'ennesima esplosione di violenza nella città libanese che nei mesi scorsi era stata teatro di grandi battaglie, prima nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared tra la milizia di Fatah al Islam e l'esercito nazionale, poi, negli ultimi mesi, tra gruppi armati sunniti, vicini alla maggioranza al goveno in Libano, e alawiti, legati al clan del presidente siriano Assad. Si pensava che l'accordo dello scorso 8 settembre tra il leader sunnita Saad Hariri e Ali Eid, capo degli alawiti, avrebbe finalmente portato tranquillità in città, e invece no. L'esplosione di questa mattina è avvenuta mentre più a sud, a Beirut, il parlamento libanese era riunito per discutere la legge elettorale per la consultazione della prossima primavera. “Si tratta di un atto di terrorismo che ha per obiettivo la riconciliazione nazionale” ha dichiarato il portavoce del parlamento libanese, Nabih Berri, aprendo la sessione. Berri si riferisce al processo di riconciliazione tra maggioranza e opposizioni, inaugurato lo scorso 16 settembre, il cui garante è il neo presidente Michel Suleiman, che fino allo scorso maggio era a capo dell'esercito. Il futuro delle forze armate è il nodo cruciale nel processo di riconciliazione, se ne rende conto anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che pur restando fermo sul rifiuto di integrare le milizie sciite nelle forze armate nazionali, ha offerto nei giorni scorsi il proprio sostegno all'esercito e sottolineato che “serve una decisione coraggiosa per dare ai nostri soldati armi più moderne per proteggere il paese. Non si deve attendere il permesso di Israele o degli Stati Uniti per farlo”. La scorsa settimana il presidente Suleiman è tornato da una visita negli Usa, con la promessa di forniture di armi per le forze armate libanesi: una fornitura militare per 60 milioni di dollari, in cui figurano lanciarazzi ed elicotteri da combattimento.
Lunedì mattina il quotidiano libanese al Mustaqbal, legato al partito di Hariri, annunciava la presenza di truppe siriane all'interno del territorio del paese dei Cedri. Secondo la fonte le unità siriane si sarebbero attestate a mezzo chilometro dal confine siriano, tra il villaggio di Kfar Qawuq e la città di Rashaya. Violazioni delle truppe siriane si registrerebbero anche al nord. “I soldati siriani impediscono i movimenti dei contadini e dei pastori della zona e hanno iniziato a scavare trincee e cunicoli sotterranei” si legge sul quotidiano della maggioranza cosiddetta anti-siriana. All'inizio di settembre le truppe siriane avevano condotto imponenti esercitazioni al confine con il Libano, e la scorsa settimana il presidente siriano Assad aveva invitato le autorità libanesi a rafforzare la sicurezza nel nord, proprio nella zona di Tripoli, dove a suo avviso “alcuni stati sostengono il fondamentalismo”.
L'avvertimento di Assad evidentemente non è servito. Due giorni prima, sabato 27, un'autobomba con a bordo due quintali di esplosivo è stata fatta esplodere a sud di Damasco, nella zona conosciuta come Sayyda Zeinab, un quartiere a maggioranza irachena dove si trova il santuario di una nipote di maometto. Le autorità siriane sostengono che l'obiettivo fosse un alto ufficiale dei servizi segreti, ma le 17 vittime sono state tutte civili. Non c'è stata una rivendicazione, ma Damasco ha subito sostenuto che l'attentatore proveniva da “un paese arabo confinante” e che “è stata stabilita la sua relazione con un gruppo estremista islamico”. Sulla base di queste informazioni il sito web Now Lebanon vicino alla maggioranza libanese, ha sostenuto che si trattasse di un iracheno, tuttavia, i paesi arabi confinanti con la Siria sono tre, Iraq, Giordania e Libano. Damasco infatti è stata per almeno vent'anni al riparo dal terrorismo ( da dopo la repressione dei Fratelli Musulmani dell 1982 ), ma negli ultimi mesi è stata teatro di altri due attentati, entrambi in qualche modo collegati con il Libano. Lo scorso febbraio una bomba uccise a Damasco il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, e ad agosto, a Tartus, sulla costa siriana, un cecchino assassinò il generale Muhammad Suleiman, stretto collaboratore del presidente Assad e considerato ufficiale di collegamento con Hezbollah.
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