domenica, settembre 28, 2008
di Nicola Falcinella

PeaceReporter
- I boskettari romeni in un film centrato sulla figura del clown che dal 1993 ha fatto vedere loro che era possibile lasciare le strade e le tubature per provare a sperare nel futuro. È “Pa-ra-da”, opera di debutto di Marco Pontecorvo (figlio di Gillo e già affermato direttore della fotografia), presentato a Venezia nella sezione “Orizzonti” e ora nelle sale. Lo spunto è la storia del mimo franco-algerino Mimoud Oukli (interpretato dal convincente Jalil Lespert, circondato da tanti bravissimi ragazzini) che nel 1993 andò a Bucarest per conoscere la Romania dopo la caduta di Ceausescu e vi restò per aiutare i bambini di strada. La pellicola ha tanti meriti: è empatia e accessibile a tutti gli spettatori senza essere retorica e ricattatoria, ha uno stile molto dentro la vita dei ragazzi e fugge tutti i vezzi che solitamente colpiscono i direttori della fotografia che passano alla regia.
Marco Pontecorvo, come è nata l’idea del film?
“Nel 2000 lessi su un giornale un articolo su questo gruppo Pa-ra-da e su Miloud. Mi piacque subito, era una bella storia, con grandi contrasti e grande umanità e grande amore. Ho contattato Miloud, l’ho incontrato, sono stato in Romania. È da cinque anni che lavoravo a questo film. Da una parte perché lavoravo ad altri film come direttore della fotografia, dall’altra perché trovare i soldi non è stato semplice. Le cose dovevano maturare”.
Ha deciso di fare anche la regia…
“Sì, mi sembrava una bella occasione. La cosa difficile è stata la sceneggiatura perché era la prima volta. Sul set mi sono trovato molto più a mio agio perché ho lunga esperienza. Il linguaggio visivo mi è familiare da sempre, ci sono cresciuto, ma ero abituato a scegliere come raccontare visivamente ma non a mettere in scena, non a dirigere gli attori”.
Visivamente ha scelto uno stile molto semplice e vicino ai ragazzi.
“Non mi piace girare in digitale, almeno per ora. E la macchina a 35 millimetri è troppo grande, temevo spaventasse i ragazzi che volevo molto naturali. Così ho scelto una macchina a 16 millimetri che mi consentiva di stare più vicino a loro e raccontare la storia dall’interno e non dall’esterno”.
Come ha scelto i ragazzi?
“Per metà sono ragazzi di Pa-ra-da. Per gli altri ho fatto un lungo casting tra gli orfanotrofi e gli istituti, ma all’ultimo momento non mi hanno dato i permessi. Così mi sono trovato a dover completare il cast quando già stavo girando con gli adulti. Ho avuto fortuna perché una ragazza che aveva una parte importante l’ho trovata il giorno prima e l’ho presa nonostante un provino disastroso. Per fortuna ha dato il meglio sotto pressione. Il mio lavoro è stato amalgamare la recitazione dei diversi gruppi di ragazzi, ma Jalil mi ha aiutato molto con il suo entusiasmo e la sua energia”.
“Pa-ra-da” arriva in un momento in cui i rapporti tra Italia e Romania sono difficili.
“E’ un film con tanta umanità dentro e spero che piaccia. Soprattutto può servire a far conoscere delle cose e superare i pregiudizi. Però la pellicola fa un discorso che va al di là delle relazioni Italia – Romania. È ambientato là perché c’era una storia con uno sbocco positivo, ma poteva essere ovunque, l’infanzia negata è un problema di tanti paesi. Sui titoli di coda ricordiamo che queste cose accadono quotidianamente. I bambini di strada ci sono anche in Italia, anche a Milano”.


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