martedì, settembre 23, 2008

Minacciato di morte un arcivescovo nell'Orissa

Radio Vaticana
- Non si fermano le violenze contro i cattolici in India. Ieri è stato ucciso un sacerdote cattolico nel suo monastero nel nord del Paese. Il religioso viveva in un villaggio a circa 400 km da New Delhi. La polizia non esclude l’ipotesi di una rapina conclusa in maniera tragica. E intanto mons. Raphael Cheenath, arcivescovo della capitale dello Stato dell’Orissa ha denunciato di aver ricevuto una lettera di minacce. Il servizio di Virginia Volpe (ascolta).

L’India piange un altro prete cattolico, forse vittima della criminalità comune. Padre Samuel Francis, di 50 anni, è stato ritrovato morto ieri nella cappella del monastero in cui viveva e insegnava yoga e meditazione, nel villaggio di Chota Rampur, nell’India settentrionale. Aveva le mani legate dietro la schiena, era imbavagliato e presentava ferite sulla fronte. Non sono ancora chiare le dinamiche dell’assassinio e il movente: la polizia non esclude possa trattarsi di un tentativo di furto conclusosi in maniera tragica, visto che il monastero è stato saccheggiato dagli assassini prima della fuga. Insieme al prete è stato ritrovato anche il cadavere di una donna, affetta parzialmente da disturbi psichici. Padre Davis Varayilan, professore al Samanvayan Theological College, ha riferito di aver conosciuto bene il prete ucciso e ne ha elogiato la “generosità”, il buon cuore e l’intelligenza: “È l’ennesima tragedia per la Chiesa indiana – ha detto ad AsiaNews. Spesso mandavamo i nostri seminaristi a vivere per un po' nel suo ashram; agli inizi degli anni ’80 era il responsabile per la pastorale giovanile della diocesi di Meerut”. “Era una persona amata e rispettata da tutti: indù, musulmani, dai poveri e dagli emarginati”. I funerali si sono svolti oggi nel villaggio di Chota Rampur. E la situazione in India non sembra destinata a migliorare: mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack Bhubaneswar, capitale dello Stato indiano dell’Orissa, ha dichiarato di aver ricevuto una lettera minatoria da parte dei fondamentalisti indù. “Sangue per sangue, morte per morte” questa la minaccia che ha indotto il presule a cancellare il viaggio di ritorno a Bhubaneswar. Mons. Cheenath si trova, infatti, ancora nel Kerala, da quando, il 24 agosto scorso cominciarono le violenze. Il prelato ha scritto nei giorni scorsi una lettera al primo ministro per richiedere un nuovo incontro e una scorta per almeno sei mesi. Nella missiva c’è anche un aggiornamento della situazione in Orissa, molto preciso nonostante “l’esilio forzato dell’arcivescovo” perché basato su informazioni raccolte dai suoi preti e dai suoi laici che si trovano in prima linea.


Il dilagare delle violenze anticristiane in India preoccupa e sorprende in particolare coloro che hanno scelto proprio questo Paese come terra di missione. La conferma nelle parole di padre Carlo Torriani, missionario del PIME a Bombay, intervistato da Stefano Leszczynski (ascolta):


R. - In questo momento, si vede che c’è proprio un’organizzazione dietro che attacca anche i Paesi o gli Stati come il Kerala, il Karnataka, in cui i cristiani sono in una certa consistenza. Però, c’è da dire che la gente si sta chiedendo chi è il vero indù: la religione indù è eminentemente tollerante nella sua struttura.


D. – C’è una vicinanza ai cristiani in questo momento dalla parte dei più moderati o c’è un clima di isolamento?


R. – No, ci sono state dimostrazioni anche qui a Bombay, una zona relativamente pacifica per noi qui. A Bombay c’è stata una dimostrazione, tutte le scuole cattoliche sono state chiuse per una giornata in solidarietà ai cristiani dell’Orissa e c’è stato anche un incontro di preghiera e di manifestazione pacifica in cui ha partecipato il rappresentante dell’Arya Samaj, che è un’antica organizzazione indù, più vecchia di 100 anni.


D. – Possiamo dire che, nonostante la situazione in India, c’è ancora uno spazio per il dialogo interreligioso?


R. – Senza dubbio c’è questo spazio, anzi, questo servirà sicuramente a far vedere la buona intenzione dei cristiani mentre queste organizzazioni che provocano, vivono ancora nel clima del colonialismo del secolo scorso.



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