Criticando il rapporto di Amnesty International, secondo il quale la condanna capitale viene comminata in maniera “ingiusta”, il portavoce della Saudi Human Rights Association difende la “correttezza delle procedure” e ricorda nel Paese “vige la Sahria”. Nel 2007 sono state uccise 158 persone.
Riyadh,Arabia (AsiaNews) – La pena di morte in Arabia Saudita è comminata solo in seguito a “una indagine approfondita del caso”, tiene conto del “diritto alla difesa dell’imputato” e, soprattutto, è in “pieno accordo alla legge islamica, la Sharia”. Ad affermarlo è Zuhayr al-Harithi, portavoce dell’Associazione per i diritti umani saudita ad Asharq Al-Awsat. L’attivista ha voluto rispondere alle accuse lanciate ieri da Amnesty International, nel cui rapporto si denuncia una procedura processuale in cui la pena di morte è comminata in modo “segreto, severo e spesso ingiusto”. L’associazione per i diritti umani riferisce inoltre che “le autorità saudite mettono a morte, in media, più di due persone a settimana” e “la metà delle esecuzioni” riguarda “cittadini stranieri provenienti da Paesi poveri e in via di sviluppo”. Nel 2007 sono state messe a morte 158 persone, un balzo in avanti notevole rispetto alle 36 dell’anno precedente.
Secondo al-Harithi le organizzazioni internazionali non capiscono che “ogni nazione ha il suo codice penale e va rispettato”. L’Arabia Saudita si basa sulla Sharia, la legge islamica, che commina la “pena di morte” nei casi di “omicidio, violenza sessuale, traffico di droga e stregoneria”.
Egli ricorda inoltre che vi sono “diversi gradi di giudizio”, il procedimento passa al vaglio di “13 diversi giudici” e la condanna a morte deve essere “ratificata dal re”. Il sistema saudita prevede infine la possibilità che i parenti della vittima perdonino l’assassino, salvandogli la vita.
Riyadh,Arabia (AsiaNews) – La pena di morte in Arabia Saudita è comminata solo in seguito a “una indagine approfondita del caso”, tiene conto del “diritto alla difesa dell’imputato” e, soprattutto, è in “pieno accordo alla legge islamica, la Sharia”. Ad affermarlo è Zuhayr al-Harithi, portavoce dell’Associazione per i diritti umani saudita ad Asharq Al-Awsat. L’attivista ha voluto rispondere alle accuse lanciate ieri da Amnesty International, nel cui rapporto si denuncia una procedura processuale in cui la pena di morte è comminata in modo “segreto, severo e spesso ingiusto”. L’associazione per i diritti umani riferisce inoltre che “le autorità saudite mettono a morte, in media, più di due persone a settimana” e “la metà delle esecuzioni” riguarda “cittadini stranieri provenienti da Paesi poveri e in via di sviluppo”. Nel 2007 sono state messe a morte 158 persone, un balzo in avanti notevole rispetto alle 36 dell’anno precedente.
Secondo al-Harithi le organizzazioni internazionali non capiscono che “ogni nazione ha il suo codice penale e va rispettato”. L’Arabia Saudita si basa sulla Sharia, la legge islamica, che commina la “pena di morte” nei casi di “omicidio, violenza sessuale, traffico di droga e stregoneria”.
Egli ricorda inoltre che vi sono “diversi gradi di giudizio”, il procedimento passa al vaglio di “13 diversi giudici” e la condanna a morte deve essere “ratificata dal re”. Il sistema saudita prevede infine la possibilità che i parenti della vittima perdonino l’assassino, salvandogli la vita.
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