venerdì, ottobre 17, 2008
Criticando il rapporto di Amnesty International, secondo il quale la condanna capitale viene comminata in maniera “ingiusta”, il portavoce della Saudi Human Rights Association difende la “correttezza delle procedure” e ricorda nel Paese “vige la Sahria”. Nel 2007 sono state uccise 158 persone.

Riyadh,Arabia (AsiaNews) – La pena di morte in Arabia Saudita è comminata solo in seguito a “una indagine approfondita del caso”, tiene conto del “diritto alla difesa dell’imputato” e, soprattutto, è in “pieno accordo alla legge islamica, la Sharia”. Ad affermarlo è Zuhayr al-Harithi, portavoce dell’Associazione per i diritti umani saudita ad Asharq Al-Awsat. L’attivista ha voluto rispondere alle accuse lanciate ieri da Amnesty International, nel cui rapporto si denuncia una procedura processuale in cui la pena di morte è comminata in modo “segreto, severo e spesso ingiusto”. L’associazione per i diritti umani riferisce inoltre che “le autorità saudite mettono a morte, in media, più di due persone a settimana” e “la metà delle esecuzioni” riguarda “cittadini stranieri provenienti da Paesi poveri e in via di sviluppo”. Nel 2007 sono state messe a morte 158 persone, un balzo in avanti notevole rispetto alle 36 dell’anno precedente.

Secondo al-Harithi le organizzazioni internazionali non capiscono che “ogni nazione ha il suo codice penale e va rispettato”. L’Arabia Saudita si basa sulla Sharia, la legge islamica, che commina la “pena di morte” nei casi di “omicidio, violenza sessuale, traffico di droga e stregoneria”.

Egli ricorda inoltre che vi sono “diversi gradi di giudizio”, il procedimento passa al vaglio di “13 diversi giudici” e la condanna a morte deve essere “ratificata dal re”. Il sistema saudita prevede infine la possibilità che i parenti della vittima perdonino l’assassino, salvandogli la vita.



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