Con un coltello ficcato nel collo, minacciato di morte, non ha rinunciato alla fede cristiana. Ma vi sono anche altri che sotto minacce sono stati costretti a convertirsi all’induismo. Cristiani feriti assaliti anche in ospedale. Nel distretto di Kandhamal altri tre villaggi attaccati. I missionari di Madre Teresa vogliono tornare per prendersi cura dei lebbrosi e dei tubercolotici.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – Lalji Nayak, torturato per costringerlo ad abbandonare la sua fede cristiana, è morto 2 giorni fa a causa delle ferite riportate. Il p. Manoj Nayak, dell’episcopio di Bhubaneshwar lo definisce “un martire per la fede”, e racconta: “Loro [gli assalitori radicali indù] gli hanno infisso un coltello al collo, minacciandolo di ucciderlo se non rinunciava alla sua fede cristiana. Lalji, anche se era tutto ferito e sanguinante, ha rifiutato di abbandonare la sua fede. È morto il 1° ottobre all’ospedale”.
Il villaggio di Lalji Nayak, a Rudangia, è stato attaccato dai fondamentalisti indù il 30 settembre scorso, alle 4 di mattina. Rudangia è all’interno del distretto di Kandhamal, l’epicentro da cui è iniziato il pogrom contro i cristiani da oltre un mese.
Gli assalitori hanno sorpreso le famiglie cristiane nel sonno e hanno colpito le persone con asce, bastoni, lance e coltelli. Nell’assalto, una donna cristiana, Ramani Nayak, una madre di famiglia, è stata uccisa. Almeno 6 persone sono state ferite e ricoverate all’ospedale di Behampur. Fra un bambino di 8 anni con sua madre e lo stesso Lalji Nayak.
Lo stesso giorno in cui è morto Lalji, i feriti sono stati attaccati anche dentro l’ospedale. P. Oscar Tete, superiore dei Missionari della Carità, il ramo maschile dell’ordine di Madre Teresa, ha dichiarato ad AsiaNews: “Il 1° ottobre una folla inferocita è entrata all’ospedale di Berhampur creando disordine e confusione. Sono stati fermati solo un momento prima di attaccare i 6 feriti. Ormai i cristiani sono presi di mira anche negli ospedali”. Quest’oggi p. Tete trasferirà i feriti scampati al linciaggio nella Casa Madre Teresa di Bhapur Bazar, sempre a Berhampur.
P. Oscar Tete era il responsabile del lebbrosario Shani Nivas a Srashananda, nel distretto di Kandhamal, che è stato distrutto dai radicali indù il 24 agosto scorso, all’inizio del pogrom.
P. Oscar racconta i fatti di quel giorno: “Avevamo appena lasciato la casa che ospita i malati, quando è arrivata una folla enorme. Hanno bruciato completamente l’edificio in cui erano ospitati i lebbrosi e anche la cappella, appena ricostruita dopo le violenze del dicembre scorso. Gli estremisti hanno cominciato a picchiare i malati per far loro confessare dove eravamo nascosti. Poi hanno versato qualche agente chimico nei loro occhi e hanno distrutto anche la nostra casa. Nei giorni seguenti siamo riusciti a portare questi lebbrosi e tubercolotici prima al campo di rifugio di Udaigiri e poi nella casa Madre Teresa di Berhampur”.
Da allora, in Orissa e in altri stati si registrano ogni giorni violenze e distruzioni. Ieri pomeriggio 120 case di cristiani sono state bruciate nel distretto di Baudh, confinante con quello di Kandhamal. Gli abitanti sono fuggiti nella foresta.
P. Oscar Tete non dispera e vuole ritornare a Srashananda, per prendersi ancora cura dei lebbrosi e dei tubercolotici. “Madre Teresa – dice - ci ha sempre chiesto di essere solidali con i poveri e i sofferenti. Non possiamo abbandonare la nostra missione”.
P. Manoj a Bhubaneshwar racconta anche una storia di umiliazione: il dolore di suo padre anziano che minacciato con una scure al collo, è stato forzato a convertirsi all’induismo. “Mio padre era il postino del distretto, una persona molto rispettata. È stato anche catechista della diocesi negli ultimi 30 anni. Il 27 agosto una folla di radiclai indù sono arrivati al villaggio di Tiangia e si sono scatenati prendendo di mira proprio mio padre, Analekt Nayak. Avevano preso informazioni su chi erano i leader della comunità. Hanno piazzato un’ascia sul collo di mio padre e lo hanno costretto a diventare indù. Ora, dopo più di un mese, mio padre è loro prigioniero, continuamente circondato da estremisti che non lo lasciano un istante. Ma il dolore di essere stato forzato a convertirsi all’induismo è la tortura più profonda che sta attraversando”.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – Lalji Nayak, torturato per costringerlo ad abbandonare la sua fede cristiana, è morto 2 giorni fa a causa delle ferite riportate. Il p. Manoj Nayak, dell’episcopio di Bhubaneshwar lo definisce “un martire per la fede”, e racconta: “Loro [gli assalitori radicali indù] gli hanno infisso un coltello al collo, minacciandolo di ucciderlo se non rinunciava alla sua fede cristiana. Lalji, anche se era tutto ferito e sanguinante, ha rifiutato di abbandonare la sua fede. È morto il 1° ottobre all’ospedale”.
Il villaggio di Lalji Nayak, a Rudangia, è stato attaccato dai fondamentalisti indù il 30 settembre scorso, alle 4 di mattina. Rudangia è all’interno del distretto di Kandhamal, l’epicentro da cui è iniziato il pogrom contro i cristiani da oltre un mese.
Gli assalitori hanno sorpreso le famiglie cristiane nel sonno e hanno colpito le persone con asce, bastoni, lance e coltelli. Nell’assalto, una donna cristiana, Ramani Nayak, una madre di famiglia, è stata uccisa. Almeno 6 persone sono state ferite e ricoverate all’ospedale di Behampur. Fra un bambino di 8 anni con sua madre e lo stesso Lalji Nayak.
Lo stesso giorno in cui è morto Lalji, i feriti sono stati attaccati anche dentro l’ospedale. P. Oscar Tete, superiore dei Missionari della Carità, il ramo maschile dell’ordine di Madre Teresa, ha dichiarato ad AsiaNews: “Il 1° ottobre una folla inferocita è entrata all’ospedale di Berhampur creando disordine e confusione. Sono stati fermati solo un momento prima di attaccare i 6 feriti. Ormai i cristiani sono presi di mira anche negli ospedali”. Quest’oggi p. Tete trasferirà i feriti scampati al linciaggio nella Casa Madre Teresa di Bhapur Bazar, sempre a Berhampur.
P. Oscar Tete era il responsabile del lebbrosario Shani Nivas a Srashananda, nel distretto di Kandhamal, che è stato distrutto dai radicali indù il 24 agosto scorso, all’inizio del pogrom.
P. Oscar racconta i fatti di quel giorno: “Avevamo appena lasciato la casa che ospita i malati, quando è arrivata una folla enorme. Hanno bruciato completamente l’edificio in cui erano ospitati i lebbrosi e anche la cappella, appena ricostruita dopo le violenze del dicembre scorso. Gli estremisti hanno cominciato a picchiare i malati per far loro confessare dove eravamo nascosti. Poi hanno versato qualche agente chimico nei loro occhi e hanno distrutto anche la nostra casa. Nei giorni seguenti siamo riusciti a portare questi lebbrosi e tubercolotici prima al campo di rifugio di Udaigiri e poi nella casa Madre Teresa di Berhampur”.
Da allora, in Orissa e in altri stati si registrano ogni giorni violenze e distruzioni. Ieri pomeriggio 120 case di cristiani sono state bruciate nel distretto di Baudh, confinante con quello di Kandhamal. Gli abitanti sono fuggiti nella foresta.
P. Oscar Tete non dispera e vuole ritornare a Srashananda, per prendersi ancora cura dei lebbrosi e dei tubercolotici. “Madre Teresa – dice - ci ha sempre chiesto di essere solidali con i poveri e i sofferenti. Non possiamo abbandonare la nostra missione”.
P. Manoj a Bhubaneshwar racconta anche una storia di umiliazione: il dolore di suo padre anziano che minacciato con una scure al collo, è stato forzato a convertirsi all’induismo. “Mio padre era il postino del distretto, una persona molto rispettata. È stato anche catechista della diocesi negli ultimi 30 anni. Il 27 agosto una folla di radiclai indù sono arrivati al villaggio di Tiangia e si sono scatenati prendendo di mira proprio mio padre, Analekt Nayak. Avevano preso informazioni su chi erano i leader della comunità. Hanno piazzato un’ascia sul collo di mio padre e lo hanno costretto a diventare indù. Ora, dopo più di un mese, mio padre è loro prigioniero, continuamente circondato da estremisti che non lo lasciano un istante. Ma il dolore di essere stato forzato a convertirsi all’induismo è la tortura più profonda che sta attraversando”.
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