martedì, dicembre 30, 2008
Radio Vaticana - A cinquanta anni dal trionfo della Rivoluzione cubana alcuni sacerdoti, tra cui cinque vescovi, hanno potuto per la prima volta, nella cornice del lavoro della pastorale carceraria, celebrare la Santa Messa in diversi carceri di Cuba la mattina del 25 dicembre scorso. Oltre a quelle celebrate dall’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega presso l’istituto “Combinado del Este” e dal suo ausiliare mons. Juan de Dios Hernández nel penitenziario de “La Condesa”, altri riti eucaristici nelle prigioni sono stati celebrati anche dai vescovi di Santiago di Cuba, Santa Clara e Camagüey. Padre Félix Hernández, che ha accompagnato, insieme con alcuni seminaristi, il cardinale Jaime Ortega al più grande carcere cubano nei pressi della capitale, racconta delle cortesie delle autorità del penitenziario e soprattutto descrive “l’immensa gioia dei 17 detenuti che un po’ sorpresi hanno presso parte alla Messa. Una pianola elettrica è servita, con l’aiuto dei seminaristi, ad interpretare alcuni canti natalizi”, ha aggiunto il sacerdote che da quasi 20 anni lavora con i carcerati e poi ha osservato: “Sono passi che vanno nella direzione di migliorare l’assistenza spirituale nel mondo delle carceri. Anche noi dobbiamo trovarci in condizioni dir rispondere a questa nuova sfida. Questo Natale 2008 sarà per tutti noi, che lavoriamo nella pastorale carceraria, una data indimenticabile: per la prima volta in quest’ultimi cinquanta anni - ha rilevato in una dichiarazione alla rivista digitale ‘Palabra Nueva’ – abbiamo potuto celebrare il Natale in diverse carceri del Paese”. Alla fine della Messa il cardinale Ortega ha parlato a lungo con i reclusi consegnando loro come piccolo dono, alcune stampe del Bambin Gesù e della Madonna della “Caridad del Cobre”, patrona di Cuba. Padre Félix Hernández ha commentato questi momenti dicendo che sono stati “brevi ma intensi e in molti dei presenti l’emozione ha fatto scorrere qualche lacrima. Vivere l’esperienza di Dio che si fa uomo e che condivide anche la condizione del carcerato”, ha aggiunto, “è qualcosa di meraviglioso”. Va ricordato che nel mese di luglio del 2007, qualche settimana dopo la V Conferenza generale degli episcopati dell’America Latina, la capitale cubana ha ospitato l’Assemblea ordinaria del Consiglio episcopale (Celam); nell’incontro delle nuove autorità dell’organismo di coordinamento ecclesiale con le autorità dell’isola, si è parlato proprio della pastorale carceraria. In concreto, in quella occasione sono state chieste misure che consentissero uno svolgimento del lavoro pastorale con meno ostacoli e rallentamenti burocratici. Ciò che è accaduto, dunque, può rientrare in quella “grande speranza che ci porta Gesù”, come ha detto il cardinale Jaime Ortega nel suo messaggio natalizio 2008; “speranza che non riguarda l’attesa di miglioramenti personali e sociali che quasi sempre si risolvono nell’ordine materiale. In queste ore, scrive il porporato, ci diciamo: ‘spero che il prossimo anno sia migliore’, e quest’attesa somiglia a quella impaziente di chi aspetta il treno o l’autobus. Avere speranza in Dio, ha spiegato, è tutta un’altra cosa. Questa speranza ci ricorda che Dio ci ama, che per amore si è fatto uno di Dio per morire sulla croce, e che è vivo, che ha vinto sulla morte, e che oggi e sempre è presente nella nostra storia. Questa è la vera speranza: Lui c’è, ci ama, e vive fra noi”. (A cura di Luis Badilla)


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