I vescovi iracheni raccontano il clima nel Paese alla vigilia della festa. Rispetto ai tempi di Hussein vi è una maggiore libertà, ma resta il pericolo di violenze. I prelati sottolineano gli elementi positivi sulla via del dialogo e chiedono al governo passi concreti nella tutela dei diritti.
Baghdad (AsiaNews) – Il Natale rappresenta “un momento di festa e di condivisione per tutto il Paese”. Si intravedono “piccoli segnali di speranza” per la comunità cristiana, ancora oggi vittima di “sofferenze e discriminazioni”. Il governo sembra promuovere eventi utili a diffondere la conoscenza della festività anche fra i non–cristiani, come è successo sabato 20 dicembre in un parco pubblico ad est di Baghdad. Ma resta il timore che queste iniziative siano più una “solidarietà di facciata” che non restituisce “vera dignità” alla comunità, verso la quale persecuzioni e discriminazioni – anche a livello politico – rimangono un problema attuale. È quanto espresso ad AsiaNews da alcuni vescovi iracheni alla vigilia delle festività natalizie.
“Il ministero degli interni ha organizzato una festa – sottolinea mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – il cui scopo era di premiare quanti si sono battuti per il dialogo interreligioso e hanno portato avanti iniziative di pace. Un gesto di solidarietà verso i cristiani e un invito a fare ritorno in Iraq”. La festa che si è svolta sabato nella capitale, il primo evento pubblico legato al Natale, ha visto la partecipazione di moltissimi bambini (nella foto) in compagnia delle loro famiglie. La celebrazione è stata impreziosita da un albero decorato con temi natalizi, un Babbo Natale che si aggirava fra la folla, immagini di Gesù e della Madonna, e la bandiera dell’Iraq a unire tutti i cittadini. “Oggi tutti gli iracheni sono cristiani”, ha affermato il maggiore Abdul Karim Khalaf, portavoce del Ministro degli interni. “La festa è stata un gesto di amicizia verso i cristiani – continua mons. Sako – e una condanna simbolica delle violenze che la nostra comunità ha dovuto subire negli ultimi cinque anni”.
Giudizi positivi arrivano anche da mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, secondo il quale si tratta di un “primo passo incoraggiante”, ma ribadisce che ciò che conta sono “i fatti concreti, a partire dal rispetto dei diritti dei cristiani, violati in troppi casi”. “Il governo invita gli esuli a tornare – continua mons. Warduni – e questo è un bene. Restano però molti elementi irrisolti: la cancellazione dell’art. 50 dalla legge elettorale che lede i diritti delle minoranze, la mancanza di opportunità di lavoro per i cristiani, ancora oggi discriminati nell’ambito professionale. Un altro caso di diritti violati, riguarda i figli di genitori che si convertono all’islam: essi diventano automaticamente musulmani, se anche solo uno dei due abbraccia la fede islamica”.
Mons. Rabban Al Qas, vescovo di Ammadiya ed Erbil, racconta di un “clima festoso” fra i fedeli della sua diocesi e annuncia la diffusione in diretta televisiva della messa di Natale da parte della tv curda: “Un messaggio di pace – racconta il vescovo – per tutta la comunità, con un pensiero particolare a quanti stanno ancora soffrendo”. Il prelato parla anche dei fedeli di Mosul, che “soffrono a causa della loro fede: le messe nella diocesi verranno celebrate solo di giorno per paura di attacchi da parte dei fondamentalisti”.
Paura, sofferenze, violenze e persecuzioni sono figlie di cinque anni di guerra, dalla caduta di Saddam Hussein e dalla spirale di violenza che ha avvolto il Paese. Per i vescovi ai tempi del dittatore era forse più “facile festeggiare”, ma pur in mezzo ad atroci sofferenze “la speranza del messaggio cristiano che si rivela in un Bambino ha un valore ancora più forte oggi”. “Ai tempi di Saddam vi erano molte più restrizioni alla libertà – sottolinea mons. Sako – e questo controllo serrato del governo garantiva maggiore sicurezza alla comunità cristiana durante le celebrazioni. Oggi, però il Natale acquista un significato maggiore perché rappresenta anche un rito di conversione. Oggi è viva l’attesa per un cambiamento”. L’arcivescovo di Kirkuk riferisce di visite da parte di delegazioni “arabe, turcomanne e curde per portare i loro auguri alla comunità cristiana” e annuncia misure di sicurezza maggiori predisposte dalla polizia. “Pur fra tante persecuzioni – conclude il prelato – oggi possiamo sentire un senso di solidarietà maggiore. È un cammino lento, ma si intravvedono aspetti nuovi”.
Dalla capitale, mons. Warduni ribadisce che è “difficile un confronto fra presente e passato”. “Forse prima – dice il vescovo ausiliare di Baghdad – c’era maggiore libertà per i cristiani, che potevano celebrare la messa di mezzanotte, le famiglie restavano per le strade fino alle 2 o alle 3 di notte a scambiarsi gli auguri”. Egli si augura che il Paese possa ritrovare pace e stabilità, guardano a “quel Bambino che diventa una presenza viva in mezzo a noi”.
Una libertà di pensiero maggiore è ribadita infine da mons. Rabban al Qas e testimoniata dalla presenza di 33 canali televisivi privati, un fatto “impensabile ai tempi del regime”. “Certo – denuncia il prelato – è altrettanto evidente una sofferenza maggiore per la comunità cristiana, ma sono ottimista, perché proseguendo su questo cammino si raggiungeranno democrazia e libertà”.
Nel messaggio ai fedeli il vescovo di Ammadiya ed Erbil ricorda che “il Natale non è solo la memoria di un evento passato”, ma è un “fatto presente e vivo in mezzo a noi”. “Dobbiamo costruire un mondo nuovo – conclude il vescovo – tutti assieme, curdi, arabi e cristiani: la festa va al di là dei regali e degli scambi di doni, ma deve essere occasione di rinascita per tutti”.
Baghdad (AsiaNews) – Il Natale rappresenta “un momento di festa e di condivisione per tutto il Paese”. Si intravedono “piccoli segnali di speranza” per la comunità cristiana, ancora oggi vittima di “sofferenze e discriminazioni”. Il governo sembra promuovere eventi utili a diffondere la conoscenza della festività anche fra i non–cristiani, come è successo sabato 20 dicembre in un parco pubblico ad est di Baghdad. Ma resta il timore che queste iniziative siano più una “solidarietà di facciata” che non restituisce “vera dignità” alla comunità, verso la quale persecuzioni e discriminazioni – anche a livello politico – rimangono un problema attuale. È quanto espresso ad AsiaNews da alcuni vescovi iracheni alla vigilia delle festività natalizie.
“Il ministero degli interni ha organizzato una festa – sottolinea mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – il cui scopo era di premiare quanti si sono battuti per il dialogo interreligioso e hanno portato avanti iniziative di pace. Un gesto di solidarietà verso i cristiani e un invito a fare ritorno in Iraq”. La festa che si è svolta sabato nella capitale, il primo evento pubblico legato al Natale, ha visto la partecipazione di moltissimi bambini (nella foto) in compagnia delle loro famiglie. La celebrazione è stata impreziosita da un albero decorato con temi natalizi, un Babbo Natale che si aggirava fra la folla, immagini di Gesù e della Madonna, e la bandiera dell’Iraq a unire tutti i cittadini. “Oggi tutti gli iracheni sono cristiani”, ha affermato il maggiore Abdul Karim Khalaf, portavoce del Ministro degli interni. “La festa è stata un gesto di amicizia verso i cristiani – continua mons. Sako – e una condanna simbolica delle violenze che la nostra comunità ha dovuto subire negli ultimi cinque anni”.
Giudizi positivi arrivano anche da mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, secondo il quale si tratta di un “primo passo incoraggiante”, ma ribadisce che ciò che conta sono “i fatti concreti, a partire dal rispetto dei diritti dei cristiani, violati in troppi casi”. “Il governo invita gli esuli a tornare – continua mons. Warduni – e questo è un bene. Restano però molti elementi irrisolti: la cancellazione dell’art. 50 dalla legge elettorale che lede i diritti delle minoranze, la mancanza di opportunità di lavoro per i cristiani, ancora oggi discriminati nell’ambito professionale. Un altro caso di diritti violati, riguarda i figli di genitori che si convertono all’islam: essi diventano automaticamente musulmani, se anche solo uno dei due abbraccia la fede islamica”.
Mons. Rabban Al Qas, vescovo di Ammadiya ed Erbil, racconta di un “clima festoso” fra i fedeli della sua diocesi e annuncia la diffusione in diretta televisiva della messa di Natale da parte della tv curda: “Un messaggio di pace – racconta il vescovo – per tutta la comunità, con un pensiero particolare a quanti stanno ancora soffrendo”. Il prelato parla anche dei fedeli di Mosul, che “soffrono a causa della loro fede: le messe nella diocesi verranno celebrate solo di giorno per paura di attacchi da parte dei fondamentalisti”.
Paura, sofferenze, violenze e persecuzioni sono figlie di cinque anni di guerra, dalla caduta di Saddam Hussein e dalla spirale di violenza che ha avvolto il Paese. Per i vescovi ai tempi del dittatore era forse più “facile festeggiare”, ma pur in mezzo ad atroci sofferenze “la speranza del messaggio cristiano che si rivela in un Bambino ha un valore ancora più forte oggi”. “Ai tempi di Saddam vi erano molte più restrizioni alla libertà – sottolinea mons. Sako – e questo controllo serrato del governo garantiva maggiore sicurezza alla comunità cristiana durante le celebrazioni. Oggi, però il Natale acquista un significato maggiore perché rappresenta anche un rito di conversione. Oggi è viva l’attesa per un cambiamento”. L’arcivescovo di Kirkuk riferisce di visite da parte di delegazioni “arabe, turcomanne e curde per portare i loro auguri alla comunità cristiana” e annuncia misure di sicurezza maggiori predisposte dalla polizia. “Pur fra tante persecuzioni – conclude il prelato – oggi possiamo sentire un senso di solidarietà maggiore. È un cammino lento, ma si intravvedono aspetti nuovi”.
Dalla capitale, mons. Warduni ribadisce che è “difficile un confronto fra presente e passato”. “Forse prima – dice il vescovo ausiliare di Baghdad – c’era maggiore libertà per i cristiani, che potevano celebrare la messa di mezzanotte, le famiglie restavano per le strade fino alle 2 o alle 3 di notte a scambiarsi gli auguri”. Egli si augura che il Paese possa ritrovare pace e stabilità, guardano a “quel Bambino che diventa una presenza viva in mezzo a noi”.
Una libertà di pensiero maggiore è ribadita infine da mons. Rabban al Qas e testimoniata dalla presenza di 33 canali televisivi privati, un fatto “impensabile ai tempi del regime”. “Certo – denuncia il prelato – è altrettanto evidente una sofferenza maggiore per la comunità cristiana, ma sono ottimista, perché proseguendo su questo cammino si raggiungeranno democrazia e libertà”.
Nel messaggio ai fedeli il vescovo di Ammadiya ed Erbil ricorda che “il Natale non è solo la memoria di un evento passato”, ma è un “fatto presente e vivo in mezzo a noi”. “Dobbiamo costruire un mondo nuovo – conclude il vescovo – tutti assieme, curdi, arabi e cristiani: la festa va al di là dei regali e degli scambi di doni, ma deve essere occasione di rinascita per tutti”.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.