Politici israeliani scatenati su ipotesi di attacco a Gaza, solo uno spot pre elettorale?
PeaceReporter - La tregua di sei mesi tra Hamas e Israele è terminata da tre giorni, ma le due parti, anziché concordare il modo per proseguire il silenzio delle armi, ne approfittano per minacciarsi guerra aperta e fare campagna elettorale. Un braccio di ferro che rischia di avere conseguenze catastrofiche per entrambe le parti. Sabato 20 dicembre dalla Striscia di Gaza sono partiti 13 razzi Qassam e 20 colpi di mortaio. Altri 19 razzi sono stati sparati ieri, provocando solo pochi danni materiali e il ferimento di una persona. E di lì a poco è arrivata la risposta israeliana: con due raid aerei e colpi di artiglieria che hanno ucciso un miliziano e ferito cinque persone, tra cui una donna e un bambino. Dalla scadenza della tregua, Hamas non ha ancora rivendicato alcun lancio di razzi, che invece sono stati opera di Jihad Islamica e delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Questo significa che il governo di Hamas a Gaza ha mollato le redini dei due gruppi armati, che nei mesi scorsi avevano accettato la tregua, ma deve anche essere interpretato come un avvertimento: quando sarà Hamas in prima persona a riprendere le ostilità, le cose andranno molto, molto peggio. È noto infatti che il pontenziale del partito islamico gli consentirebbe di sparare centinaia di razzi al giorno, non le attuali decine. I servizi segreti israeliani sostengono che l'arsenale di Hamas comprenda oggi anche missili katyusha, capaci di colpire fino alla città di Beersheva, ma questa potrebbe anche essere una sovrastima volontaria, per accrescere il livello di allarme e, soprattutto, per preparare l'opinione pubblica alla guerra.
Dalla scadenza della tregua, infatti, il governo israeliano e non solo ha iniziato una matrellante campagna mediatica - che ha immancabilmente trovato ampio risalto sui quotidiani internazionali - per creare la basi di consenso rispetto a un'ipotetica offensiva su larga scala a Gaza. Ha cominciato il generale Gabi Ashkenazi, capo dello Stato Maggiore israeliano, annunciando che le forze di difesa "sono pronte per qualsiasi operazione necessaria nella Striscia di Gaza". E ha rincarato la dose il deputato di Kadima Yisrael Hasson, che ha proposto l'evacuazione forzata delle zone della Striscia da cui vengono lanciati i razzi. Ieri, infine, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha annunciato di avere ordinato la preparazione dei piani per le diverse opzioni militari, L'azione di lobbying per l'offensiva è partita anche al Palazzo di Vetro di New York, dove l'inviata di Israele alle Nazioni Unite, Gabriele Shalew, ha annunciato che il suo Paese " non esiterà a intraprendere azioni militari contro Hamas". Da cosa dipende tutto questo fervore? In questo periodo i politici israeliani hanno una sola cosa in mente: le elezioni del prossimo 10 febbraio, in cui si deciderà il successore del primo ministro Ehud Olmert. In lizza ci sono soprattutto due candidati: l'attuale ministro degli Esteri e leader di Kadima, Tzipi Livni, e Benjamin Netanyahu del Likud. In questi giorni i due hanno ingaggiato una sfida a distanza per dimostrare di essere potenziali premier dal pugno di ferro: la Livni ha promesso che, se verrà eletta, rovescerà il governo di Hamas, e lo stesso ha fatto anche Nethanyahu, che spinge per una soluzione militare. "Prenderemo le misure necessarie ma col necessario senso di responsabilità" ha potuto invece dire il premier uscente Olmert il quale, non a caso, non parteciperà alle elezioni di febbraio.
Netanyahu visita le zone colpite dai razzi QassamMentre in Israele le uniche voci che insistono per il dialgo con Hamas sono quelle del pacifista Uri Avnery e del giornalista di Haaretz Gideon Levy, anche dall'altra parte si alzano i toni delle minacce, come quelle del deputato di Hamas Ayman Taha, secondo cui all'offensiva israeliana il suo partito risponderebbe riprendendo gli attacchi kamikaze contro Israele. O quelle del capo di Hamas in esilio in Siria, Khaled Meshaal, secondo cui Israele paghrebbe l'invasione con un altissimo numero di caduti. Questo però lo sanno bene anche i capi dell'esercito israeliano, che lasciano 'abbaiare' i politici, ma poi precisano di non avere ricevuto alcun ordine di preparare le truppe di terra. Sanno bene che Hamas ha avuto il tempo di disseminare di trappole il suo territorio e che i suoi miliziani sono pronti a combattere fino alla morte in caso di invasione. Sanno anche che una simile offensiva significherebbe la morte per il soldato Gilad Shalit, nelle mani di Hamas da due anni e mezzo. Cè dunque da scommettere che Israele continuerà a rispondere ai razzi con i raid aerei e le uccisioni mirate, e infatti i leader di Hamas sono nuovamente entrati in latitanza per non essere colpiti.
C'è un altro motivo per cui, probabilmente, il progetto di invasione rimarrà solo una minaccia: se anche la riconquista di Gaza riuscisse, infatti, il governo israeliano non sarebbe affatto in grado di grestirne nuovamente l'occupazione. Lo conferma l'ex comandante dell'esercito israeliano a Gaza, Shmuel Zakai: "Negli ultimi hanni - ha dichiarato lunedì ai quotidiani israeliani - abbiamo fatto ogni sforzo per separarci dai palestinesi, ora che senso avrebbe ritornare a controllare il territorio dove ne vivono un milione e mezzo?". Secondo Zakai, il principale errore di Israele durante la tregua, è stato quello di sfruttare la calma per migliorare, anziché esasperare, la situazione economica dei palestinesi della Striscia. "E' ovvio che ora Hamas cerchi di ottenere qualcosa di più" ha concluso.
PeaceReporter - La tregua di sei mesi tra Hamas e Israele è terminata da tre giorni, ma le due parti, anziché concordare il modo per proseguire il silenzio delle armi, ne approfittano per minacciarsi guerra aperta e fare campagna elettorale. Un braccio di ferro che rischia di avere conseguenze catastrofiche per entrambe le parti. Sabato 20 dicembre dalla Striscia di Gaza sono partiti 13 razzi Qassam e 20 colpi di mortaio. Altri 19 razzi sono stati sparati ieri, provocando solo pochi danni materiali e il ferimento di una persona. E di lì a poco è arrivata la risposta israeliana: con due raid aerei e colpi di artiglieria che hanno ucciso un miliziano e ferito cinque persone, tra cui una donna e un bambino. Dalla scadenza della tregua, Hamas non ha ancora rivendicato alcun lancio di razzi, che invece sono stati opera di Jihad Islamica e delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Questo significa che il governo di Hamas a Gaza ha mollato le redini dei due gruppi armati, che nei mesi scorsi avevano accettato la tregua, ma deve anche essere interpretato come un avvertimento: quando sarà Hamas in prima persona a riprendere le ostilità, le cose andranno molto, molto peggio. È noto infatti che il pontenziale del partito islamico gli consentirebbe di sparare centinaia di razzi al giorno, non le attuali decine. I servizi segreti israeliani sostengono che l'arsenale di Hamas comprenda oggi anche missili katyusha, capaci di colpire fino alla città di Beersheva, ma questa potrebbe anche essere una sovrastima volontaria, per accrescere il livello di allarme e, soprattutto, per preparare l'opinione pubblica alla guerra.
Dalla scadenza della tregua, infatti, il governo israeliano e non solo ha iniziato una matrellante campagna mediatica - che ha immancabilmente trovato ampio risalto sui quotidiani internazionali - per creare la basi di consenso rispetto a un'ipotetica offensiva su larga scala a Gaza. Ha cominciato il generale Gabi Ashkenazi, capo dello Stato Maggiore israeliano, annunciando che le forze di difesa "sono pronte per qualsiasi operazione necessaria nella Striscia di Gaza". E ha rincarato la dose il deputato di Kadima Yisrael Hasson, che ha proposto l'evacuazione forzata delle zone della Striscia da cui vengono lanciati i razzi. Ieri, infine, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha annunciato di avere ordinato la preparazione dei piani per le diverse opzioni militari, L'azione di lobbying per l'offensiva è partita anche al Palazzo di Vetro di New York, dove l'inviata di Israele alle Nazioni Unite, Gabriele Shalew, ha annunciato che il suo Paese " non esiterà a intraprendere azioni militari contro Hamas". Da cosa dipende tutto questo fervore? In questo periodo i politici israeliani hanno una sola cosa in mente: le elezioni del prossimo 10 febbraio, in cui si deciderà il successore del primo ministro Ehud Olmert. In lizza ci sono soprattutto due candidati: l'attuale ministro degli Esteri e leader di Kadima, Tzipi Livni, e Benjamin Netanyahu del Likud. In questi giorni i due hanno ingaggiato una sfida a distanza per dimostrare di essere potenziali premier dal pugno di ferro: la Livni ha promesso che, se verrà eletta, rovescerà il governo di Hamas, e lo stesso ha fatto anche Nethanyahu, che spinge per una soluzione militare. "Prenderemo le misure necessarie ma col necessario senso di responsabilità" ha potuto invece dire il premier uscente Olmert il quale, non a caso, non parteciperà alle elezioni di febbraio.
Netanyahu visita le zone colpite dai razzi QassamMentre in Israele le uniche voci che insistono per il dialgo con Hamas sono quelle del pacifista Uri Avnery e del giornalista di Haaretz Gideon Levy, anche dall'altra parte si alzano i toni delle minacce, come quelle del deputato di Hamas Ayman Taha, secondo cui all'offensiva israeliana il suo partito risponderebbe riprendendo gli attacchi kamikaze contro Israele. O quelle del capo di Hamas in esilio in Siria, Khaled Meshaal, secondo cui Israele paghrebbe l'invasione con un altissimo numero di caduti. Questo però lo sanno bene anche i capi dell'esercito israeliano, che lasciano 'abbaiare' i politici, ma poi precisano di non avere ricevuto alcun ordine di preparare le truppe di terra. Sanno bene che Hamas ha avuto il tempo di disseminare di trappole il suo territorio e che i suoi miliziani sono pronti a combattere fino alla morte in caso di invasione. Sanno anche che una simile offensiva significherebbe la morte per il soldato Gilad Shalit, nelle mani di Hamas da due anni e mezzo. Cè dunque da scommettere che Israele continuerà a rispondere ai razzi con i raid aerei e le uccisioni mirate, e infatti i leader di Hamas sono nuovamente entrati in latitanza per non essere colpiti.
C'è un altro motivo per cui, probabilmente, il progetto di invasione rimarrà solo una minaccia: se anche la riconquista di Gaza riuscisse, infatti, il governo israeliano non sarebbe affatto in grado di grestirne nuovamente l'occupazione. Lo conferma l'ex comandante dell'esercito israeliano a Gaza, Shmuel Zakai: "Negli ultimi hanni - ha dichiarato lunedì ai quotidiani israeliani - abbiamo fatto ogni sforzo per separarci dai palestinesi, ora che senso avrebbe ritornare a controllare il territorio dove ne vivono un milione e mezzo?". Secondo Zakai, il principale errore di Israele durante la tregua, è stato quello di sfruttare la calma per migliorare, anziché esasperare, la situazione economica dei palestinesi della Striscia. "E' ovvio che ora Hamas cerchi di ottenere qualcosa di più" ha concluso.
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