Twal: violenza genera solo violenza
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha respinto oggi le proposte di cessate il fuoco a Gaza avanzate dalla diplomazia internazionale: le operazioni militari dunque continuano. Proseguono anche i lanci di razzi da parte di Hamas che tuttavia nelle ultime ore si è detto disposto a prendere in considerazione proposte di tregua. Intanto fonti israeliane confermano l’apertura del valico di Kerem Shalom, nel sud della striscia di Gaza, per far passare oltre cento camion con aiuti umanitari, e del valico di Erez. Stamane è entrato anche un convoglio di Medici Senza Frontiere. Il servizio di Fausta Speranza.
Al quinto giorno dell’operazione 'Piombo fuso’, proseguono ripetuti raid aerei israeliani a Gaza, in particolare contro i tunnel di contrabbando a Rafah, e gli attacchi di Hamas contro città israeliane sulle quali sono esplosi una quarantina di razzi. Tra queste Beer Sheva, Ashdod e Ashqelon. L’Unione Europea ha chiesto un “cessate il fuoco immediato e permanente” per consentire l'accesso umanitario alle popolazioni civili, impegnandosi a vigilare sulla tregua inviando una propria missione di osservatori. La posizione è stata messa a punto dai ministri degli Esteri dei 27 in una riunione di emergenza ieri sera a Parigi. L’iniziativa è l’ultimo atto della presidenza di turno francese dell’UE che dal primo gennaio viene assunta dalla Repubblica Ceca. Si parla però di una visita di Sarkozy in Israele il 5 gennaio. Ai confini di Gaza rimangono schierati migliaia di soldati israeliani, pronti ad un eventuale attacco di terra. Da parte sua il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen fa sapere di voler chiedere all’Onu di intervenire con una risoluzione. Delle drammatiche condizioni nella Striscia di Gaza, dopo l’ultimo bilancio di 385 morti e oltre 1700 feriti, oggi diversi rapporti mettono in luce le ripercussioni negative dal punto di vista psicologico sui bambini. Per avere modo di documentare la situazione l’Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) ha chiesto libero accesso a Gaza facendo ricorso alla Corte Suprema israeliana.
Sulla situazione a Gaza ascoltiamo il commento del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, intervistato da Gabi Fröhlich: 00:04:13:30
D. – Per noi la soluzione militare non è mai una buona soluzione. La violenza genera soltanto altra violenza. I cristiani, da parte loro, fanno parte della popolazione, non sono un’entità a parte e non possiamo parlare solo del destino dei cristiani perché fanno parte di tutta la popolazione e credo che quando arrivano le bombe dal cielo non sanno distinguere tra il cristiano o il musulmano. Tanti sono vittime innocenti e non hanno niente a che fare con Hamas. Per noi è da condannare ogni tipo di violenza. D. – Mons. Twal come giudica questo attacco israeliano su Gaza?
R. – Sono donne, bambini, sono famiglie che hanno diritto ad una vita normale, senza violenza. Un assedio che viene dal cielo, dal mare, e che ha fatto di tutta la città una prigione a cielo aperto, non credo che sia il contesto giusto per favorire la pace, la riconciliazione. Comunque non è un contesto che dà speranza che la violenza terminerà. Tutto questo non fa che aumentare l’odio, l’ingiustizia, la violenza, la sofferenza in tanti animi delle persone innocenti.
D. – Lei crede che la diplomazia internazionale abbia la forza per riportare la pace nella regione?
R. – Fino adesso le trattative non hanno portato a niente, eppure possiamo dire che a livello internazionale c’è più coscienza sulla necessità di risolvere il problema. Ci sono tre o quattro iniziative molto buone, il mondo si muove di più per risolvere il problema. Le parole non sono servite fino adesso, però anche la violenza non è servita. E’ meglio il dialogo, la discussione che la violenza, il problema è trovare una buona volontà politica per risolvere il problema. Se non c’è la buona volontà di risolvere il problema saranno solo chiacchiere e promesse e incontri che non porteranno ad alcun risultato. Dobbiamo pagare per avere la pace, dobbiamo cedere, dobbiamo convertire il cuore, dobbiamo cambiare i discorsi, dobbiamo cambiare mentalità. Se continuiamo come prima con questa sfiducia, con questa violenza, di ignoranza, di odio, non finiremo mai.
D. – Secondo lei in questo clima è possibile una visita del Papa nella regione?
R. – Speriamo che questa situazione finisca il più presto possibile. Anzi forse avrebbe bisogno del Santo Padre per dire a tutte le parti una parola per avere più riconciliazione, più pace, più perdono. Questo è il linguaggio di noi cristiani, anzi nel momento più difficile abbiamo bisogno di una voce serena, calma al di sopra di tutte le parti. Una parola del Santo Padre, una benedizione del Santo Padre, una visita del Santo Padre credo che sia una benedizione per noi tutti, perché ne abbiamo bisogno. Credo che il Papa, la Santa Sede, la Chiesa hanno la forza morale per poter parlare a tutte le parti per il bene di tutti quanti.
D. – Secondo lei esiste il pericolo dell’espansione delle violenze nella Cisgiordania e a Gerusalemme?
R. – La violenza non fa che male a tutti quanti, l’Intifada fa più male ai palestinesi prima ancora che agli israeliani. Non abbiamo bisogno di aggravare la situazione, abbiamo bisogno di fermare quello che sta succedendo, di dare fiducia ai pellegrini che vengono per il bene di tutti. I pellegrini sono stati sempre benvenuti e accolti da tutti: dalle autorità palestinesi, israeliane e anche dalla Chiesa.
D. – Che cosa si aspetta, mons. Twal, dalla comunità internazionale?
R. – Dalla comunità internazionale ci aspettiamo un'azione più decisa, coraggiosa, per fare pressioni perché ci sia più giustizia per tutti, pace per tutti. Non bastano le parole di pietà, abbiamo bisogno di atti coragiosi, discorsi coraggiosi, per mettere fine a questa situazione in modo che tutto speriamo torni alla normalità.
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha respinto oggi le proposte di cessate il fuoco a Gaza avanzate dalla diplomazia internazionale: le operazioni militari dunque continuano. Proseguono anche i lanci di razzi da parte di Hamas che tuttavia nelle ultime ore si è detto disposto a prendere in considerazione proposte di tregua. Intanto fonti israeliane confermano l’apertura del valico di Kerem Shalom, nel sud della striscia di Gaza, per far passare oltre cento camion con aiuti umanitari, e del valico di Erez. Stamane è entrato anche un convoglio di Medici Senza Frontiere. Il servizio di Fausta Speranza.
Al quinto giorno dell’operazione 'Piombo fuso’, proseguono ripetuti raid aerei israeliani a Gaza, in particolare contro i tunnel di contrabbando a Rafah, e gli attacchi di Hamas contro città israeliane sulle quali sono esplosi una quarantina di razzi. Tra queste Beer Sheva, Ashdod e Ashqelon. L’Unione Europea ha chiesto un “cessate il fuoco immediato e permanente” per consentire l'accesso umanitario alle popolazioni civili, impegnandosi a vigilare sulla tregua inviando una propria missione di osservatori. La posizione è stata messa a punto dai ministri degli Esteri dei 27 in una riunione di emergenza ieri sera a Parigi. L’iniziativa è l’ultimo atto della presidenza di turno francese dell’UE che dal primo gennaio viene assunta dalla Repubblica Ceca. Si parla però di una visita di Sarkozy in Israele il 5 gennaio. Ai confini di Gaza rimangono schierati migliaia di soldati israeliani, pronti ad un eventuale attacco di terra. Da parte sua il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen fa sapere di voler chiedere all’Onu di intervenire con una risoluzione. Delle drammatiche condizioni nella Striscia di Gaza, dopo l’ultimo bilancio di 385 morti e oltre 1700 feriti, oggi diversi rapporti mettono in luce le ripercussioni negative dal punto di vista psicologico sui bambini. Per avere modo di documentare la situazione l’Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) ha chiesto libero accesso a Gaza facendo ricorso alla Corte Suprema israeliana.
Sulla situazione a Gaza ascoltiamo il commento del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, intervistato da Gabi Fröhlich: 00:04:13:30
D. – Per noi la soluzione militare non è mai una buona soluzione. La violenza genera soltanto altra violenza. I cristiani, da parte loro, fanno parte della popolazione, non sono un’entità a parte e non possiamo parlare solo del destino dei cristiani perché fanno parte di tutta la popolazione e credo che quando arrivano le bombe dal cielo non sanno distinguere tra il cristiano o il musulmano. Tanti sono vittime innocenti e non hanno niente a che fare con Hamas. Per noi è da condannare ogni tipo di violenza. D. – Mons. Twal come giudica questo attacco israeliano su Gaza?
R. – Sono donne, bambini, sono famiglie che hanno diritto ad una vita normale, senza violenza. Un assedio che viene dal cielo, dal mare, e che ha fatto di tutta la città una prigione a cielo aperto, non credo che sia il contesto giusto per favorire la pace, la riconciliazione. Comunque non è un contesto che dà speranza che la violenza terminerà. Tutto questo non fa che aumentare l’odio, l’ingiustizia, la violenza, la sofferenza in tanti animi delle persone innocenti.
D. – Lei crede che la diplomazia internazionale abbia la forza per riportare la pace nella regione?
R. – Fino adesso le trattative non hanno portato a niente, eppure possiamo dire che a livello internazionale c’è più coscienza sulla necessità di risolvere il problema. Ci sono tre o quattro iniziative molto buone, il mondo si muove di più per risolvere il problema. Le parole non sono servite fino adesso, però anche la violenza non è servita. E’ meglio il dialogo, la discussione che la violenza, il problema è trovare una buona volontà politica per risolvere il problema. Se non c’è la buona volontà di risolvere il problema saranno solo chiacchiere e promesse e incontri che non porteranno ad alcun risultato. Dobbiamo pagare per avere la pace, dobbiamo cedere, dobbiamo convertire il cuore, dobbiamo cambiare i discorsi, dobbiamo cambiare mentalità. Se continuiamo come prima con questa sfiducia, con questa violenza, di ignoranza, di odio, non finiremo mai.
D. – Secondo lei in questo clima è possibile una visita del Papa nella regione?
R. – Speriamo che questa situazione finisca il più presto possibile. Anzi forse avrebbe bisogno del Santo Padre per dire a tutte le parti una parola per avere più riconciliazione, più pace, più perdono. Questo è il linguaggio di noi cristiani, anzi nel momento più difficile abbiamo bisogno di una voce serena, calma al di sopra di tutte le parti. Una parola del Santo Padre, una benedizione del Santo Padre, una visita del Santo Padre credo che sia una benedizione per noi tutti, perché ne abbiamo bisogno. Credo che il Papa, la Santa Sede, la Chiesa hanno la forza morale per poter parlare a tutte le parti per il bene di tutti quanti.
D. – Secondo lei esiste il pericolo dell’espansione delle violenze nella Cisgiordania e a Gerusalemme?
R. – La violenza non fa che male a tutti quanti, l’Intifada fa più male ai palestinesi prima ancora che agli israeliani. Non abbiamo bisogno di aggravare la situazione, abbiamo bisogno di fermare quello che sta succedendo, di dare fiducia ai pellegrini che vengono per il bene di tutti. I pellegrini sono stati sempre benvenuti e accolti da tutti: dalle autorità palestinesi, israeliane e anche dalla Chiesa.
D. – Che cosa si aspetta, mons. Twal, dalla comunità internazionale?
R. – Dalla comunità internazionale ci aspettiamo un'azione più decisa, coraggiosa, per fare pressioni perché ci sia più giustizia per tutti, pace per tutti. Non bastano le parole di pietà, abbiamo bisogno di atti coragiosi, discorsi coraggiosi, per mettere fine a questa situazione in modo che tutto speriamo torni alla normalità.
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