Eco51.it - Ancora una volta ci troviamo a parlare di crisi ed ambiente: questi due aspetti così importanti della nostra vita quotidiana sembrano dominare le notizie dell’ultimo periodo e, spesso, vengono presentati come fattori contrapposti. Il nostro Paese, ad esempio, ha sottolineato in sede europea l’incompatibilità del rispetto delle limitazioni imposte dal Protocollo di Kyoto con le contromisure da adottare per far fronte alla crisi finanziaria in atto un po’ in tutto il mondo: come saprete, l’Italia ha recentemente ritirato ogni sua obiezione anche perché, e pure di questo c’eravamo già occupati, investire in ambiente ed ecologia pare essere particolarmente redditizio. Viste le tante voci che ribadiscono la convenienza economica delle fonti di energia rinnovabili, sembra quasi impossibile trovare qualche resistenza, eppure le ultime vicende politiche internazionali lasciano qualche dubbio in tal senso. Basterebbe che i politici più influenti (che si spera siano anche quelli più coscienziosi) dessero un’occhiata ai dati della Ewea, l’associazione europea per l’energia eolica. Se, infatti, per via della difficile situazione finanziaria molti settori produttivi sono in una fase di stallo e si vedono costretti ad operare decisi tagli al personale (o magari colgono solo la ghiotta occasione per farli senza risponderne) il settore eolico gode di ottima salute ed impiega, nella sola Unione Europea, oltre 108.500 persone.
Nel 2003 l’industria dell’energia eolica impiegava poco più di 48.000 persone. I conti sono facili: in cinque anni, nonostante l’11 settembre, le guerre in Medio Oriente e la crisi economica (così abbiamo toccato i tre elementi normalmente addotti per giustificare gli insuccessi politici e finanziari dei governi!), il settore eolico ha aumentato di oltre il 100% l’occupazione. Un successo clamoroso che è decisamente approssimato per difetto in quanto non tiene conto dell’indotto, che permetterebbe di incrementare il numero di addetti di un ulteriore 50%. I paesi che più hanno investito nell’energia eolica sono la Danimarca – leader tra le altre cose anche nel settore foto-voltaico – la Germania e la Spagna.
In questi paesi si è assistito ad uno spostamento dei lavoratori da altri comparti dell’industria energetica a quello eolico, attenuando di molto la crisi occupazionale che ha investito anche il settore dell’energia. La metà degli addetti si dedica alla costruzione delle turbine mentre la restante metà si occupa della progettistica, della ricerca, della promozione e commercializzazione dei parchi eolici e dell’energia che vi si produce. Insomma, non solo operai: c’è lavoro per tutti! Al momento, secondo la Ewea, il 7,3% dei lavoratori del settore energia è impiegato nel settore eolico: nel 2020, l’anno in cui dovrebbero raggiungersi gli ambiziosi (ma appena sufficienti) traguardi di Kyoto, si stima che vi lavoreranno circa 318.000 persone.
E l’Italia? Per una volta non siamo messi malissimo. Certo, siamo lontani dai risultati dei cugini spagnoli, ma, al pari di Francia, Irlanda e Portogallo, abbiamo buoni margini di crescita e mostriamo segnali positivi: la Puglia, ad esempio, si è rivelata la regione più virtuosa in tal senso, con un quarto dell’energia eolica nazionale prodotta ogni anno. In generale, ed anche questo sembra strano a dirsi, è il Sud dell’Italia a rivelarsi più attento all’eolico: sarà da Roma in su, per una volta, che si dovrà lavorare maggiormente. Che il vento sia davvero cambiato?
Nel 2003 l’industria dell’energia eolica impiegava poco più di 48.000 persone. I conti sono facili: in cinque anni, nonostante l’11 settembre, le guerre in Medio Oriente e la crisi economica (così abbiamo toccato i tre elementi normalmente addotti per giustificare gli insuccessi politici e finanziari dei governi!), il settore eolico ha aumentato di oltre il 100% l’occupazione. Un successo clamoroso che è decisamente approssimato per difetto in quanto non tiene conto dell’indotto, che permetterebbe di incrementare il numero di addetti di un ulteriore 50%. I paesi che più hanno investito nell’energia eolica sono la Danimarca – leader tra le altre cose anche nel settore foto-voltaico – la Germania e la Spagna.
In questi paesi si è assistito ad uno spostamento dei lavoratori da altri comparti dell’industria energetica a quello eolico, attenuando di molto la crisi occupazionale che ha investito anche il settore dell’energia. La metà degli addetti si dedica alla costruzione delle turbine mentre la restante metà si occupa della progettistica, della ricerca, della promozione e commercializzazione dei parchi eolici e dell’energia che vi si produce. Insomma, non solo operai: c’è lavoro per tutti! Al momento, secondo la Ewea, il 7,3% dei lavoratori del settore energia è impiegato nel settore eolico: nel 2020, l’anno in cui dovrebbero raggiungersi gli ambiziosi (ma appena sufficienti) traguardi di Kyoto, si stima che vi lavoreranno circa 318.000 persone.
E l’Italia? Per una volta non siamo messi malissimo. Certo, siamo lontani dai risultati dei cugini spagnoli, ma, al pari di Francia, Irlanda e Portogallo, abbiamo buoni margini di crescita e mostriamo segnali positivi: la Puglia, ad esempio, si è rivelata la regione più virtuosa in tal senso, con un quarto dell’energia eolica nazionale prodotta ogni anno. In generale, ed anche questo sembra strano a dirsi, è il Sud dell’Italia a rivelarsi più attento all’eolico: sarà da Roma in su, per una volta, che si dovrà lavorare maggiormente. Che il vento sia davvero cambiato?
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