domenica, marzo 29, 2009
Una marcia mondiale per la pace che toccherà 90 paesi e 100 città

Peacereporter - Una marcia mondiale per la pace. L'iniziativa non ha precedenti e i numeri suonano altisonanti: 90 paesi, 100 città, sei continenti. La data non è certo casuale: il 2 ottobre, data di nascita di Gandhi e giorno internazionale della non violenza. Gente di culture e religioni differenti si uniranno in un lungo cammino per dire no alla violenza e alla guerra: 160mila chilometri passando per climi ed ecosistemi differenti. Tre mesi di viaggio, da Wellington, in Nuova Zelanda, a Punta de Vacas, ai piedi del Monte Aconcagua, in Argentina. Arrivo previsto il 2 gennaio 2010.

Ad aver promosso l'evento in America Latina è stato Tomas Hirsch, presidente del partito umanista cileno ed ex candidato alla presidenza del Cile, che ha coinvolto nomi del calibro di Josè Saramago, il Dalai Lama, Noma Chomski e Desmond Tutu.
L'idea però è nata da una Ong spagnola Mundo Sin Guerras cominciando a concretizzarsi nel 2007. Consapevoli che un'iniziativa del genere certo non porrà fine alle guerre, né alle occupazioni, né porterà la sparizione di arsenali nucleari, l'intento è pungolare la coscienza umana e metterla di fronte a queste emergenze. Proprio com'è stato per il tema del surriscaldamento globale. Grazie all'insistenza sul tema, oggi diventato un argomento prioritario nell'agenda mondiale. "Cerchiamo di far succedere la stessa cosa con la pace e la non violenza", ha spiegato Tomas Hirsch.

Le zone che la marcia andrà a toccare sono le più calde e simboliche della pace: Hiroshima, la frontiera delle due Coree, Gerusalemme, la frontiera tra Algeria e Marocco, la Colombia, tutte aree marcate da differenti tipi di conflitto, ma tutte soggiogate dalla violenza. Ogni tappa toccata sarà teatro di cerimonie simboliche, come il concerto sinfonico in simultanea da Gerusalemme e Ramalla.
Per partecipare, dall'inizio alla fine, occorreranno circa diecimila euro per coprire spostamenti e alloggi e gli organizzatori prevedono che saranno un centinaia le persone che potranno dedicare tre mesi della loro vita a questa iniziativa. "Cento, ma che diventeranno migliaia in molte zone della marcia", spiega l'umanista cileno. E per far sì che non resti un'iniziativa marginale, alla luce di quanto succede da troppi anni ai Social Forum dove alle parole non sono pressocché mai seguiti fatti, gli ideatori della marcia hanno in mente ben altro. Innanzitutto muoversi coinvolgendo i governi, le istituzioni, i mass media e poi realizzare una serie di tappe concrete a corollario della marcia. Per iniziare, già il governo argentino ha dichiarato l'iniziativa di interesse nazionale, definendo il 2009 l'anno della non violenza. Oppure il seminario di Santiago del Cile, a cui parteciperanno tutte le forze armate della regione per dialogare sulla pace e il disarmo. E parteciperanno perfino gli Stati Uniti.

Meno soldi in armi. E a coloro che contestano agli organizzatori di aver scelto il momento sbagliato per rilanciare il tema della pace globale, in un momento in cui ogni singolo abitante del pianeta è preoccupato per le proprie finanze, sempre più minacciate, Hirsch risponde: "Sempre ci saranno urgenze che impediranno di vedere l'importante, ma un dieci percento in meno delle spese militari nell'intera regione sudamericana permetterà di aiutare anche i lavoratori a rischio. La riduzione degli investimenti militari ha un'incidenza diretta sulle nostre possibilità di sviluppo".
Parole che cozzano con la realtà, vista la corsa agli armamenti in voga nell'intero continente latinoamericano. Gli interessi economici che stanno dietro alla fabbricazione e alla vendita di armi sono enormi, tanto che ogni volta che ci si avvicina a risolvere conflitti o tensioni, qualche cosa va storto e tutto frana. "Per questo occorre lavorare sodo dar forza al tema della pace - aggiunge il presidente degli umanisti cileni ed ex candidato per Juntos Podemos - La gente deve sapere che con il dieci percento della spesa militare si potrebbe risolvere la fame nel mondo. Cosa succederebbe se destinassimo addirittura il 30 o il 50 percento di quello che ora i governi buttano in armi a migliorare la qualità della vita della gente? Certo - conclude - non pretendiamo di convertire ogni cittadino in un Gandhi redivivo, ma vogliamo aiutare la gente a scoprire che è possibile un altro modello di relazione, basato sulla valorizzazione della diversità, nella consapevolezza che nessuno è migliore di un altro, che, sebbene differenti, siamo tutti uguali. Il primo passo, questo, verso un nuovo tipo di società".

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