domenica, maggio 10, 2009
del nostro collaboratore Carlo Mafera

Maria Luisa Di Pietro, professore associato di Bioetica presso l'Università Cattolica S. Cuore di Roma, presidente nazionale dell’Associazione Scienza&Vita, ha tenuto una lezione presso l’Università della Santa Croce venerdì 17 aprile nell’ambito del corso di aggiornamento di giornalismo su temi di attualità cattoliche. Due sono stati sostanzialmente gli argomenti affrontati dalla dottoressa Di Pietro: il concetto di dignità della persona umana e successivamente l’accanimento terapeutico. La studiosa ha messo in evidenza l’importanza della esatta definizione dei concetti. Infatti “non si può dare significati differenti allo stesso oggetto perché significherebbe condizionare la mente delle persone”. Ha così fatto l’esempio dell’episodio di Alice nel paese delle meraviglie dove viene espresso il concetto della dittatura delle parole. “Quando io mi servo di una parola – rispose Humpty Dumpty in Alice, oltre lo specchio, quella parola significa quello che piace a me né più né meno”. “Il problema è – insisté Alice – se si può dare alle parole significati così differenti. Il problema è – disse Humpty Dumpty – chi è il padrone? A proposito della giusta definizione di dignità della persona la professoressa Di Pietro ha sottolineato non l’accezione di un valore attribuito dall’esterno dove la società stabilisce le condizioni a partire dalle quali la vita umana sia “degna”con tutto quello che ne deriva. Piuttosto ha ribadito che la dignità della persona è un valore intrinseco all’uomo, “è la preziosità che un essere umano ha semplicemente perché è uomo e non per virtù o ceto sociale.” “La dignità – ha continuato la Di Pietro – in tal senso, inerisce all’uomo per natura. La dignità non è quindi un diritto ma il fondamento dei diritti inalienabili dell’essere umano.” Per quanto riguarda il concetto di accanimento terapeutico, la presidente nazionale dell’Associazione scienza & vita, ha sostanzialmente affermato che “tra i criteri che vengono utilizzati per valutare se una terapia è o meno proporzionata, vi sono: il tipo di terapia; la proporzione tra mezzo e fine perseguito; il grado di difficoltà e il rischio; la possibilità di applicazione; le condizioni generali del malato (fisiche, psichiche, morali). Qualora un intervento si configurasse come un accanimento terapeutico è doveroso sospenderlo, mentre si continueranno le cure normali, la palliazione del dolore, l’alimentazione e l’idratazione. Da ciò si evince che non è possibile stabilire una regola valida per tutti i casi clinici, senza conoscere le condizioni del paziente e il suo decorso clinico. Che si tratti o meno di accanimento terapeutico va valutato caso per caso, anche nell’ipotesi in cui i pazienti in esame fossero affetti dalla stessa patologia. Vi è, allora, il timore che un’indicazione generica e non contestualizzata apra la strada a forme non di evitamento dell’accanimento terapeutico bensì di sostegno ad azioni eutanasiche di tipo omissivo”.

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