PapaBoys - "L'umanità ha bisogno di un "cuore nuovo"": l'unica scelta capace di risolvere le crisi economiche e sociali, e che risponda alla verità profonda dell'uomo, è il cambiamento del cuore, la conversione che solo Dio può dare. È questo uno dei passaggi significativi delle riflessioni emerse alla presentazione dell'appello "Per un'agenda di speranza", rivolto da vescovi e responsabili di organizzazioni e movimenti del Nord e del Sud del mondo ai governanti, che si riuniranno dall'8 al 10 luglio nel g8 all'Aquila. Un documento con richiami e proposte concrete che idealmente si associa ai principi che Benedetto XVI ha espresso nella lettera ai leader che parteciperanno al g8. L'iniziativa dell'appello si è sviluppata su due giornate, la prima a Roma il 3 luglio e la seconda a Milano il 4. È stata promossa da Volontari nel mondo Focsiv e Retinopera, in collaborazione con Azione cattolica italiana, Centro turistico giovanile, Agesci, Movimento cattolico lavoratori, Unione nazionale istituti e iniziative di assistenza sociale, Associazioni cristiane lavoratori italiani, Rinnovamento nello Spirito, Movimento umanità nuova Focolarini e Coldiretti. Venerdì a Roma l'appello è stato consegnato da una delegazione di vescovi e rappresentanti delle associazioni ai ministri italiani dell'Economia, Tremonti, degli Esteri, Frattini e a quello del Lavoro, salute e delle politiche sociali, Sacconi.
Sabato pomeriggio nel duomo del capoluogo lombardo ha avuto luogo la concelebrazione eucaristica, presieduta dall'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi; con lui hanno concelebrato, oltre all'ausiliare e vicario generale Carlo Redaelli e diversi presbiteri - fra i quali monsignor Josef Sayer, direttore generale di Misereor (Germania) - cinque presuli firmatari dell'appello: Emmanuel Adetoyese Badejo, vescovo coadiutore di Oyo (Nigeria) e responsabile per la comunicazione sociale della Conferenza episcopale nigeriana; Johannes Bündgens, vescovo ausiliare di Aachen (Germania); Néstor Rafael Herrera Heredia, vescovo di Machala (Ecuador) e presidente della Conferenza episcopale ecuadoregna; Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea, presidente della commissione per i problemi sociali e del lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale italiana; Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos (Guatemala). Al termine della messa si è svolta una veglia di preghiera nella basilica di Santo Stefano, sede della cappellania per gli esteri. L'arcivescovo ha ricordato che la speranza di Cristo è fonte di solidarietà. Tale speranza è per l'intera umanità, a partire dall'alleanza che Dio offre ad Abramo. Questa consapevolezza di una fraternità universale - alternativa a una scelta egoistica - fa ripetere al cardinale Tettamanzi un concetto più volte espresso: "I diritti dei deboli non sono diritti deboli, al contrario essi vanno proclamati, riconosciuti, difesi e promossi".
Contro un egoismo sociale purtroppo molto presente - ha poi affermato il porporato - "per chi è onesto, non è difficile distinguere la vera dalla falsa giustizia: il criterio principale è riconoscere se è compatibile con i diritti di tutti o di alcuni soltanto". L'arcivescovo, "in piena sintonia con la lettera delle Conferenze episcopali cattoliche ai leader dei Paesi del g8 del 22 giugno", ha riaffermato che "le conseguenze dell'attuale crisi - le cui origini sono dei Paesi più ricchi - non devono ricadere sui Paesi più poveri. Lo sviluppo dei popoli deve essere considerato questione prioritaria da tutti". Pertanto prioritario è promuovere il dialogo per prevenire ulteriori crisi, onorare gli impegni in tema d'aiuti e cancellazione del debito estero, contrastare gli effetti devastanti dovuti ai cambiamenti climatici, pensare a una nuova regolamentazione dell'economia, della finanza e del mercato: "E se al riguardo si sono decisi degli interventi, è il caso di dire che pacta sunt servanda". Ci sono poi le sofferenze dei migranti, costretti a lasciare i loro Paesi a causa delle drammatiche condizioni di vita. E molte di queste sofferenze sono provocate ai migranti talvolta da "provvedimenti messi in atto da quei Paesi più ricchi che dovrebbero maggiormente impegnarsi in percorsi d'accoglienza e integrazione seri, ragionati e rigorosi"; per questo sono auspicabili "gli interventi specificati dall'"Agenda della speranza". Potrà avvenire così la desiderabile giusta regolazione del fenomeno migratorio e dei problemi che genera". Dunque è "un sistema di relazioni rinnovate tra popoli e, più profondamente, una cultura nuova, uno sguardo nuovo sugli altri, una libertà capace d'impegno, in sintesi un cuore nuovo", che può essere "principio di una moralità e una solidarietà a raggio mondiale".
Durante la veglia il vescovo Miglio ha ripreso alcuni passaggi del cardinale, in particolare "il richiamo che hanno fatto anche i presidenti delle conferenze episcopali, e cioè che gli impegni vanno mantenuti. Di g8 in g8 si trascinano impegni, obiettivi, promesse. Sappiamo le difficoltà di ciascun Paese, ci vuole gradualità, ma chiediamo di non cambiare strada". A sua volta il nigeriano monsignor Badejo ha ricordato che "per farsi conoscere il Signore non ci ha mandato un fax o una e-mail, è venuto Lui stesso. La questione più profonda è quella di cercare sempre di conoscere l'altro, e tramite l'altro di conoscere il Signore". Monsignor Herrera, partendo dall'esperienza ecuadoregna, ha messo l'accento su iniziative con le quali i popoli latinoamericani cercano di costruire uno sviluppo sostenibile: "Borse di studio per giovani; forme di lavoro in cooperativa per costruire opere pubbliche e anche cooperazione economica-finanziaria (casse di risparmio); attenzione ai migranti e alle loro famiglie". Infine, monsignor Ramazzini, partendo dal fatto che "essere discepoli del Signore significa assumere anche il suo modo di pensare", ha individuato in alcune caratteristiche del nostro tempo forti rassomiglianze con quelle di duemila anni fa: il potere militare, una religiosità deviata dal rapporto vero con Dio, l'idolatria verso il potere, i soldi, il piacere. "Essere discepolo - ha concluso - significa vivere la solidarietà e che questa non è soltanto assistenzialismo o dare quello che ci avanza, ma significa anche impegnarci per costruire un mondo più giusto".
Sabato pomeriggio nel duomo del capoluogo lombardo ha avuto luogo la concelebrazione eucaristica, presieduta dall'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi; con lui hanno concelebrato, oltre all'ausiliare e vicario generale Carlo Redaelli e diversi presbiteri - fra i quali monsignor Josef Sayer, direttore generale di Misereor (Germania) - cinque presuli firmatari dell'appello: Emmanuel Adetoyese Badejo, vescovo coadiutore di Oyo (Nigeria) e responsabile per la comunicazione sociale della Conferenza episcopale nigeriana; Johannes Bündgens, vescovo ausiliare di Aachen (Germania); Néstor Rafael Herrera Heredia, vescovo di Machala (Ecuador) e presidente della Conferenza episcopale ecuadoregna; Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea, presidente della commissione per i problemi sociali e del lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale italiana; Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos (Guatemala). Al termine della messa si è svolta una veglia di preghiera nella basilica di Santo Stefano, sede della cappellania per gli esteri. L'arcivescovo ha ricordato che la speranza di Cristo è fonte di solidarietà. Tale speranza è per l'intera umanità, a partire dall'alleanza che Dio offre ad Abramo. Questa consapevolezza di una fraternità universale - alternativa a una scelta egoistica - fa ripetere al cardinale Tettamanzi un concetto più volte espresso: "I diritti dei deboli non sono diritti deboli, al contrario essi vanno proclamati, riconosciuti, difesi e promossi".
Contro un egoismo sociale purtroppo molto presente - ha poi affermato il porporato - "per chi è onesto, non è difficile distinguere la vera dalla falsa giustizia: il criterio principale è riconoscere se è compatibile con i diritti di tutti o di alcuni soltanto". L'arcivescovo, "in piena sintonia con la lettera delle Conferenze episcopali cattoliche ai leader dei Paesi del g8 del 22 giugno", ha riaffermato che "le conseguenze dell'attuale crisi - le cui origini sono dei Paesi più ricchi - non devono ricadere sui Paesi più poveri. Lo sviluppo dei popoli deve essere considerato questione prioritaria da tutti". Pertanto prioritario è promuovere il dialogo per prevenire ulteriori crisi, onorare gli impegni in tema d'aiuti e cancellazione del debito estero, contrastare gli effetti devastanti dovuti ai cambiamenti climatici, pensare a una nuova regolamentazione dell'economia, della finanza e del mercato: "E se al riguardo si sono decisi degli interventi, è il caso di dire che pacta sunt servanda". Ci sono poi le sofferenze dei migranti, costretti a lasciare i loro Paesi a causa delle drammatiche condizioni di vita. E molte di queste sofferenze sono provocate ai migranti talvolta da "provvedimenti messi in atto da quei Paesi più ricchi che dovrebbero maggiormente impegnarsi in percorsi d'accoglienza e integrazione seri, ragionati e rigorosi"; per questo sono auspicabili "gli interventi specificati dall'"Agenda della speranza". Potrà avvenire così la desiderabile giusta regolazione del fenomeno migratorio e dei problemi che genera". Dunque è "un sistema di relazioni rinnovate tra popoli e, più profondamente, una cultura nuova, uno sguardo nuovo sugli altri, una libertà capace d'impegno, in sintesi un cuore nuovo", che può essere "principio di una moralità e una solidarietà a raggio mondiale".
Durante la veglia il vescovo Miglio ha ripreso alcuni passaggi del cardinale, in particolare "il richiamo che hanno fatto anche i presidenti delle conferenze episcopali, e cioè che gli impegni vanno mantenuti. Di g8 in g8 si trascinano impegni, obiettivi, promesse. Sappiamo le difficoltà di ciascun Paese, ci vuole gradualità, ma chiediamo di non cambiare strada". A sua volta il nigeriano monsignor Badejo ha ricordato che "per farsi conoscere il Signore non ci ha mandato un fax o una e-mail, è venuto Lui stesso. La questione più profonda è quella di cercare sempre di conoscere l'altro, e tramite l'altro di conoscere il Signore". Monsignor Herrera, partendo dall'esperienza ecuadoregna, ha messo l'accento su iniziative con le quali i popoli latinoamericani cercano di costruire uno sviluppo sostenibile: "Borse di studio per giovani; forme di lavoro in cooperativa per costruire opere pubbliche e anche cooperazione economica-finanziaria (casse di risparmio); attenzione ai migranti e alle loro famiglie". Infine, monsignor Ramazzini, partendo dal fatto che "essere discepoli del Signore significa assumere anche il suo modo di pensare", ha individuato in alcune caratteristiche del nostro tempo forti rassomiglianze con quelle di duemila anni fa: il potere militare, una religiosità deviata dal rapporto vero con Dio, l'idolatria verso il potere, i soldi, il piacere. "Essere discepolo - ha concluso - significa vivere la solidarietà e che questa non è soltanto assistenzialismo o dare quello che ci avanza, ma significa anche impegnarci per costruire un mondo più giusto".
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