Analisi de "Il Sussidiario"
Con una scelta di tempi troppo accorta per essere considerata casuale, i potenti del mondo che da domani si riuniscono all’Aquila, e il Papa, Benedetto XVI, affrontano in modo diretto, esplicito, approfondito i temi legati all’economia, ai mercati finanziari, al mondo del lavoro e a tutto quanto è stato sconvolto dalla crisi che da quasi due anni ormai ha colpito il capitalismo, provocando conseguenze che ancora non siamo riusciti a valutare in pieno e che - molti temono - si manifesteranno in maniera ancora più cruda dopo l’estate, quando tante aziende rischiano di non riaprire. Entrambi lo hanno fatto mettendo al centro della discussione etica, regole, responsabilità, valore sociale: termini finora poco utilizzati dal mondo del business e della finanza abituato a ragionare di profitti, capital gain, remunerazioni e stock options.
I capi di Stato e di governo basano la loro discussione economica su un documento preparato dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), dal governo italiano e da un gruppo di esperti della cancelliera tedesca Angela Merkel. È stato definito il testo delle dodici tavole, perché contiene altrettante regole che, secondo gli estensori, dovrebbero essere fatte proprie da tutti i Paesi per evitare il ripetersi di comportamenti analoghi a quelli che ci hanno portato alla situazione attuale. Sono regole che mettono appunto in primo piano l’esigenza che anche il mondo dell’economia e della finanza si assoggetti a comportamenti etici: si parla quindi di una guerra più serrata per arrivare alla tante volte annunciata abolizione dei paradisi fiscali; dell’introduzione di norme stringenti e applicate da tutti per porre fine a quel far west che sono diventati i mercati finanziari da qualche tempo; dell’assoluta necessità di operare in completa trasparenza; dell’opportunità di mettere un limite ai superstipendi dei manager (banchieri in particolare) scandalosi in momenti come questi che vedono decine di migliaia di persone perdere il loro posto di lavoro; e ancora si parla dell’obbligo di agire nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori.
Felix Rohatyn, a lungo capo della sede di New York della Banca Lazard Frères, ha scritto in un editoriale sull’International Herald Tribune di pochi giorni fa: «Il capitalismo è e rimane il miglior sistema finora inventato per gestire l’economia. Ma deve recuperare dei valori etici: il capitalismo non deve solo creare ricchezza, deve anche distribuirla in maniera equa». Anche l’enciclica Caritas in veritate presentata ieri in Vaticano affronta i problemi della crisi e di come uscirne: «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento», vi si legge. La carità nella verità diventa un binomio «essenziale in un momento in cui la crisi del modello di sviluppo globale richiede nuove regole». Queste indicazioni che vengono da Vaticano e dai potenti del G8 sicuramente non piacciono al modo del business e della finanza. Soprattutto non piace quella parte delle dodici tavole che parla esplicitamente del primato della politica sul libero mercato: gli stati devono fare le regole e imporle a uomini d’affari e finanzieri. Quest’ultimo aspetto è apertamente contrastato dal mondo anglosassone che difende il proprio modello e mal sopporta l’idea che una qualche autorità internazionale imponga delle regole. Il contrasto è forte e difficilmente il G8 riuscirà a raggiungere a qualche risultato significativo in questo senso. E c’è da domandarsi se qualcuno mai ci riuscirà in futuro. Le banche americane salvate dai soldi pubblici stanno ritornando a macinare utili e restituiscono i prestiti avuti da Tesoro. E lanciano un messaggio: «Avete visto? Siamo riusciti a venir fuori dalla crisi. Lasciateci andare avanti così». Per chi, anche nell’amministrazione Obama, vorrebbe invece introdurre delle regole, è partita una corsa contro il tempo: più ne passa, più i signori di Wall Street ritornano forti e renderanno la vita difficile a chiunque pensi di metter loro un guinzaglio.
Il G8 dunque difficilmente produrrà risultati concreti. Questi vertici non sono mai (o quasi mai) operativi, anche per il loro sovraffollamento: in particolare questo dell’Aquila è criticato dalla stampa estera. The Guardian è arrivato a scrivere che gli italiani hanno fatto un pessimo lavoro, tanto che qualcuno pensa di escludere il Paese dal gruppo del G8 per sostituirlo con la Spagna. Comunque sia questi summit che si susseguono a ritmo sempre più fitto sembrano concepiti per allestire un palcoscenico dove i potenti del mondo, sotto gli occhi delle telecamere, fanno sapere ai loro paesi (e in particolare agli elettori) che hanno la situazione in pugno e che il pianeta ha un gruppo di timonieri esperti in grado di risolvere ogni problema. In realtà non è così. Ma lo spettacolo deve continuare.
Con una scelta di tempi troppo accorta per essere considerata casuale, i potenti del mondo che da domani si riuniscono all’Aquila, e il Papa, Benedetto XVI, affrontano in modo diretto, esplicito, approfondito i temi legati all’economia, ai mercati finanziari, al mondo del lavoro e a tutto quanto è stato sconvolto dalla crisi che da quasi due anni ormai ha colpito il capitalismo, provocando conseguenze che ancora non siamo riusciti a valutare in pieno e che - molti temono - si manifesteranno in maniera ancora più cruda dopo l’estate, quando tante aziende rischiano di non riaprire. Entrambi lo hanno fatto mettendo al centro della discussione etica, regole, responsabilità, valore sociale: termini finora poco utilizzati dal mondo del business e della finanza abituato a ragionare di profitti, capital gain, remunerazioni e stock options.
I capi di Stato e di governo basano la loro discussione economica su un documento preparato dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), dal governo italiano e da un gruppo di esperti della cancelliera tedesca Angela Merkel. È stato definito il testo delle dodici tavole, perché contiene altrettante regole che, secondo gli estensori, dovrebbero essere fatte proprie da tutti i Paesi per evitare il ripetersi di comportamenti analoghi a quelli che ci hanno portato alla situazione attuale. Sono regole che mettono appunto in primo piano l’esigenza che anche il mondo dell’economia e della finanza si assoggetti a comportamenti etici: si parla quindi di una guerra più serrata per arrivare alla tante volte annunciata abolizione dei paradisi fiscali; dell’introduzione di norme stringenti e applicate da tutti per porre fine a quel far west che sono diventati i mercati finanziari da qualche tempo; dell’assoluta necessità di operare in completa trasparenza; dell’opportunità di mettere un limite ai superstipendi dei manager (banchieri in particolare) scandalosi in momenti come questi che vedono decine di migliaia di persone perdere il loro posto di lavoro; e ancora si parla dell’obbligo di agire nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori.
Felix Rohatyn, a lungo capo della sede di New York della Banca Lazard Frères, ha scritto in un editoriale sull’International Herald Tribune di pochi giorni fa: «Il capitalismo è e rimane il miglior sistema finora inventato per gestire l’economia. Ma deve recuperare dei valori etici: il capitalismo non deve solo creare ricchezza, deve anche distribuirla in maniera equa». Anche l’enciclica Caritas in veritate presentata ieri in Vaticano affronta i problemi della crisi e di come uscirne: «L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento», vi si legge. La carità nella verità diventa un binomio «essenziale in un momento in cui la crisi del modello di sviluppo globale richiede nuove regole». Queste indicazioni che vengono da Vaticano e dai potenti del G8 sicuramente non piacciono al modo del business e della finanza. Soprattutto non piace quella parte delle dodici tavole che parla esplicitamente del primato della politica sul libero mercato: gli stati devono fare le regole e imporle a uomini d’affari e finanzieri. Quest’ultimo aspetto è apertamente contrastato dal mondo anglosassone che difende il proprio modello e mal sopporta l’idea che una qualche autorità internazionale imponga delle regole. Il contrasto è forte e difficilmente il G8 riuscirà a raggiungere a qualche risultato significativo in questo senso. E c’è da domandarsi se qualcuno mai ci riuscirà in futuro. Le banche americane salvate dai soldi pubblici stanno ritornando a macinare utili e restituiscono i prestiti avuti da Tesoro. E lanciano un messaggio: «Avete visto? Siamo riusciti a venir fuori dalla crisi. Lasciateci andare avanti così». Per chi, anche nell’amministrazione Obama, vorrebbe invece introdurre delle regole, è partita una corsa contro il tempo: più ne passa, più i signori di Wall Street ritornano forti e renderanno la vita difficile a chiunque pensi di metter loro un guinzaglio.
Il G8 dunque difficilmente produrrà risultati concreti. Questi vertici non sono mai (o quasi mai) operativi, anche per il loro sovraffollamento: in particolare questo dell’Aquila è criticato dalla stampa estera. The Guardian è arrivato a scrivere che gli italiani hanno fatto un pessimo lavoro, tanto che qualcuno pensa di escludere il Paese dal gruppo del G8 per sostituirlo con la Spagna. Comunque sia questi summit che si susseguono a ritmo sempre più fitto sembrano concepiti per allestire un palcoscenico dove i potenti del mondo, sotto gli occhi delle telecamere, fanno sapere ai loro paesi (e in particolare agli elettori) che hanno la situazione in pugno e che il pianeta ha un gruppo di timonieri esperti in grado di risolvere ogni problema. In realtà non è così. Ma lo spettacolo deve continuare.
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