lunedì, luglio 06, 2009
La Commissione bilaterale si incontra il 9 luglio. L’amministrazione americana è interessata da tempo alla soluzione dei problemi nei rapporti fra lo Stato israeliano e la Santa Sede, che forse saranno messi a tema nell’incontro fra Barack Obama e Benedetto XVI. Padre Jaeger è cauto, ma ottimista.

Tel Aviv (AsiaNews) - Il prossimo giovedì 9 luglio nella sede del Ministero israeliano per gli affari esteri si terrà la prossima riunione di lavoro della Commissione bilaterale tra la Santa Sede e lo Stato di Israele, la prima dopo il pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI. Non ci sono finora annunci ufficiali, ma se ne parla in modo aperto nei circoli diplomatici ed ecclesiastici. Questa riunione avviene alla vigilia dell’udienza che il 10 luglio lo stesso pontefice si appresta a concedere al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. È un caso? Probabilmente no.

A partire almeno dal 2003-2004, Israele è particolarmente consapevole del sostegno degli Stati Uniti alle speranze della Chiesa Cattolica di godere di sicurezza giuridica e fiscale in Israele: il che sarebbe il fine dei negoziati, in corso sin dall’11 marzo 1999. Da allora, più volte esponenti del Congresso Usa, ma anche diplomatici e funzionari americani, sono intervenuti – pur sempre con gentilezza e amicizia, come conviene ai rapporti tra due Stati amici – per esortare successivi governi israeliani ad una più puntuale osservanza degli Accordi già fatti con la Santa Sede (nel 1993 e nel 1997, rispettivamente), e specialmente per caldeggiare maggior impegno nei negoziati attuali.

Gli Stati Uniti hanno un interesse particolare nella vicenda: anzitutto per il loro ruolo nel convincere la Santa Sede ad allacciare i rapporti ufficiali con Israele, anche prima della messa in sicurezza della situazione della Chiesa nello Stato ebraico; in secondo luogo perché un’altissima proporzione di tutte le offerte che sostengono la Chiesa in Terra Santa provengono dai cittadini, contribuenti, elettori statunitensi, di fede cattolica.

Le tensioni verificatesi talvolta nel delicato rapporto tra le gerarchie ecclesiastiche e l’amministrazione Obama (legate a certe questioni eticamente sensibili, attinenti all’aborto legalizzato, agli esperimenti sugli embrioni e simili) potranno solo contribuire ad accrescere l’interessamento dell’attuale governo americano, che probabilmente sta cercando i modi di aumentare e consolidare la stima della Chiesa nei suoi confronti. Osservatori esperti in materia dicono infatti che non è da escludere che i rapporti Chiesa Cattolica – Israele figurino nei colloqui in Vaticano il 10 luglio, fra il pontefice ed Obama. Tale prospettiva non potrà che giovare alla ripresa dei negoziati S. Sede-Israele il giorno prima. Ma il cammino potrà non essere breve.

L’Accordo che le parti si sono impegnate (già nel lontano 1993) di raggiungere, su argomenti fiscali e patrimoniali, viene definito “comprehensive”. I suoi capitoli sono ormai ultra-noti: la salvaguardia del patrimonio ecclesiastico, specie i Luoghi santi; la garanzia della tutela giudiziaria in caso di controversie; un regime fiscale per la Chiesa, che riconosca e riconfermi i suoi diritti esistenti al momento della creazione dello Stato di Israele; la previdenza sociale per clero e religiosi.

AsiaNews ha raggiunto nel suo studio universitario a Roma, il francescano David-Maria Jaeger, esperto dei rapporti Chiesa-Stato in Israele. P. Jaeger si astiene prudentemente da commentare questi argomenti, e si limita a ripetere il consiglio che egli dà sempre ai cronisti che gli chiedono lumi: “Il modo sicuro di valutare il progresso delle trattative e la prossimità o meno di un accordo – egli dice - è di seguire attentamente i Comunicati congiunti rilasciati abitualmente al termine delle sessioni bilaterali, per vedere quanto tempo viene dedicato ai negoziati. Più la Commissione si riunisce, più probabile e più vicino è l’Accordo”.

“A mio avviso – continua – anche in questo caso vale il principio: negoziando si può tutto risolvere; non negoziando, nulla si può risolvere”. AsiaNews domanda se si può essere ottimisti.

“Da cristiano e da francescano – risponde - ho la vocazione all’ottimismo”. Ed aggiunge: “Pare che troppo lavoro sia stato fatto perché le parti non facciano tutto il possibile per arrivare all’Accordo”.

Se ha ragione l’ottimismo di p. Jaeger, o i pessimisti, lo si potrà apprendere dal programma per i prossimi mesi, che la Commissione bilaterale potrà rendere pubblico al termine della riunione del 9 luglio. Finora si conosce solo la data della prossima riunione plenaria, il 10 dicembre 2009.

Salvo sorprese, naturalmente.

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