mercoledì, luglio 08, 2009
di Lorenzo Bosa

Da qualche tempo stiamo vivendo un clima di disagio e un crescente smarrimento per tante vicende, tra cui la recessione economica, i conflitti armati ed etnici, il sisma abruzzese e tanti altri drammi, non meno gravi e che si susseguono nel mondo. Ci hanno colpito gli esempi discriminatori e tendenziosi dei fatti di “cronaca nera”, che hanno incriminato in qualche modo intere comunità etniche. Abbiamo accolto “con allarme”, come una conseguenza di questi ed altri misfatti, l’approvazione del cosiddetto “pacchetto sicurezza”, di cui varie norme sono diametralmente agli antipodi rispetto ad altri tempi.

Il Governo italiano, approvando il pacchetto sicurezza, ha inteso assumere il ruolo di “battistrada” in ambito europeo per “farla finita” con l’immigrazione clandestina. Con l’approvazione del “reato di clandestinità” e del “respingimento” dei diseredati e di tutta l’altra sequela di provvedimenti contenuti nel decreto ha inteso anche dare “una svolta storica”. Anche oltre le intenzioni politiche a cui si può facilmente alludere, proprie nell’ambito del trionfalismo e della campagna per le elezioni europee, non si possono non riconoscere dei sintomi di razzismo o, come ha segnalato il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, “di retorica pubblica che non esita, anche in Italia, ad incorporare accenti di intolleranza e xenofobia”. “Un provvedimento”, hanno affermato i vescovi italiani nella 59a Assemblea generale, che finisce con l’essere “fatalmente inadeguato se non lo si può collocare in una strategia più ampia e articolata…”.

D’altra parte, c’è stato, e continua ad esserci, il mondo civile, di umanità vera e universale, che ha posto sul tappeto voci divergenti. Sfortunatamente non sono state riconosciute e tanto meno ascoltate. Ciononostante, non vengono meno nella loro interezza e verità. A partire dalla Convenzione di Ginevra sullo Statuto dei Rifugiati, sottoscritta anche dall’Italia nel 1951, che afferma: “Chi fugge per timore di persecuzioni dovute alla sua razza, religione, cittadinanza, opinioni politiche… ha diritto di asilo”. La Costituzione Italiana ribadisce all’articolo 10 questo principio. Seguono gli appelli della Chiesa a tutela della dignità della persona umana, dell’integrazione, dell’inserimento nella società, della convivialità delle differenze, soprattutto, come hanno ribadito i vescovi, del “fondamentale criterio” che deve essere sempre il “valore incomprimibile di ogni vita umana, la sua dignità, i suoi diritti inalienabili”. La Chiesa riafferma anche con autorità questi principi a partire non soltanto dal fondamento inoppugnabile della dignità umana ma anche dall’urgenza di situazioni di grave pericolo in cui versano donne e bambini ripetutamente violentati, di profughi che viaggiano nel deserto con il loro carico umano, senza viveri e senza acqua o quando, stremati, sono abbandonati o venduti (non è solo “roba” di altri tempi! o delle denunce del Beato Scalabrini di fine ‘800!) ai mercanti di carne umana.

Anche dall’altra sponda del mare, il vescovo di Tripoli, Mons. Giovanni Martinelli, si è chiesto: “Come è possibile rigettare sui libici un problema così vasto?”. E prosegue: “È l’aspetto umanitario che conta per primo: povera gente che cerca di fuggire dalla povertà, dall’ingiustizia, da una condizione di miseria insopportabile”.

Non sono di meno tantissime altre voci autorevoli, provenienti da vari settori della società, da organizzazioni umanitarie, ecclesiali e non, da persone che tuttora offrono la vita al servizio dei migranti. In tutte c’è un denominatore comune: la paura e il sospetto che certe norme anziché combattere la clandestinità la alimentino. E c’è ancora: il rischio e il timore che perfino la solidarietà, che intende essere anche la nostra, verso questi poveri cristi, diventi un reato.

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