mercoledì, luglio 01, 2009
Le scorrerie per mare nella zona del Corno d'Africa, lungo le coste della Somalia, si sono intensificate al punto di scomodare i media occidentali

PeaceReporter - Si fa un gran parlare di pirateria: da un po' di tempo le scorrerie per mare nella zona del Corno d'Africa, lungo le coste della Somalia, si sono intensificate al punto di scomodare i media occidentali. Gli stati più potenti del mondo sono intervenuti con lo strumento militare ed ora tra l'Oceano Indiano ed il Mar Rosso si vedono navi da guerra cinesi, giapponesi, indiane, russe, europee e statunitensi. Un dispositivo tecnologico moderno e appetibile anche dallo show business tanto che si prepara addirittura un reality con i Navy Seals protagonisti degli arrembaggi per liberare i vascelli sequestrati.
Per la televisione c'è qualcosa di magnetico nel parlare di pirateria, ma i servizi giornalistici -spesso corredati solo da immagini di repertorio- disegnano scenari molto più simili ai romanzi d'avventura che alla realtà.
La pirateria nel mondo sopravvive praticamente in due sole zone: lo stretto di Malacca -tra Sumatra e la costa occidentale della Penisola Malese- e, appunto, il Corno d'Africa -tra la Somalia e lo Yemen- a Sud della Penisola Araba. Entrambi gli stretti sono aree di vitale importanza nel traffico marittimo mondiale, rappresentando nel primo caso la via di collegamento tra l'Oceano Indiano ed il Pacifico passando per Singapore e il Mar Cinese Meridionale; mentre nell'altro si tratta dell'accesso al Canale di Suez tramite il Mar Rosso. Questi, tra tutti gli stretti, sono tra i più pericolosi non solo dal punto di vista marinaro, ma soprattutto da quello politico. Nello stretto di Malacca, il fenomeno rivierasco della pirateria sembra essersi un po' attenuato anche per la grande militarizzazione del quel mare: Singapore, Indonesia e Malaysia sono grandi produttori e acquirenti di armi.
A largo della Somalia si assiste invece ad uno stillicidio quasi quotidiano di episodi. Semplicisticamente viene detto che l'assoluta anarchia nella quale la Somalia si trova dalla fine di Restore Hope, Unosom I e Unosom II, le fallite operazione Usa-Onu del 1992-1998, ha generato bande che si arricchiscono sequestrando i ricchi vascelli, che non possono non passare vicino alle coste somale. Non è corretto, ci sono almeno tre diverse piraterie: quella "di piccolo cabotaggio" che prende di mira le navi per prendersi il carico o ottenere poi un riscatto. Nel recente caso del mercantile anglo-italiano Malaspina Castle -sequestrato tra aprile e maggio- i "predoni" armati con qualche Kalashnikov e RPG (razzi anticarro), hanno aspettato sulla stessa nave i soldi in contanti. E' stato un elicottero francese (a noleggio) a portare i dollari (un paio di milioni) in un cassone di rete metallica.
Ci sono le bande più organizzate, che assaltano in alto mare partendo da navi-madre e che sono in grado di impadronirsi di grossi bastimenti e perfino di super petroliere come la Sirus Star della grande compagnia saudita Aramco o la Faina, una nave ucraina piena di carrarmati e armi.
La terza pirateria è quella che molte voci -quasi del tutto ignorate in Occidente- chiamano semplicemente autodifesa. Dai tempi di Siad Barre la Somalia è diventata la pattumiera preferita del Nord del mondo, giusto di recente si è tornati a sentir parlare di Mauro Rostagno come di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin quali vittime di un complotto decennale che ha mescolato tutto il peggio della nostra società: mafie, servizi segreti, traffico d'armi, esseri umani, rifiuti nocivi e perfino radioattivi. Il tutto finiva lì in Somalia, perfino lo Tsunami del 2004 portò a alla luce i bidoni di rifiuti tossici sepolti alla rinfusa sulle spiagge somale, chissà quanto territorio di quello stato semplicemente non esiste più.
Si dice che ad un certo punto, alcuni abbiano cominciato a prendere le armi per difendersi: una sorta di assalto preventivo contro gli inquinatori. E' difficile credere a questi novelli Robin Hood, ma
qualche voce in proposito è circolata riguardo al sequestro del rimorchiatore d'alto mare Buccaneer. Nulla di riscontrabile, ma pur essendo quasi impossibile da dimostrare è più che probabile che lo sversamento di rifiuti sia continuo. Bisognerebbe affrontare un'opera titanica di indagine sulle bollette doganali e sui manifesti di carico di migliaia di navi, che cambiano nome, proprietà, bandiera e equipaggi di continuo.
Le navi dei veleni esistono, ogni tanto affiora qualche scandalo come quello della Karin B di vent'anni fa, ma il resto si svolge all'ombra di protezioni elevatissime.
E' il riprodursi di vecchi cliché: i pirati assaltavano per conto proprio, i corsari per conto di qualche sovrano che gli rilasciava apposita "patente". Oggi abbiamo i "pirati" che assaltano navi per arricchirsi -forse per difendersi- e i "corsari" che usano altre navi per scaricare in Africa tutti gli avanzi peggiori della nostra cosiddetta civiltà, con la "patente" rilasciata da tutti noi che non vogliamo vedere.

di Paolo Busoni


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