Il tema del dualismo tra fraternità francescana e mentalità competitiva è stato al centro dell'omelia che il cardinale penitenziere maggiore emerito ha pronunciato durante la messa presieduta, nel pomeriggio di martedì 4, a Rivotorto d'Assisi, nell'ambito dell'annuale Festa della Porziuncola. Pubblichiamo il testo dell'intervento.
Cappuccini.it - Ogni fondatore dei diversi ordini religiosi si è rivolto ai suoi seguaci con un proprio modo personale. Per esempio san Benedetto da Norcia, fondatore dei benedettini, si rivolgeva ai suoi seguaci, nella sua Regola chiamandoli "figli". Nel prologo san Benedetto scrive: "Ascolta attentamente, figlio mio, l'istruzione del tuo maestro". Infatti, san Benedetto usa la parola "figlio" esclusivamente nel prologo, oppure la usa al plurale, per circa dieci volte per rivolgersi ai suoi monaci. Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, si rivolgeva ai suoi seguaci chiamandoli "compagni". La parola "compagno", deriva dai termini latini cum che significa "con" e panis che significa "pane", ovvero "mangiare il pane con qualcun altro". Ha chiamato il suo ordine la "Compagnia di Gesù". Nei primissimi tempi chiamò i suoi seguaci anche "preti pellegrini".
San Francesco d'Assisi si rivolgeva ai suoi seguaci, chiamandoli "fratelli minori". Perché Francesco chiamò i suoi seguaci con il termine famigliare "fratello"? Chi o cosa influenzò questa scelta? Non costituisce la famiglia un "letto caldo" di violenza e di competitività? Questa fu l'esperienza di Francesco con suo padre e perfino con suo fratello. Addirittura anche nella Bibbia si trova traccia di tale competizione distruttiva tra fratelli e sorelle; tra marito e moglie. E anche l'uso del termine "fratelli" da parte di san Francesco potrebbe essere soggetto a critiche, tanto da apparire moralmente ambiguo.
Citerò soltanto un po' dei molteplici esempi biblici. Tra Adamo ed Eva prima e poi tra i loro figli, Caino e Abele, esiste la competitività originale e una relazione distruttiva. A causa dell'invidia nei confronti del fratello, Caino è stato identificato come il primo essere umano a commettere un omicidio. Ugualmente competitivo, ma senza commettere un fratricidio, fu la relazione tra Esaù e Giacobbe, i figli di Isacco e Rebecca. Nel Nuovo Testamento, la competitività dei due fratelli, Giacomo e Giovanni, condusse la loro madre a farsi promettere da Gesù che avrebbe riservato loro dei posti privilegiati nel Regno di Dio. E naturalmente esiste una cospirazione tra Erode Antipa, tetrarca della Galilea, e sua moglie Erodiade, una divorziata - alleata con sua figlia Salomé - che portò alla decapitazione di Giovanni Battista proprio perché questi aveva denunciato lo stesso Erode per il suo matrimonio con una donna già sposata.
La liturgia odierna propone un ulteriore esempio biblico di competitività tra figli nella stessa famiglia. Mosè, Miriam e Aaron, i figli di Amran e Jochebed. Miriam e Aaron, sembra che fossero invidiosi della leadership del loro fratello Mosè, che aveva condotto il popolo ebreo fuori dall'Egitto e verso la Terra Promessa, a Canaan.
Rivendicavano lo stesso status di profeti, come lui. Un conflitto distruttivo - si contendevano la guida - e questo conflitto avrebbe rappresentato un disastro per migliaia di persone nomadi in cerca di una casa stabile che avevano camminato in territori a loro ostili e tra genti diffidenti. Solo l'intervento di Dio salvò l'esodo dalla violenza propria di una famiglia all'interno invidiosa e competitiva.
È importante notare che san Francesco ha aggiunto alla parola "fratello", un'altra parola. L'appellativo di minores, fratelli minori. Qual è il significato di questa aggiunta? Questo aggettivo annesso, cambia ogni cosa. Scegliendo la denominazione "fratelli minori" per descrivere la sua comunità, lui la collocò esattamente dentro il mistero della kénosis, l'empatia propria, di Gesù.
All'epoca di Francesco, la popolazione d'una cittadina italiana come Assisi era divisa in due fasce sociali. L'alto ceto noto come i "maggiori", i più grandi; il basso ceto noto come i "minori", gli inferiori. Ma Francesco non estrapolò la parola "minori" da questo contesto politico ed economico. Arnaldo Fortini afferma che sarebbe un "serio errore pensare che il nuovo movimento francescano sia una conseguenza della rivolta dei minori divampata ad Assisi in questo periodo storico.
Al contrario, la nuova società comunale sorge con l'aspirazione di espandersi commercialmente e vede nella guerra un modo per ottenerla. Oppone l'orgoglio dei mercanti all'orgoglio dei feudatari... Così quindi, non esiste alcuna correlazione tra il nome di una classe o fazione della città e il nome "minori" per i suoi fratelli che assunse Francesco. Era un aggettivo, usato con valenza comune, che indica ugualmente i nobili e i religiosi, gli inferiori, i minori, quelli che prendono ordini piuttosto che impartirli".
San Francesco scelse che lui e tutti i suoi seguaci venissero identificati con l'umiltà della terra come "fratelli minori". Tutti erano uguali nella dignità, nei doveri e nei diritti, come si evince dalla Regola non bollata: "E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori".
Secondo il suo primo biografo, Tommaso da Celano, essere "fratelli minori", per san Francesco, significava "essere sottomessi a tutti, dovevano cercare sempre un luogo il più modesto possibile, dovevano compiere il proprio dovere, anche se molto gravoso e così facendo potevano meritare di essere uniti solidamente con la vera umiltà e poteva affiorare in loro, grazie alla loro stessa feconda disposizione, una struttura spirituale che comprendeva tutte le virtù".
Abbiamo un nobile esempio "dell'essere un fratello minore" in un evento che si verificò qui a Rivotorto. L'esperienza più notevole dello Spirito Santo nella storia cristiana fu vissuta qui fuori, in questo insignificante rifugio dalla pioggia e dal sole che è proprio qui davanti a noi. Si realizzò qui, in questa stalla, nel 1209-1210. Era stato un lebbrosario, era disabitato e in disuso.
Nell'estate del 1209, Francesco tornato ad Assisi, dopo un viaggio a Roma, insieme a un gruppo di frati, trovò riparo, poco fuori dalla cittadina e dopo aver superato moltissime difficoltà, in un luogo davvero angusto. Si trattava di una piccola baracca, molto inospitale, appena sufficiente ad accogliere il gruppetto di giovani uomini, ma per loro era giusta per dormirci e per pregare. Tra l'altro questa misera struttura si trovava accanto a un torrente che durante la primavera poteva diventare anche pericoloso, perché in piena. Con il suo solito humor Francesco scherzò dicendo che in paradiso sarebbe meglio un ricovero del genere che un palazzo. Per prevenire un inconveniente assembramento, assegnò a ognuno un posto sulla trave dove sedere e distendersi.
Una notte, nel pieno dell'oscurità, e inaspettatamente uno dei confratelli iniziò a strillare: "Sto morendo". Tutti furono svegliati da queste forti urla. Come rispose Francesco? Lui avrebbe potuto intimare all'uomo d'alzarsi e di far fronte alla fame come un adulto ascetico dovrebbe fare. O con una certa impazienza poteva scegliere di dirgli di stare zitto fino all'alba in modo da lasciar riposare tutti gli altri e che il giorno seguente sarebbero andati a cercare l'elemosina.
Ma Francesco rispose differentemente. Piuttosto realizzò che essere un fratello minore significava possedere il dono dell'amore - specialmente durante la difficile oscurità della notte. Ce lo ricorda Julien Green nel suo God's Fool. The life and times of Francis of Assisi: "Francesco gli chiese che cosa c'era che non andava e il frate rispose: "Sto morendo di fame".
Tutti s'alzarono velocemente, prepararono un pasto, per tutta la comunità. Un confratello non poteva morire di fame e nemmeno doveva sentirsi in imbarazzo a mangiare da solo: Francesco conosceva le buone maniere. Non c'è alcun dubbio, si trattò di una cena austera, nel mezzo della notte, spezzarono le loro croste, qualche rapa trovata nei campi, forse delle uova... Cos'altro? Acqua del torrente. Allegria in luogo deserto. Lo charm di Francesco deve aver trasformato il tutto in una festa, sapeva rendere tutto allegro con la fuggevole memoria dei vecchi tempi".
Concludo chiedendovi in questa eucaristia di riflettere sulla vostra vita comunitaria mentre siete ad Assisi. Vi invito a valutare la vostra vita all'interno delle vostre famiglie, a casa, nelle vostre comunità, confrontatela con la misura che Tommaso da Celano ha descritto, sottolineando le virtù del primo francescanesimo qui a Rivotorto. Magari vi sorgerà il desiderio di chiedere a Dio d'aiutarvi a crescere in queste virtù tipiche della fraternità francescana.
Tommaso da Celano ha notato quelle virtù di questo gruppo di minori e come radicalmente erano fratelli ricolmi di gioia: "Tra loro non vi era nessuna invidia, nessuna malizia, nessun rancore, nessun discorso abusivo, nessun sospetto, nessuna cattiveria, regnavano soltanto grande concordia, costante quiete, ringraziamento e voce di lode".
Cappuccini.it - Ogni fondatore dei diversi ordini religiosi si è rivolto ai suoi seguaci con un proprio modo personale. Per esempio san Benedetto da Norcia, fondatore dei benedettini, si rivolgeva ai suoi seguaci, nella sua Regola chiamandoli "figli". Nel prologo san Benedetto scrive: "Ascolta attentamente, figlio mio, l'istruzione del tuo maestro". Infatti, san Benedetto usa la parola "figlio" esclusivamente nel prologo, oppure la usa al plurale, per circa dieci volte per rivolgersi ai suoi monaci. Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, si rivolgeva ai suoi seguaci chiamandoli "compagni". La parola "compagno", deriva dai termini latini cum che significa "con" e panis che significa "pane", ovvero "mangiare il pane con qualcun altro". Ha chiamato il suo ordine la "Compagnia di Gesù". Nei primissimi tempi chiamò i suoi seguaci anche "preti pellegrini".
San Francesco d'Assisi si rivolgeva ai suoi seguaci, chiamandoli "fratelli minori". Perché Francesco chiamò i suoi seguaci con il termine famigliare "fratello"? Chi o cosa influenzò questa scelta? Non costituisce la famiglia un "letto caldo" di violenza e di competitività? Questa fu l'esperienza di Francesco con suo padre e perfino con suo fratello. Addirittura anche nella Bibbia si trova traccia di tale competizione distruttiva tra fratelli e sorelle; tra marito e moglie. E anche l'uso del termine "fratelli" da parte di san Francesco potrebbe essere soggetto a critiche, tanto da apparire moralmente ambiguo.
Citerò soltanto un po' dei molteplici esempi biblici. Tra Adamo ed Eva prima e poi tra i loro figli, Caino e Abele, esiste la competitività originale e una relazione distruttiva. A causa dell'invidia nei confronti del fratello, Caino è stato identificato come il primo essere umano a commettere un omicidio. Ugualmente competitivo, ma senza commettere un fratricidio, fu la relazione tra Esaù e Giacobbe, i figli di Isacco e Rebecca. Nel Nuovo Testamento, la competitività dei due fratelli, Giacomo e Giovanni, condusse la loro madre a farsi promettere da Gesù che avrebbe riservato loro dei posti privilegiati nel Regno di Dio. E naturalmente esiste una cospirazione tra Erode Antipa, tetrarca della Galilea, e sua moglie Erodiade, una divorziata - alleata con sua figlia Salomé - che portò alla decapitazione di Giovanni Battista proprio perché questi aveva denunciato lo stesso Erode per il suo matrimonio con una donna già sposata.
La liturgia odierna propone un ulteriore esempio biblico di competitività tra figli nella stessa famiglia. Mosè, Miriam e Aaron, i figli di Amran e Jochebed. Miriam e Aaron, sembra che fossero invidiosi della leadership del loro fratello Mosè, che aveva condotto il popolo ebreo fuori dall'Egitto e verso la Terra Promessa, a Canaan.
Rivendicavano lo stesso status di profeti, come lui. Un conflitto distruttivo - si contendevano la guida - e questo conflitto avrebbe rappresentato un disastro per migliaia di persone nomadi in cerca di una casa stabile che avevano camminato in territori a loro ostili e tra genti diffidenti. Solo l'intervento di Dio salvò l'esodo dalla violenza propria di una famiglia all'interno invidiosa e competitiva.
È importante notare che san Francesco ha aggiunto alla parola "fratello", un'altra parola. L'appellativo di minores, fratelli minori. Qual è il significato di questa aggiunta? Questo aggettivo annesso, cambia ogni cosa. Scegliendo la denominazione "fratelli minori" per descrivere la sua comunità, lui la collocò esattamente dentro il mistero della kénosis, l'empatia propria, di Gesù.
All'epoca di Francesco, la popolazione d'una cittadina italiana come Assisi era divisa in due fasce sociali. L'alto ceto noto come i "maggiori", i più grandi; il basso ceto noto come i "minori", gli inferiori. Ma Francesco non estrapolò la parola "minori" da questo contesto politico ed economico. Arnaldo Fortini afferma che sarebbe un "serio errore pensare che il nuovo movimento francescano sia una conseguenza della rivolta dei minori divampata ad Assisi in questo periodo storico.
Al contrario, la nuova società comunale sorge con l'aspirazione di espandersi commercialmente e vede nella guerra un modo per ottenerla. Oppone l'orgoglio dei mercanti all'orgoglio dei feudatari... Così quindi, non esiste alcuna correlazione tra il nome di una classe o fazione della città e il nome "minori" per i suoi fratelli che assunse Francesco. Era un aggettivo, usato con valenza comune, che indica ugualmente i nobili e i religiosi, gli inferiori, i minori, quelli che prendono ordini piuttosto che impartirli".
San Francesco scelse che lui e tutti i suoi seguaci venissero identificati con l'umiltà della terra come "fratelli minori". Tutti erano uguali nella dignità, nei doveri e nei diritti, come si evince dalla Regola non bollata: "E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori".
Secondo il suo primo biografo, Tommaso da Celano, essere "fratelli minori", per san Francesco, significava "essere sottomessi a tutti, dovevano cercare sempre un luogo il più modesto possibile, dovevano compiere il proprio dovere, anche se molto gravoso e così facendo potevano meritare di essere uniti solidamente con la vera umiltà e poteva affiorare in loro, grazie alla loro stessa feconda disposizione, una struttura spirituale che comprendeva tutte le virtù".
Abbiamo un nobile esempio "dell'essere un fratello minore" in un evento che si verificò qui a Rivotorto. L'esperienza più notevole dello Spirito Santo nella storia cristiana fu vissuta qui fuori, in questo insignificante rifugio dalla pioggia e dal sole che è proprio qui davanti a noi. Si realizzò qui, in questa stalla, nel 1209-1210. Era stato un lebbrosario, era disabitato e in disuso.
Nell'estate del 1209, Francesco tornato ad Assisi, dopo un viaggio a Roma, insieme a un gruppo di frati, trovò riparo, poco fuori dalla cittadina e dopo aver superato moltissime difficoltà, in un luogo davvero angusto. Si trattava di una piccola baracca, molto inospitale, appena sufficiente ad accogliere il gruppetto di giovani uomini, ma per loro era giusta per dormirci e per pregare. Tra l'altro questa misera struttura si trovava accanto a un torrente che durante la primavera poteva diventare anche pericoloso, perché in piena. Con il suo solito humor Francesco scherzò dicendo che in paradiso sarebbe meglio un ricovero del genere che un palazzo. Per prevenire un inconveniente assembramento, assegnò a ognuno un posto sulla trave dove sedere e distendersi.
Una notte, nel pieno dell'oscurità, e inaspettatamente uno dei confratelli iniziò a strillare: "Sto morendo". Tutti furono svegliati da queste forti urla. Come rispose Francesco? Lui avrebbe potuto intimare all'uomo d'alzarsi e di far fronte alla fame come un adulto ascetico dovrebbe fare. O con una certa impazienza poteva scegliere di dirgli di stare zitto fino all'alba in modo da lasciar riposare tutti gli altri e che il giorno seguente sarebbero andati a cercare l'elemosina.
Ma Francesco rispose differentemente. Piuttosto realizzò che essere un fratello minore significava possedere il dono dell'amore - specialmente durante la difficile oscurità della notte. Ce lo ricorda Julien Green nel suo God's Fool. The life and times of Francis of Assisi: "Francesco gli chiese che cosa c'era che non andava e il frate rispose: "Sto morendo di fame".
Tutti s'alzarono velocemente, prepararono un pasto, per tutta la comunità. Un confratello non poteva morire di fame e nemmeno doveva sentirsi in imbarazzo a mangiare da solo: Francesco conosceva le buone maniere. Non c'è alcun dubbio, si trattò di una cena austera, nel mezzo della notte, spezzarono le loro croste, qualche rapa trovata nei campi, forse delle uova... Cos'altro? Acqua del torrente. Allegria in luogo deserto. Lo charm di Francesco deve aver trasformato il tutto in una festa, sapeva rendere tutto allegro con la fuggevole memoria dei vecchi tempi".
Concludo chiedendovi in questa eucaristia di riflettere sulla vostra vita comunitaria mentre siete ad Assisi. Vi invito a valutare la vostra vita all'interno delle vostre famiglie, a casa, nelle vostre comunità, confrontatela con la misura che Tommaso da Celano ha descritto, sottolineando le virtù del primo francescanesimo qui a Rivotorto. Magari vi sorgerà il desiderio di chiedere a Dio d'aiutarvi a crescere in queste virtù tipiche della fraternità francescana.
Tommaso da Celano ha notato quelle virtù di questo gruppo di minori e come radicalmente erano fratelli ricolmi di gioia: "Tra loro non vi era nessuna invidia, nessuna malizia, nessun rancore, nessun discorso abusivo, nessun sospetto, nessuna cattiveria, regnavano soltanto grande concordia, costante quiete, ringraziamento e voce di lode".
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.