venerdì, agosto 07, 2009
Un chiaro sostegno al governo di transizione in Somalia e un ulteriore contrasto ai gruppi estremisti islamici, ritenuti vicini ad al-Qaeda.

Radio Vaticana - Sono alcuni dei risultati emersi dall’incontro ieri a Nairobi, in Kenya, tra il segretario di Stato americano Hillary Clinton, in visita in Africa, e i vertici della Somalia. Oggi il capo della diplomazia statunitense è in Sudafrica, dove ha chiesto riforme politiche ed economiche per lo Zimbabwe. Alla luce dell’incontro tra la Clinton e il presidente somalo Sheikh Sharif Ahmed, avvenuto ieri a Nairobi, quale importanza assume il viaggio in Africa del segretario di Stato americano? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Mario Raffaelli, esperto di Africa del G8 (ascolta):


R. – Il Corno d’Africa, al crocevia di tendenze politiche, culturali e religiose, al crocevia fra il mondo africano e quello arabo, è una regione strategica anche per la sua collocazione. Quindi ci sono interessi e problemi che attraversano le frontiere legati al traffico di droghe, al flusso degli immigrati. E’ una delle aree con le più grandi immigrazioni interne e punto di partenza per le migrazioni verso l’Europa. E’ un’area delicatissima che interessa particolarmente il mondo occidentale, europeo in primo luogo, anche perché quello che accade qui ha dei riflessi immediati per la contiguità assoluta fra quest’area e il Mediterraneo e l’Europa.

D. – La promessa di interventi a tutto tondo dell’amministrazione americana sull’Africa potrebbero segnare un punto di svolta nella storia recente del Continente?

R. – Penso di sì, perché intanto questo viaggio dimostra come l’Africa sia una priorità della nuova amministrazione americana. Ed è anche un modo nuovo di affrontare i problemi, nel senso che è più presente la connessione che c’è tra le questioni di sicurezza, le questioni militari e quelle politiche. Quindi, se da un lato si dà supporto anche di natura militare, di intelligence, al governo somalo, dall’altra si insiste sulla necessità di un processo politico che deve andare avanti e diventare più inclusivo. In più, probabilmente, c’è anche l’esigenza di bilanciare in qualche modo l’influenza crescente che la Cina ha nel Continente. Quindi in questo contesto rientra anche una strategia più ampia nei confronti della Cina.

D. – Cos’è che rende diverso questo presidente somalo e questo tipo di governo di transizione dagli altri esperimenti che sono stati fatti?

R. – Questo presidente è diverso perché proviene dal mondo islamico. Com’è noto, lui era uno dei due leader durante i sei mesi del periodo delle corti islamiche a Mogadiscio nel 2006, quindi legato anche ai successi che sono stati riconosciuti in termini di stabilità e di sviluppo in quei sei mesi dell’area sotto il loro controllo. E dall’altra, appunto, la possibilità di portare un dibattito all’interno del mondo islamico, confrontando queste due opzioni di un mondo islamico moderato, che persegue i suoi obiettivi, in un contesto però di rispetto e di dialogo con le altre componenti religiose e politiche nei confronti dei movimenti radicali. Purtroppo si è perso del tempo, da quando l’accordo a Gibuti è stato siglato fino alla sua implementazione. Questo ha modificato la situazione sul campo. Rappresenta ancora, però, l’unico punto di partenza possibile per un’inversione di questa tendenza pericolosa.


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa