del nostro redattore Carlo Mafera
Oramai la mania del gioco ha contagiato tutti. La febbre del superenalotto sta impazzando per l’Italia. Il miraggio di guadagnare una cifra iperbolica ha tentato tutti, persino i sacerdoti che, nelle adiacenze di Borgo Pio vicino al Vaticano, sono stati notati giocare nelle ricevitorie del posto. Persino le amministrazioni locali hanno stanziato delle somme per giocare e risolvere così i problemi sociali del loro territorio! Ci sono senza dubbio delle motivazioni nobili in tutto questo giocare, ma affidare le proprie speranze ad un gioco, e non invece ad un serio impegno nello studio e nel lavoro, è sintomatico di un malessere diffuso, di una crisi di valori e soprattutto di una profonda crisi di speranza. La Chiesa allora è scesa in campo contro questa febbre insana che ha portato anche tanti ad indebitarsi, talvolta con gli usurai. “Lo Stato – dice Mons. Alberto D’Urso, segretario della Consulta Nazionale Antiusura - non è un buon maestro: sta eccitando i cittadini, li sta spingendo a fare debiti”. Così continua D’Urso: “Il superenalotto non è un gioco d’azzardo, ma in questa maniera lo sta diventando… lo Stato non dovrebbe cercare di aumentare le entrate con questo continuo, assillante ricorso ai giochi”. La proposta di Mons. D’Urso è di mettere un tetto alle vincite per dare uno stop a questa escalation di follia collettiva. “Io mi auguro – dice il Segretario della Consulta Antiusura – che qualcuno vinca davvero. Così avremo finalmente la fotografia della situazione per uno che si è arricchito (e magari per questo è pure impazzito) ci saranno tanti che si sono impoveriti”. I vescovi intanto ravvisano il pericolo strisciante che c’è nel superenalotto: una sorta di idolatria del denaro legata all’erronea idea del facile guadagno e di risolvere magicamente i problemi dell’esistenza quotidiana. E’ una corsa al gioco che rileva l’altra faccia dell’Italia: quella più povera, ma di una povertà non solo materiale, bensì (soprattutto) spirituale. Il settimanale “Famiglia Cristiana” propone di dare questo montepremi fantasmagorico di 131 milioni di euro ai terremotati dell’Aquila e ciò indirizzerebbe questa tassa (volontaria) sulla speranza verso un fine nobilissimo. Mi associo a Mons. D’Urso nell’idea che questo maledetto superenalotto, prevedendo una probabilità di vincita su sei milioni, di fatto è un vero e proprio gioco d’azzardo e lo Stato dovrebbe eliminarlo, perché istiga il cittadino a giocare sempre più e a indebitarsi per inseguire un sogno improbabile da realizzarsi. La nuda realtà è invece proprio questa: otto milioni di poveri in Italia, 900mila sotto usura e due milioni e mezzo di famiglie a rischio usura. Allora, a cosa servirebbe creare un ricco Epulone lasciando sempre più derelitti migliaia di Lazzaro?!!?
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