Dopo le violenze di cui sono stati vittime due giovani omosessuali di Roma, continua la battaglia degli esponenti dei movimenti gay perché sia approvata anche in Italia una legge contro l’omofobia. Cos’è il reato di omofobia? Risponde ad effettive esigenze di tutela o è solo un modo surrettizio per limitare la libertà di manifestazione del pensiero? E anche chi difende la famiglia "tradizionale" può essere accusato di omofobia?
Particolare stupore e sconcerto ha suscitato nell’opinione pubblica nostrana l’episodio, di pochi giorni fa, dell’aggressione di una coppia di omosessuali all’uscita di un locale gay di Roma. Si è trattato di un atto di vandalismo che non trova giustificazione alcuna: siffatte manifestazioni di violenza non dovrebbero accadere in un Paese civile, e ciò a prescindere dal tipo di persona cui sono dirette e dal movente (omofobo o meno) da cui si originano. D’altro canto, non si può però sottacere il tentativo di speculazione politica che sul caso è stato fatto (e che tuttora si sta facendo) sia da parte del sindaco di Roma, Alemanno, il quale si è espresso per la qualificazione legislativa del movente omofobo quale circostanza aggravante di reato, sia da parte delle associazioni e movimenti gay, i quali da tempo premono sul Parlamento affinché sia emanata una legge che introduca nel nostro ordinamento il reato di omofobia. E attualmente è in discussione alla Camera una proposta di legge, di cui è relatrice l’onorevole Paola Concia e che trova il sostegno del Pd, che intende modificare l’art. 3 della legge n. 654 del 1975 (nel testo risultante dalle modifiche recate nel 1993 dalla c. d. legge Mancino) – che punisce alla lettera a) con la reclusione fino a tre anni “chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” – estendendo la punibilità ai casi in cui le suddette condotte siano sostenute da motivi “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
Insomma, si strumentalizza un episodio di cronaca nera che ha visto coinvolti due giovani gay per indurre nell’opinione pubblica l’idea che una adeguata tutela delle persone omosessuali da atti di violenza omofoba richieda l’introduzione di un reato di opinione (volto a perseguire finanche mere espressioni teoriche, vere o presunte, di omofobia) attraverso la citata modifica della legge Mancino. E’ agevole tuttavia constatare come la legge penale già appresta forme di tutela contro fatti criminosi come quello verificatosi giorni addietro nell’Urbe, qualificabili alla stregua di lesioni personali e di tentato omicidio. La stessa proposta avanzata dal sindaco Alemanno circa la previsione di una aggravante speciale per il movente omofobo si appalesa del tutto inutile e demagogica, in quanto tale movente è facilmente inquadrabile all’interno dell’aggravante comune di cui all’art. 61, comma 1, n. 1 del codice penale, cioè “l’aver agito per motivi abietti o futili”. In questo quadro è difficile immaginare che l’introduzione del reato di omofobia risponda ad effettive esigenze di tutela della persona dell’omosessuale; esso risponde piuttosto all’esigenza di limitare la libera manifestazione del pensiero, sì da estromettere dal dibattito pubblico quanti sulle pratiche omosessuali possano avere convinzioni divergenti da quelle espresse dai movimenti gay. Così, ad esempio, potrebbe essere considerato reo di omofobia chi difende la superiorità della condizione e delle unioni eterosessuali rispetto a quelle omosessuali oppure chi, in coscienza, si ostina a dichiarare che i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono atti moralmente riprovevoli i quali non contribuiscono né alla crescita del singolo né al progresso della società e conseguentemente non meritano alcun riconoscimento giuridico. Per non parlare poi di quanti asserissero pubblicamente che a due persone dello stesso sesso non dovrebbe essere consentito sposarsi e a maggior ragione adottare bambini. Anche queste in teoria potrebbero essere considerate affermazioni di superiorità ovvero incitamenti alla discriminazione per motivi “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere” idonee ad integrare il reato di omofobia, il quale, così come è formulato nella proposta di legge, presenta i caratteri di un vero e proprio reato di opinione sulla cui compatibilità con l’art. 21 della Costituzione è più che legittimo dubitare.
La concreta applicazione di tale reato sconterebbe altresì i limiti e le strumentalizzazioni cui la genericità del concetto di omofobia dà luogo. Basti pensare che un’istituzione autorevole come il Parlamento europeo (cui le ultime riforme del Trattato CE hanno attribuito in non pochi settori autentici poteri “legislativi”) ha adottato nel 2006 una Risoluzione sulla omofobia in Europa la quale ha equiparato l’omofobia – genericamente definita come “paura e avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio” – a fenomeni per nulla assimilabili come “il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e il sessismo”, finendo così col mettere sullo stesso piano, nella comune etichetta di “omofobia”, gli atti di violenza “fisica, morale e psicologica” perpetrati da privati contro gay e lesbiche con la decisione di taluni Stati europei di non dare riconoscimento giuridico alle famiglie omosessuali o di introdurre modifiche costituzionali volte a impedire matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Secondo il parlamento europeo, dunque, le politiche degli Stati-membri dirette a difendere l’istituto matrimoniale e familiare, così come ereditato dal diritto romano e dalla tradizione cristiana, da deformazioni ideologiche confacenti agli interessi delle lobby gay sarebbero anch’esse espressione deplorevole di una società “omofoba” che va rieducata ai valori della “omofilia”, se necessario attraverso lo strumento della repressione penale di ogni possibile forma di dissenso.
Se il concetto di omofobia si presta in sede politica a generalizzazioni tanto grossolane, non oso immaginare quali potrebbero essere gli esiti applicativi di una norma penale incriminante l’omofobia medesima, specialmente in un’epoca in cui il dibattito su certi temi è molto acceso e il buon senso suggerirebbe che siano rispettate le opinioni di tutti per poter giungere a soluzioni il più possibile giuste ed equilibrate.
Particolare stupore e sconcerto ha suscitato nell’opinione pubblica nostrana l’episodio, di pochi giorni fa, dell’aggressione di una coppia di omosessuali all’uscita di un locale gay di Roma. Si è trattato di un atto di vandalismo che non trova giustificazione alcuna: siffatte manifestazioni di violenza non dovrebbero accadere in un Paese civile, e ciò a prescindere dal tipo di persona cui sono dirette e dal movente (omofobo o meno) da cui si originano. D’altro canto, non si può però sottacere il tentativo di speculazione politica che sul caso è stato fatto (e che tuttora si sta facendo) sia da parte del sindaco di Roma, Alemanno, il quale si è espresso per la qualificazione legislativa del movente omofobo quale circostanza aggravante di reato, sia da parte delle associazioni e movimenti gay, i quali da tempo premono sul Parlamento affinché sia emanata una legge che introduca nel nostro ordinamento il reato di omofobia. E attualmente è in discussione alla Camera una proposta di legge, di cui è relatrice l’onorevole Paola Concia e che trova il sostegno del Pd, che intende modificare l’art. 3 della legge n. 654 del 1975 (nel testo risultante dalle modifiche recate nel 1993 dalla c. d. legge Mancino) – che punisce alla lettera a) con la reclusione fino a tre anni “chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” – estendendo la punibilità ai casi in cui le suddette condotte siano sostenute da motivi “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
Insomma, si strumentalizza un episodio di cronaca nera che ha visto coinvolti due giovani gay per indurre nell’opinione pubblica l’idea che una adeguata tutela delle persone omosessuali da atti di violenza omofoba richieda l’introduzione di un reato di opinione (volto a perseguire finanche mere espressioni teoriche, vere o presunte, di omofobia) attraverso la citata modifica della legge Mancino. E’ agevole tuttavia constatare come la legge penale già appresta forme di tutela contro fatti criminosi come quello verificatosi giorni addietro nell’Urbe, qualificabili alla stregua di lesioni personali e di tentato omicidio. La stessa proposta avanzata dal sindaco Alemanno circa la previsione di una aggravante speciale per il movente omofobo si appalesa del tutto inutile e demagogica, in quanto tale movente è facilmente inquadrabile all’interno dell’aggravante comune di cui all’art. 61, comma 1, n. 1 del codice penale, cioè “l’aver agito per motivi abietti o futili”. In questo quadro è difficile immaginare che l’introduzione del reato di omofobia risponda ad effettive esigenze di tutela della persona dell’omosessuale; esso risponde piuttosto all’esigenza di limitare la libera manifestazione del pensiero, sì da estromettere dal dibattito pubblico quanti sulle pratiche omosessuali possano avere convinzioni divergenti da quelle espresse dai movimenti gay. Così, ad esempio, potrebbe essere considerato reo di omofobia chi difende la superiorità della condizione e delle unioni eterosessuali rispetto a quelle omosessuali oppure chi, in coscienza, si ostina a dichiarare che i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono atti moralmente riprovevoli i quali non contribuiscono né alla crescita del singolo né al progresso della società e conseguentemente non meritano alcun riconoscimento giuridico. Per non parlare poi di quanti asserissero pubblicamente che a due persone dello stesso sesso non dovrebbe essere consentito sposarsi e a maggior ragione adottare bambini. Anche queste in teoria potrebbero essere considerate affermazioni di superiorità ovvero incitamenti alla discriminazione per motivi “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere” idonee ad integrare il reato di omofobia, il quale, così come è formulato nella proposta di legge, presenta i caratteri di un vero e proprio reato di opinione sulla cui compatibilità con l’art. 21 della Costituzione è più che legittimo dubitare.
La concreta applicazione di tale reato sconterebbe altresì i limiti e le strumentalizzazioni cui la genericità del concetto di omofobia dà luogo. Basti pensare che un’istituzione autorevole come il Parlamento europeo (cui le ultime riforme del Trattato CE hanno attribuito in non pochi settori autentici poteri “legislativi”) ha adottato nel 2006 una Risoluzione sulla omofobia in Europa la quale ha equiparato l’omofobia – genericamente definita come “paura e avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio” – a fenomeni per nulla assimilabili come “il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e il sessismo”, finendo così col mettere sullo stesso piano, nella comune etichetta di “omofobia”, gli atti di violenza “fisica, morale e psicologica” perpetrati da privati contro gay e lesbiche con la decisione di taluni Stati europei di non dare riconoscimento giuridico alle famiglie omosessuali o di introdurre modifiche costituzionali volte a impedire matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Secondo il parlamento europeo, dunque, le politiche degli Stati-membri dirette a difendere l’istituto matrimoniale e familiare, così come ereditato dal diritto romano e dalla tradizione cristiana, da deformazioni ideologiche confacenti agli interessi delle lobby gay sarebbero anch’esse espressione deplorevole di una società “omofoba” che va rieducata ai valori della “omofilia”, se necessario attraverso lo strumento della repressione penale di ogni possibile forma di dissenso.
Se il concetto di omofobia si presta in sede politica a generalizzazioni tanto grossolane, non oso immaginare quali potrebbero essere gli esiti applicativi di una norma penale incriminante l’omofobia medesima, specialmente in un’epoca in cui il dibattito su certi temi è molto acceso e il buon senso suggerirebbe che siano rispettate le opinioni di tutti per poter giungere a soluzioni il più possibile giuste ed equilibrate.
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Sono presenti 4 commenti
Proprio perché si cita la legge Mancino vorrei ricordare a tutti che se l'aggressione di Roma fosse stata dettata da un movente anti-cattolico o anti-islamico o anti-religioso in genere l'aggravante di discriminazione si sarebbe potuta applicare.
Senza contare che, al contrario di quel che si dice, l'aggravante per motivi di orientamento sessuale tutelerebbe anche gli eterosessuali (cosa ovviamente poco utile visto che non vengono discriminati in quanto tali dalle persone omosessuali!).
E' forse arrivato il momento di non considerare qualsiasi cosa una "libera opinione" e crescere finalmente.
Da ultimo sarebbe anche il caso di ricordarsi che quando si parla di gay si sta parlando di persone e di cittadini.
Se affermo che praticare la religione rastafariana è un atto moralmente riprovevole che non contribuisce né al singolo né alla società, è possibile aspetarsi che un rastafaria si offenda e invochi la "delirante" idea che lo si stia discriminando... Se lo dicessi della religine cattolica, idem... strano a dirsi: se lo si dice dei gay, questi devono agire con britannico aplomb e difendere la libertà di insulto.
Avrò anche io la libertà di dire cosa penso delle pratiche e delle idee religiose cattoliche? o rischierò una denuncia penale?
Due pesi e due misure...
Mi piacerebbe sapere questo: se io esprimo la mia opinione secondo cui un albanese è - in quanto albanese - inferiore ad un italiano, questo verrebbe considerato aggravante ai sensi della legge 654/75? E comunque, secondo Salone, questa è o non è discriminazione razziale/etnica?
Perché si dovrebbe "estromettere dal dibattito pubblico" la questione della superiorità degli italiani rispetto agli albanesi, ai marocchini, agli africani in generale, e agli islamici?
Mi piacerebbe conoscere le argomentazioni in base alle quali non possiamo discriminare un insegnante ebreo, giusto per fare un esempio.
Bartolo Salone, l'autore dell'articolo, risponde ai vari commenti ricevuti:
"Il principio della libertà di manifestazione del pensiero non è assoluto, ma incontra dei limiti: l'art. 21 della Costituzione menziona il limite del buon costume. Altri ne possono essere legittimamente posti dal legislatore, purché giustificati dall'esigenza di preservare valori costituzionali di pari rango e nella misura strettamente necessaria a tale scopo. Fra questi limiti possiamo ricordare la dignità sociale, riconosciuta dall'art. 3 Cost. a tutti i cittadini... senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, condizione personale e sociale. Ecco perché la legge punisce la propaganda razzista e sarebbe reato affermare che un albanese - in quanto tale - è inferiore ad un italiano. Non vi è dubbio che la dignità della persona omosessuale vada rispettata e preservata da insulti, ingiurie, diffamazione (ed esistono già figure di reato che tutelano tutte le persone, a prescindere dall'orientamento sessuale, sotto questo aspetto). Bisogna però evitare di confondere la critica dei comportamenti personali (ivi compresi quelli attinenti alla sessualità) o di pretese provenienti da taluni individui o gruppi organizzati con l'offesa alla persona medesima. Se si confondono i due piani e si perviene alla conclusione di considerare offensiva ogni critica (al di là dei mezzi e dei modi usati per esprimerla, potendo questi sì risultare aggressivi od offensivi), allora - mi pare evidente - la libertà di opinione cessa di esistere. Da questo punto di vista, il reato di omofobia, che si tenta di introdurre sulla falsariga degli atti di discriminazione razziale, etnica e religiosa, desta notevoli perplessità: la genericità della fattispecie incriminatrice non consente di distinguere tra offesa alla persona e critica legittima e pertanto si presta ad essere facilmente impiegata per reprimere forme di pacifico dissenso a certi stili di vita o a certe pretese promananti dal mondo della militanza gay. Questo solo mi sono limitato ad affermare nell'articolo di cui sopra, senza teorizzare alcuna libertà di insulto diretta a chicchessia. Di aggravante di omofobia, poi, non ho trattato se non in via incidentale al solo scopo di rilevare come anche in questo caso basterebbe il ricorso al diritto penale comune per soddisfare le esigenze di tutela. Il legislatore italiano, invece, lasciandosi trascinare dall'ondata emotiva sollevata da pur tristi fatti di cronaca, suole spesso introdurre esagerati inasprimenti sanzionatori in relazione a situazioni peculiari e senza una visione di insieme, i quali possono servire a tranquillizzare l'opinione pubblica, ma in realtà non mutano poi di tanto le cose. Questo mi sono sentito di precisare, essendo stato chiamato in causa dai commenti ricevuti e senza alcun piglio polemico".
Bartolo Salone
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